Alla fine di mesi di indiscrezioni e polemiche relative alla presentazione del Piano Mattei, il governo italiano guidato dal Primo Ministro Giorgia Meloni ha moltiplicato le iniziative relative al nuovo corso intrapreso da Roma nei confronti del continente africano. Il decreto legislativo 161/2023 e, soprattutto, il vertice Italia-Africa tenutosi alla fine di gennaio 2024, hanno avuto il merito di dare maggiore visibilità al piano di investimenti per lo sviluppo ideato dall’esecutivo italiano, delineandone con maggior precisione le forti ambizioni, a dispetto della portata limitata (all’incirca 5,5 miliardi di euro per i prossimi cinque anni).

Nonostante l’approccio multidimensionale, che prende in considerazione interventi programmatici su molteplici settori ritenuti fondamentali per lo sviluppo del continente africano come istruzione, salute ed agricoltura, appare evidente come nel breve-medio periodo l’attenzione sarà concentrata sulle priorità più urgenti: energia e immigrazione. La spinta alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico causata dall’invasione russa dell’Ucraina e l’opera di contenimento dei flussi migratori irregolari lungo la rotta del Mediterraneo Centrale (teatro oramai di una competizione tra grandi e medie potenze che ha innalzato tensioni geopolitiche) mette in luce l’estrema volatilità di un’area alle prese con una destabilizzazione cronica.

In considerazione della vicinanza geografica è abbastanza prevedibile come questa sia l’area dove Roma concentrerà i propri sforzi, anche in considerazione dei forti legami storici con i diversi Paesi di questa regione. Per tale motivo la partecipazione nordafricana al vertice Italia-Africa è stata cospicua, segno di un forte interesse per l’iniziativa. Ed è proprio da tale partecipazione che occorre necessariamente partire per individuare le numerose sfide che attendono la diplomazia italiana, alle prese con un contesto geopolitico particolarmente teso, al quale la ripresa del conflitto tra Israele e Palestina ha senza dubbio contribuito.

A brillare è stata senz’altro l’assenza del Presidente algerino Abdelmajid Tebboune. In considerazione degli sforzi profusi da diversi governi italiani nel rinforzare l’asse tra Algeri e Roma subito dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, la partecipazione al vertice del Ministro degli Esteri Ahmed Attaf può essere interpretata come un segnale di insoddisfazione, dovuta ad una certa disparità di vedute sull’attuale situazione regionale, che vede l’Algeria saldamente ancorata al fronte anti-normalizzazione. Ben prima dello scoppio della guerra a Gaza, l’avversione di Algeri verso gli Accordi di Abramo era ben più che un dato di fatto. Per di più il ruolo di mediazione presumibilmente giocato dall’Italia nella partita diplomatica che la scorsa estate vedeva nella Libia un ulteriore tassello da aggiungere al fronte della normalizzazione deve aver sollevato numerosi dubbi ed interrogativi ad Algeri. Già alle prese con una frattura diplomatica mai ricomposta con il Marocco, alla quale ha di certo contribuito il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Rabat e Tel Aviv, l’Algeria ha di certo interpretato tale maldestra operazione (terminata con una sollevazione popolare che ha causato una forte crisi di governo a Tripoli) come un tentativo di accerchiamento.

La presenza del Primo Ministro marocchino Aziz Akhannouch al vertice rappresenta invece un dato interessante, specie se paragonato al basso profilo assunto dalla diplomazia algerina. Le opportunità offerte dal dinamico mercato marocchino (soprattutto in ambito di energie rinnovabili, altro tema di punta del Piano Mattei) sono importanti, ma, soprattutto per ragioni geografiche, tendono a privilegiare la dimensione atlantica, anche a seguito della recente iniziativa lanciata da re Mohammed VI. Stesso discorso va fatto per le fonti fossili, come dimostrato dal progetto di gasdotto tra Nigeria e Marocco, che ha già ottenuto il sostegno dall’ECOWAS.

Progetti alternativi di gasdotti africani

Fonte: Jeune Afrique

In considerazione del progetto alternativo e concorrente di rilanciare il gasdotto transahariano dalla Nigeria all’Algeria attraverso il Niger, il rischio per il Piano Mattei è quello di rimanere vittima della guerra dei gasdotti in corso tra Algeri e Rabat. Più in generale, è la forte polarizzazione geopolitica in corso nel Maghreb (e le sue profonde ramificazioni nel Sahel e più in generale nell’intera Africa del Nord) a costituire un fattore aleatorio che potrebbe minacciare le ambizioni di fare dell’Italia un vero e proprio hub energetico nel Mediterraneo, obiettivo principale e dichiarato del Piano Mattei.

Alla stessa stregua, il prosieguo del conflitto congelato in Libia rappresenta un ulteriore fattore di criticità. La politicizzazione del cruciale settore petrolifero e le consuete chiusure dei principali giacimenti da parte delle diverse milizie (tribali e non) costituiscono il principale freno agli investimenti necessari per rivitalizzare l’industria Oil&Gas di un Paese storicamente partner dell’Italia. Vista in tale contesto, la presenza del Primo Ministro del Governo di Unità Nazionale Abdel Hamid Dbeibah a Roma dissimula a malapena l’assenza della Libia in quanto soggetto storico-istituzionale, ridotta all’impotenza di fronte alle sue numerose divisioni.