Che siamo la Penisola dei grandi rischi naturali, un hot spot di eventi estremi meteoclimatici nell’area del Mediterraneo, dove le temperature corrono a una velocità del 20% superiori alla media globale, è una verità. E l’ultima alluvione ha colpito al cuore l’Italia, con due ondate di nubifragi in 15 giorni che hanno scaricato sulla stessa area geografica l’acqua che può cadere in sei mesi. Eventi avvenuti a ridosso del primo biennio di siccità della nostra serie storica e che ci hanno messo di fronte all’emergenza più grave dalle grandi alluvioni del novembre 1966. La Romagna devastata è l’alert del clima nuovo, un evento-spartiacque per diversi motivi. Per estensione delle aree geografiche interessate con 43 Comuni allagati, per l’esondazione contemporanea di 21 fiumi e 22 corsi minori, per un migliaio di frane innescate e “attive”, di cui circa 300 concentrate in 54 Comuni, e per le 15 vittime e i 35.000 sfollati e i danni ingenti tra 6 e 10 miliardi di euro.
L’escalation dei fenomeni meteoclimatici è brutale ed evidente: se fino al Novecento la meteorologia censiva 5-6 eventi distruttivi ogni 10 anni, dal Duemila siamo a un centinaio all’anno, di portata minore ma devastanti su aree ristrette. La dimostrazione plateale che tutto è cambiato, a partire dai classici “tempi di ritorno” delle piene di bacino calcolati dall’idrologica del secolo scorso e ricorrenti ogni 500 o 200 o 100 o 50 o 10 anni. Siamo sotto i colpi di una meteorologia “estrema” ma sempre più “ordinaria”, che ci colpisce con fasi di siccità sempre più prolungate e con l’impressionante accelerazione e frequenza di flash flood con piene-lampo, nubifragi intensi e violenti concentrati nel tempo e negli spazi, uragani tropicalizzati che gonfiano fiumi all’inverosimile, tempeste di vento che stravolgono territori, forti erosioni costiere e violente mareggiate.
Dovrebbe essere chiaro a tutti che la nostra è una penisola-catalogo di grandi rischi per collocazione geografica, per orografia e morfologia con due terzi di Italia fatta da montagne e da colline geologicamente “giovani” con terreni argillosi e sabbiosi e tra i più franosi. Abbiamo l’impressionante media record, censita dall’Ispra, di 628.808 frane attive sul totale delle circa 750.000 dell’intero continente europeo. Essere beneficiati dalla più elevata media annua di precipitazioni europea - 301 miliardi di m3 -, e convivere con il più ricco reticolo di acque - ben 7.494 corsi d’acqua di natura torrentizia - aumenta a dismisura la mosaicatura dei rischi idrogeologici. Le oltre 5.400 alluvioni e le 11.000 frane che ci hanno colpito negli ultimi 80 anni, hanno lasciato circa 6.000 morti, migliaia di feriti, milioni di sfollati e danni in media per 4 miliardi all’anno. E oggi sono 7.275 i Comuni sul totale di 7.904, praticamente tutti, con aree al loro interno a pericolosità elevata o molto elevata dove vivono 8 milioni e centomila italiani e sono presenti il 14,1% delle industrie nazionali e il 21,1% dei beni culturali.
Ma questa nostra elevata rischiosità naturale è stata enormemente estesa dalla più tollerata deregulation urbanistica. Abbiamo moltiplicato la potenza distruttiva di un evento occupando le aree più fragili come se vivessimo in un'Italia virtuale, costruendo abusivamente o legalmente - non fa differenza ai fini del rischio - ma creando rischi dove prima non c'erano, aggiungendo cemento e asfalto su versanti in frana, alvei di corsi d’acqua o addirittura dentro i corsi d’acqua, su terreni alluvionali e paludosi, lungo gli arenili in erosione e senza alcuna protezione. I nostri ritmi di edificazione hanno fatto triplicare il consumo di suolo negli ultimi 7 decenni, spesso su vietatissime aree e spesso fuori dai piani regolatori e approfittando di 4 condoni edilizi. E si continua a consumare suolo proprio mentre gli effetti del cambiamento del clima mostrano quanto sia cambiato il regime delle precipitazioni che possono assumere un carattere "esplosivo".
L’ennesima lezione dall’Emilia Romagna ci dice che non va perso neanche un minuto per voltar pagina e affrontare la più grande opera pubblica di cui l’Italia ha urgente bisogno. Serve riattivare una struttura tecnica centrale per la prevenzione strutturale permanente che vada oltre le durate dei governi, in media 1 anno e 4 mesi. È una impresa alla nostra portata. Il fabbisogno di opere e interventi urgenti è nell’unico “Piano di contrasto al dissesto idrogeologico” redatto a Palazzo Chigi nel 2018 da “italiasicura”, la struttura tecnica di missione nata dall’idea di Renzo Piano che ha operato con i governi Renzi e Gentiloni. Contiene circa 11.000 cantieri da aprire di varia tipologia - briglie, vasche di laminazione, risagomatura di canali, apertura di canali fluviali intombati, difesa della costa, consolidamento di versanti in frana - per un investimento di 33 miliardi di euro in 10 anni.
Italiasicura in 4 anni di lavoro aveva iniziato a dimostrare che è possibile mettere nella massima sicurezza chi è in pericolo, con una nuova governance condivisa con la nomina di tutti i Presidenti di Regione a “Commissari di Governo per gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico”, un sostegno continuo ai territori, semplificazioni, cantieri per legge no-stop dopo la gara anche in caso di ricorsi. Nel 2015 sono partiti i più grandi investimenti europei contro le alluvioni in grandi aree urbane, ormai in via di conclusione: 500 milioni investiti per 8 grandi progetti per difendere Genova, 120 milioni per 4 casse di espansione lungo l’Arno per tutelare Firenze e la Toscana centrale, 140 milioni per salvare dalle piene del Seveso Milano e l’hinterland. Sono stati 1.445 i cantieri aperti o riaperti, moltissimi piccoli e con costi minori, per un totale di 1,4 miliardi investiti. Tutto verificabile. Per la prima volta, infatti, lo Stato permetteva a tutti di cliccare sul sito del governo e visitare il portale di italiasicura localizzando il suo cantiere geo-referenziato, corredato di dati e stato di avanzamento. Trasparenza.
Le risorse? Furono ritagliati 8,4 miliardi di euro per il piano decennale. Ma italiasicura fu cancellata dal governo Conte 1 e sostituita con il nulla. Quei fondi tutti interi sono però ricomparsi nel Pnrr. Sono sempre fermi lì.