Non è semplice addentrarsi nel labirinto di norme e codicilli, incentivi e sussidi che costituiscono l’intelaiatura della politica verde della UE. Io, almeno, non ne sono capace e non sono nemmeno interessato ad investire il mio tempo in questa impresa. Ho però una visione d’insieme e dei criteri di verifica basati sull’esperienza quotidiana e sulle conoscenze basilari delle tecnologie energetiche per capire che l’intero progetto richiede una ridefinizione profonda.

Mi limiterò quindi a fare degli esempi concreti per farmi capire. Comincio con la guerra al motore diesel, additato come l’uomo nero del panorama energetico europeo. Ovviamente, il punto più avanzato di quel mondo terrificante costituito dai motori a combustione interna e dalle fonti fossili in generale, destinati ad una improbabile scomparsa fra il 2035 ed il 2050. Abbiamo già visto le anticipazioni di alcuni sindaci che hanno preso decisioni drastiche in anticipo: chiudere le città ai terribili motori diesel.

Ora, tutto si può fare e se veramente il motore diesel risultasse il più inquinante sarebbero da prendere decisioni drastiche.  Si dà il caso, però, che non sia così. Sono stati scritti volumi che dimostrano il contrario e spiegano come, nell’intero ciclo di funzionamento, il diesel inquini meno dell’auto elettrica. Ma il punto va al di là di questa questione specifica. Da un barile di petrolio, con l’attuale tecnologia di raffinazione e con gli impianti esistenti, si ottengono circa 20% di benzina, 40-50% di gasolio, 5% di jet fuel (combustibile per gli aerei), ed un rimanente 25% di prodotti vari che vanno ad alimentare l’industria petrolchimica per ottenere tutti quei prodotti che fanno parte della nostra vita quotidiana.

Se dovessimo decidere di fermare le auto a motorizzazione diesel, vorrebbe dire che crollerebbe la domanda di gasolio. Avremmo quindi il problema di cosa fare del gasolio che verrebbe comunque prodotto nelle raffinerie, visto che, in ogni caso, continueremmo ad aver bisogno della benzina, del jet fuel e dei prodotti per la petrolchimica e la produzione dei nuovi materiali (si pensi ai compositi in fibra di carbonio con cui si fanno oggi persino le strutture degli aerei). Dove lo mettiamo? Che uso ne possiamo fare? Possiamo bruciarlo?

Teoricamente, potremmo trasformarlo in altri prodotti, ma occorrerebbe investire nelle raffinerie esistenti per costruire degli impianti appositi, la cui tecnologia è nota. Ci vorrebbero investimenti massicci, che nessuno vuole fare e di cui non si parla nemmeno. Non mi pare che chi propone il superamento del diesel abbia programmato investimenti per la trasformazione del gasolio. Ci si limita alla demagogia. Si fa credere che sia possibile fermare i motori diesel, continuando a far volare gli aerei ed alimentare le auto a benzina (magari durante la transizione). Questo è semplicemente impossibile. La tecnologia del petrolio ha delle flessibilità che consentono di aumentare di qualche punto percentuale la produzione di un prodotto rispetto all’altro, ma non quella di bloccare del tutto la produzione del prodotto principale, quale è il gasolio.

Creare quindi questo fantasma del motore diesel a cosa ed a chi serve? È solo frutto di ignoranza o si ha un piano realistico di sostituzione “totale” del petrolio, che include anche la fermata degli aerei e la produzione della petrolchimica e dei compositi a fibra di carbonio? Se un piano serio, industriale di questo tipo esiste, non è dato ai più di conoscerlo.

Faccio un altro esempio. L’Europa si è dato l’obiettivo di ridurre a zero le emissioni di CO2, attraverso un processo che rischia di apparire come un piano di deindustrializzazione del continente.

È già stato ampiamente documentato che, se l’obiettivo fosse raggiunto pienamente, il contributo dell’Europa alla riduzione delle emissioni a livello globale sarebbe inferiore al 8%. Tenendo conto del ritmo di crescita della domanda di fonti fossili nel resto del mondo, è facile dimostrare che, nel complesso, le emissioni sul pianeta terra continuerebbero ad aumentare, nonostante l’inutile suicidio industriale dell’Europa. Uno studio ha mostrato che se le emissioni europee si azzerassero a partire da stamattina, l’effetto sul riscaldamento globale della terra sarebbe di 0,08°C. Un effetto trascurabile.

Occorre allora porsi una domanda. Il modello che l’Europa sta cercando di realizzare, e sul quale cominciano a nascere seri dubbi di realizzabilità e di effettiva efficacia a livello globale, è comunque non “esportabile” nel resto del mondo. Altri paesi industrializzati hanno già dichiarato di voler procedere lungo percorsi più graduali che non portino alla distruzione dei loro sistemi produttivi. I paesi in via di sviluppo semplicemente non sono in grado di misurarsi con progetti che appaiano, anche lontanamente, in linea con il modello europeo. Hanno bisogno di crescere, di uscire dalla condizione di povertà quasi assoluta ed hanno bisogno di energia a basso costo.

Non so può dire loro: “Peccato. Dovete rassegnarvi a restare dove siete. Non potete aumentare le emissioni. Vedremo in futuro se l’evoluzione della tecnologia vi consentirà un futuro diverso”. Non lo diciamo esplicitamente, ma di questo si tratta. Se fossimo capaci di mettere da parte un approccio ideologico verso l’utilizzo delle fonti fossili, avremmo potuto esaminare delle alternative ed un percorso di gradualità che cominciasse a considerare l’utilizzo delle fonti in modo diverso dall’attuale.

Le raffinerie di petrolio sono vecchie e spesso obsolete. Solo per curiosità, la raffineria italiana più moderna è stata costruita nel 1976. Con un po' di manutenzione ordinaria riescono ad andare avanti e continuano a produrre quello che ci serve con una crescente difficoltà. Ogni raffineria, per produrre i prodotti per i mercati europei o americani (le cui specifiche ambientali sono molto severe), deve necessariamente importare semilavorati da mescolare ai propri prodotti per migliorarne la qualità, ed esportare (verso l’Africa?) quei prodotti di bassa qualità più inquinanti.

Per mantenere i nostri standard di qualità, “strappiamo”, pagandoli a caro prezzo, ai paesi in via di sviluppo quei semilavorati che ci servono, privandoli dei prodotti migliori e meno inquinanti, e riversiamo di prodotti-spazzatura che non siamo autorizzati a vendere in Europa o in America, sui mercati africani o mediorientali.

Abbiamo l’illusione che stiamo migliorando le cose in Europa. In realtà stiamo scaricando la nostra inefficienza energetica sul continente africano. Altro che piano Mattei.

Dovremmo partire da un modello che preveda lo sviluppo di tecnologie integrate di raffinazione “olio-gas-bio” che permettano di produrre prodotti di qualità meno inquinanti e con meno emissioni, che blocchino i flussi di esportazioni degli scarti. Non solo, ma dovremmo – ecco il vero piano Mattei – promuovere l’upgrading sistematico del sistema di raffinazione africano secondo questo modello integrato, consentendo ai paesi africani sia di dare un impulso all’agricoltura per la produzione di biomasse, sia di recuperare il gas domestico e valorizzare al meglio il petrolio disponibile.

Un modello del genere, se fosse promosso dall’Europa, sarebbe utile all’Europa e sarebbe esportabile all’Africa e a molti paesi in via di sviluppo. Il bilancio mondiale complessivo delle emissioni sarebbe sicuramente migliore di quello che vede interventi esclusivi nel continente europeo.

Purtroppo, soltanto il parlare del tema idrocarburi fa venire la pelle d’oca agli ideologi del verdismo nostrano, anche se, con un po' di studio e buon senso, si potrebbero produrre modelli molto più proficui ed utili alla cosiddetta transizione energetica.