L’intelligenza artificiale (IA) cambierà le regole del gioco in termini di futura crescita economica e impiego del capitale umano? Chiaramente, siamo di fronte ad una tematica complessa e come tale poco incline a essere “liquidata” con generalizzazioni o semplificazioni, soprattutto perché siamo ancora privi del bagaglio esperienziale. Come accade ogniqualvolta che una nuova tecnologia irrompe sul mercato, si verifica – nella fase iniziale - una netta dicotomia tra scettici e sostenitori.

Eppure, anche in assenza di esperienze dirette, il passato è sempre foriero di buoni insegnamenti. Un esercizio utile per sviluppare alcuni primi ragionamenti sull’AI potrebbe essere quello di considerarla alla stregua di altri breakthrough tecnologici che si sono verificati nella storia e che hanno generato un punto di rottura rispetto allo stato dell’arte precedente. In tal senso, l’analisi economica ci insegna che chi per primo introduce una determinata innovazione tecnologica può avere vantaggi economici persistenti rispetto a chi la adotta in ritardo; questi ultimi potranno di certo recuperare il gap con i primi (catch-up cycles) ma il processo è lungo e non sempre completo.

Si pensi ad esempio all’introduzione dell’elettricità come tecnologia rivoluzionaria in Svizzera nel XIX secolo. Le regioni svizzere che hanno investito rapidamente nell’elettrificazione sono cresciute in modo più sostenuto di quelle che hanno adottato più lentamente questa nuova modalità di approvvigionamento energetico. Ovviamente, le regioni “più lente” hanno raggiunto quelle “più veloci” in termini di accesso all’elettricità, ma la differenza nella produttività regionale non è mai del tutto svanita ed il fattore chiave che rende queste differenze persistenti nel tempo è il capitale umano. Infatti, le regioni o i paesi che si adeguano rapidamente al cambiamento tecnologico ottengono spesso un vantaggio importante anche nello sviluppo di capitale umano altamente qualificato, attirando anche quello proveniente da economie che rispondono in ritardo all’innovazione.

Volendo semplificare e rapportare il tutto in relazione al delicato tema dell’impatto dell’IA sul lavoro delle persone, si potrebbe sostenere che – in base a quello che ci insegna la storia – la tecnologia può migliorare le condizioni economiche di un paese e, al contempo, anche valorizzare il capitale umano che non viene sostituito ma cambia: in relazione alle nuove esigenze di analisi di quantità sempre maggiori di dati, ai nuovi sviluppi tecnologici, alla propensione più o meno rapida di un paese ad accoglierli. Capitale umano e IA devono quindi essere visti – scomodando Eulero Venn – come insiemi congiunti, e quindi caratterizzati da un’importante area di intersezione.  

È questa considerazione – che non vuole essere né esaustiva né definitiva – che è emersa come primo spunto riflessione a valle del ciclo di interviste ad autorevoli esponenti del mondo energetico e industriale condotte lo scorso ottobre nella due giorni di OMC- Offshore Mediterranean Conference (Ravenna) giunta al suo trentesimo anno. Su idea e in collaborazione con Assorisorse, Rienergia ha partecipato a due giornate di talk show dedicate ai temi della transizione energetica e dei numerosi “pezzi” di cui si compone, dei minerali critici e dell’importanza dei cicli di recupero, della necessaria integrazione tra territorio e tecnologia e del cambiamento del capitale umano impiegato nei settori dell’energia. Ad ognuno degli intervenuti abbiamo proposto una serie di domande su temi specifici e una domanda “tormentone”, uguale per tutti, proprio in relazione al possibile impatto dell’IA sulla complessa e sfaccettata industria energetica.

Tirando le fila delle riflessioni emerse, abbiamo rilevato una netta apertura verso il mondo dell’IA, spesso indicata come naturale evoluzione delle tecnologie informatiche/digitali che consentono di compiere operazioni che il cervello umano da solo non è in grado di eseguire. Si pensi ad esempio al processamento delle migliaia di dati restituiti dai complessi interventi di prospezione geologica dei fondali marini o del sottosuolo, solo per fare un esempio. Parimenti, è emerso con altrettanta unanimità la necessità di regolare e gestire questo dirompente processo tecnologico, affinché le sue enormi potenzialità non si traducano in rischi. In questo contesto, i diversi interventi hanno sottolineato come l’IA debba essere proposta e impiegata come ausilio per, e non come sostituzione del, capitale umano, in un’ottica di complementarità e di valorizzazione reciproca.

I tre interventi ospitati nello speciale di questa settimana, dedicato all’evoluzione del capitale umano nel mondo dell’energia, evidenziano tutto ciò secondo diversi punti di vista.

Mariella Leporini di SPE- Society of Petroleum Engineers, nel sottolineare come il professionista dell’O&G sia ancora un mestiere del futuro pervaso di innovazione, sottolinea anche come la stessa gestione dell’IA richiederà lo sviluppo di competenze umane nuove e specifiche e di cui l’industria O&G, da sempre pervasa dall’innovazione, si sta già dotando. 

Ida Leone, in quanto direttore di Assoil School, sposta il baricentro del ragionamento sul piano formativo indicando la necessità di investire nell’upskilling e reskilling degli operatori, superando la diffidenza verso l’innovazione in modo che tutti i professionisti, anche i meno giovani, diventino attori protagonisti del cambiamento tecnologico in atto, sfruttando un bagaglio di conoscenze ed esperienze che rimane insostituibile anche di fronte all’AI.

Infine, Stefano Fasani, responsabile dell’iniziativa Open-es pone l’accento sull’importanza di un’azione coordinata a livello di filiera affinché, in ottica di sviluppo sostenibile, si possano ottenere risultati concreti. In questo concetto di “ecosistema di imprese” si inserisce anche il tema dell’IA: uno strumento potente se impiegato in modo coordinato all’interno dell’impresa e tra le imprese di una stessa catena di fornitura.

In conclusione, la transizione è cambiamento, l’evoluzione è cambiamento, il cambiamento è sfidante e quindi è un’opportunità. Quindi il cambiamento dei modus operandi consolidati non che essere considerato migliorativo. Come diceva il noto economista Joseph Schumpeter si tratta di “Fare le cose vecchie in modo nuovo”, con un ruolo sempre centrale della risorsa umana.