È ormai un fatto riconosciuto che le emissioni di metano svolgano un ruolo di primo piano come driver del riscaldamento climatico. Le evidenze scientifiche si moltiplicano, così come le iniziative internazionali tese alla riduzione dei rilasci di CH4 in atmosfera che, ricordiamolo, provengono da tre principali fonti antropiche: energia, agricoltura intensiva, gestione dei rifiuti.  Negli ultimi due anni abbiamo tristemente assistito all’utilizzo di risorse energetiche fossili come armi geopolitiche. Allo stesso tempo assistiamo a iniziative per decarbonizzare i sistemi energetici, superare il modello fossile, diffondere le rinnovabili e i nuovi gas. Le risposte non sono univoche, le soluzioni non sono sempre a portata di mano e le diverse posizioni hanno riportato in auge un controverso dibattito sul tema nucleare.

L’invasione russa in Ucraina ha aperto uno squarcio sul binomio inscindibile tra crisi energetica e crisi climatica, due facce della stessa medaglia. Questo ha messo in luce come le buone pratiche per catturare e riutilizzare il metano (piuttosto che procedere a nuove estrazioni) possano contribuire alla crisi degli approvvigionamenti.  

Guardando alla COP28, si dovrà sperare in una maggiore cooperazione tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, tra settore pubblico e privato, tra parti e soggetti interessati per ottenere risultati tangibili. Sarà necessario un significativo passaggio all'implementazione delle soluzioni e alla responsabilizzazione delle parti. Responsabilità rispetto agli impegni già presi ma anche secondo una delle colonne portanti del diritto internazionale ambientale: il principio delle responsabilità comuni ma differenziate, sancito dalla convenzione quadro delle Nazioni Unite. Se da un lato, infatti,  gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le proprie risorse secondo le proprie politiche di sviluppo, dall’altro, hanno anche il dovere di assicurare che le attività sottoposte al proprio controllo non causino danni all’ambiente di altri stati. In atmosfera non ci sono confini.

L’Europa, da parte sua, ha avviato una serie di iniziative legislative legate all’European Green Deal mirate alla decarbonizzazione del continente. Adesso, il semestre spagnolo appena insediato dovrà affrontare i dossier rimasti in sospeso, tra cui alcuni fascicoli del pacchetto sul clima Fit for 55, compreso il regolamento UE per ridurre le emissioni di metano del settore energetico.

Rispetto al tema delle emissioni di metano, negli ultimi anni le iniziative internazionali sono andate intensificandosi, ponendo alcune pietre miliari significative, tra cui la proposta di Regolamento UE sulle emissioni di metano del settore energetico europeo; il Global Methane Pledge lanciato a Glasgow nel 2021; l’Inflation Reduction Act, firmato dal Presidente Biden nel 2022, l'azione più significativa intrapresa dal Congresso in materia di energie pulite e cambiamenti climatici. La legge impone anche una tassa sulle emissioni di metano, con multe da 900 doll per ogni tonnellata di CH4 emessa nel 2024 al di sopra della soglia annuale, 1.200 doll per il 2025, 1.500 doll per gli anni successivi.

Per restare in Europa, attualmente non esiste un quadro giuridico a livello di Unione che definisca obiettivi e misure per ridurre le emissioni di metano relative a tutti i settori di origine antropica. Abbiamo l'Effort Sharing Regulation, che comprende il metano e gli altri gas non inclusi nel sistema ETS per lo scambio delle quote di emissione; c’è poi la Direttiva sulle emissioni industriali, che include le emissioni di metano dalla raffinazione Oil&Gas ma non include altri settori energetici; e infine, arriverà il regolamento UE sul metano che dovrà applicarsi alla riduzione delle emissioni di CH4 del settore energetico europeo.

La proposta prevede tre ambiti applicativi: 1) le emissioni di tutta la filiera O&G dell’UE, comprese quelle dei gas rinnovabili nel momento in cui questi vengono immessi in rete; 2) le emissioni di metano del settore carbonifero dell’UE; 3) e le emissioni che si verificano al di fuori dell'Unione. Le disposizioni sono poi divise in tre categorie: la prima riguarda l’introduzione obbligatoria di tecniche cosiddette MRV (misurazione rendicontazione e verifica), al fine di migliorare i dati degli inventari nazionali; la seconda riguarda la mitigazione delle emissioni di metano tramite tecniche di individuazione e riparazione (LDAR) e il divieto di venting & flaring non emergenziale; la terza riguarda la trasparenza sui combustibili fossili importati, un obbligo informativo da parte degli importatori europei sulle tecniche adottate dai propri fornitori esteri.

I prossimi passi prevedono l’inizio dei triloghi tra i co-legislatori prima dell’approvazione finale, attesa per fine anno.

Gli Stati membri hanno sovranità circa il mix energetico adottato. È previsto che le bozze per l’aggiornamento dei piani nazionali energia e clima riflettano un incremento delle ambizioni al 2030.  Nella bozza italiana si fa riferimento, in una sezione specifica, alla riduzione delle emissioni fuggitive di metano della filiera gas. Nel complesso, dal 1990 al 2021, le emissioni di metano della filiera del gas naturale in Italia hanno fatto registrare una riduzione del 66,4%. Per quanto riguarda le emissioni legate al gas importato, il piano riflette l’indicazione di una cooperazione regionale con i propri fornitori esteri – peraltro già avviata – basata sullo scambio di best practices in merito alle politiche previste.

Quello dell’import è un tema sensibile per l’Italia, che non solo è il secondo importatore di gas fossile in Europa, ma è anche un paese in cui la generazione elettrica nazionale si basa ancora per circa il 50% sul gas. Si è sentito parlare di Italia come hub del gas. È il rilancio di un’ambizione di lungo corso, ma difficoltosa, che rischia di creare nuove dipendenze e legami poco sostenibili in aree geograficamente molto complesse. Ma, se anche parzialmente, l’Italia dovesse assumere questo ruolo nei prossimi anni, allora dovrà puntare ad essere anche un hub di responsabilità circa la qualità ambientale del gas che importa. Svolgere, cioè, un ruolo di apripista nell’influenzare e promuovere fattivamente la collaborazione con i propri partner internazionali, come peraltro si fa riferimento nella bozza di aggiornamento del PNIEC.

Cosa fare? I passi successivi riguarderanno l’implementazione pratica degli impegni, non solo in termini normativi e tecnici, ma anche in termini di accordi internazionali di cooperazione energetica con i fornitori esteri, senza dimenticare il ruolo delle joint ventures, soprattutto rispetto alla rendicontazione delle emissioni provenienti da impianti non gestiti direttamente dagli operatori europei.

In quest’ottica, i contratti di fornitura potrebbero rivestire un ruolo importante se integrati da clausole dinamiche sulle emissioni di metano nello sviluppo e nel rinnovo dei contratti energetici con i nuovi fornitori. Non sarebbe una cattiva idea, ad esempio, iniziare a prendere in considerazione un formato europeo per i contratti di fornitura di gas che includa tale tipologia di clausole sia per le forniture via gasdotto che per il GNL.

Le rotte degli import verso l’Europa diventano un elemento di estrema rilevanza. In questo quadro complesso, non si deve dimenticare il ruolo delle tecnologie avanzate oggi disponibili, come telecamere a infrarossi posizionate a terra, sulle auto o anche sui droni. Ma queste tecnologie ci permettono di misurare solo aree ristrette e circoscritte a momenti specifici. Per individuare le perdite su scala più ampia, c’è bisogno di raccogliere più dati possibili su scala planetaria. Qui entrano in gioco le tecnologie di telerilevamento satellitare.

In attesa della completa transizione verso l'energia rinnovabile, queste tecnologie potranno essere utilizzate da governi e aziende per compiere scelte di acquisto informate ed essere impiegati, ad esempio, come strumenti utili per il rilascio di eventuali certificazioni.