Assotermica crede nell’importanza di un approccio multitecnologico e multienergetico, nella necessità di puntare alla neutralità tecnologica e di fissare obiettivi concreti sostenibili e fattibili, non solo da un punto di vista tecnico, ma anche economico e sociale.
Per il settore degli edifici la sfida della decarbonizzazione è ambiziosa quanto quella di altri settori hard to abate, nonostante nelle politiche europee (dalla Direttiva RED a quella relativa all’efficientamento energetico nell’edilizia) tale comparto sia associato al concetto dell’elettrificazione facile. Elettrificazione che, al contrario, non è facile da ottenere per due ordini di ragioni: 1) ad essere sfidante non è l’intervento sull’edilizia nuova, in cui l’approccio verso nuove tecnologie è possibile, quanto piuttosto recuperare il patrimonio esistente; 2) il panorama edilizio è vasto ed eterogeno e non vale il concetto di «one technology fits for all»: la tipologia di edilizia è diversa, gli impianti e le esigenze sono diverse.
Alcuni dati per inquadrare il settore in Europa e in Italia. La maggior parte degli edifici europei è collegata alla rete di distribuzione del gas: 70% degli apparecchi idronici installati (103 mln) è alimentato a gas ed il 50% di questi è caratterizzato mediamente da bassa efficienza energetica, cioè da caldaie convenzionali obsolete (elevati consumi = livelli alti di CO2 emessa).
Per l’Italia lo stock di impianti residenziali è collegato alla rete di distribuzione: oltre 21 milioni (18 mln con riscaldamento); l’85% delle abitazioni è riscaldato con impianto gas, mentre l’età media degli edifici italiani è 50 anni con scarso isolamento termico. Infine, ma non meno importante, al 2022 circa il 50% delle caldaie a gas nello stock esistente è a bassa efficienza (classi equivalenti: C-D-E).
Non sorprende quindi che nelle strategie europee la caldaia sia percepita in maniera negativa. Data l’equazione «decarbonizzazione = elettrificazione», il binomio che ne discende è caldaia uguale fossile. In realtà si tratta di una mistificazione della realtà, perché se il vettore viene decarbonizzato la caldaia non è più fossile. Eppure nonostante ciò, secondo le nuove disposizioni di REPowerEU a partire dal 2029 dovrebbe scattare il divieto di immissione sul mercato per le caldaie a gas fossile ("stand alone fossil fuel boilers"). I rischi derivanti da questa impostazione sono tanti. Tra questi vi è la propensione alla riparazione reiterata di caldaie obsolete ed inefficienti; l’utilizzo di riscaldatori d’ambiente poco efficienti (stufe elettriche/gas); si riduce il comfort e i ceti meno ambienti rischiano di restare senza riscaldamento; aumenta la probabilità dello sviluppo del mercato di apparecchi a gas di seconda mano non conformi all’eco-design né alle direttive applicabili sulla sicurezza (es.: GAD/GAR).
Pertanto, bisognerebbe puntare ad una soluzione ottimale che garantisca il miglior compromesso possibile tra minor impatto ambientale, risparmio energetico e minori costi in bolletta. E di fatto le soluzioni ci sono e l’approccio tecnologicamente neutro è il modo migliore per valorizzare il ruolo dei professionisti ed evitare di raggiungere risultati solo teorici, dimenticandosi della pratica.
Sicuramente promuovere tecnologie green gas ready è una soluzione, tra l’altro anche pronta. Tutti gli apparecchi attuali, infatti, possono bruciare biometano e biogpl al 100% perché hanno caratteristiche uguali a quelle dei gas convenzionali. Esistono poi già sul mercato tecnologie certificate per utilizzare miscele di metano o biometano e idrogeno al 20% e sono disponibili tecnologie che possono bruciare 100% idrogeno che a breve potranno essere commercializzate.
Ancora una volta i dati danno contezza della realtà. Ad oggi, la sostituzione di un apparecchio a gas convenzionale con caldaia a condensazione permette di ottenere risparmi fra il 15 e il 20% dei consumi di gas. Uno share che arriva al 25% se si aggiungono anche dei controlli evoluti.
Questi risparmi diventano ancora maggiori (50-60%) se la sostituzione avviene fra un apparecchio a gas convenzionale e apparecchio ibrido con una componente a gas e una componente elettrica.
Nel caso in cui la sostituzione avvenisse con nuovi apparecchi a green gas, i risultati sarebbero ancora più interessanti. E a dirlo sono una serie di studi terzi condotti in materia. Tra questi uno dell’Università di Pisa che dimostra che a parità di impianto ed edificio è possibile individuare diverse soluzioni tecniche tutte valide per il raggiungimento degli obiettivi.
Un altro studio condotto da GUIDEHOUSE per l’EHI (European Heating Industry) dimostra che due scenari, di cui uno di elettrificazione totale e uno di mix tecnologico raggiungono lo stesso obiettivo al 2050, ma nel secondo caso con costi molto minori (risparmio di 527 mld di euro tenendo anche conto del costo delle infrastrutture).
Risparmio Scenario Mix Tecnologico vs Scenario A elettrificazione totale
Fonte: Guidehouse
Infine, uno studio prodotto dall’Università Politecnica delle Marche dimostra che il miglioramento della classe di efficienza dell’edificio, ottenuta esclusivamente con sostituzione di tecnologia esistente con nuova tecnologia non sempre conduce ad un impianto efficiente ed efficace.
Proviamo a trarre un esempio dallo studio condotto dall’Università di Pisa, di cui la tabella seguente mostra alcuni risultati. Consideriamo degli interventi di sostituzione del generatore di calore esistente in un appartamento, dove spesso è difficile sostituire la caldaia con la pompa di calore, che presupponendo anche la produzione di acqua calda, richiede l’installazione di altre apparecchiature, magari ingombranti (ad esempio: bollitori di accumulo di acqua calda sanitaria, accumuli inerziali).
Risparmi globali (RISC+ACS) rispetto all’utilizzo della caldaia tradizionale per l’edificio “appartamento”.
In grassetto sono evidenziare le soluzioni che riescono a ridurre contemporaneamente tutti gli indicatori di prestazione. In rosso i valori per cui si ottiene una prestazione peggiore rispetto alla caldaia di riferimento
Fonte: DESTEC – Università di Pisa
Nel caso di una sostituzione di una caldaia convenzionale con una a condensazione, il risparmio di energia primaria non rinnovabile in zona E è del 18%. La pompa di calore invece ci fa risparmiare il 23%. Un ibrido comporta un risparmio del 36% perché coniuga i benefici della caldaia e della pompa di calore.
Se aggiungiamo biometano al 20% miscelato al metano o metano miscelato con idrogeno al 20% otteniamo una serie di risparmi ancora più significativi. Nel primo caso, si otterrà un -30% delle emissioni di CO2 e -30% energia primaria non rinnovabile. Nel secondo caso - 25,4% di emissioni di CO2 e -25,6% di energia primaria non rinnovabile. Questo vale per le caldaie a condensazione, ma vantaggi ancora più evidenti si avrebbero nel caso di apparecchi ibridi factory made alimentati con miscele di green-gas.
Per concludere vale la pena sottolineare che lo sviluppo dei gas rinnovabili nel settore residenziale è quello che ha più bisogno di supporto. Per questo è fondamentale sviluppare la presenza di green gas nelle reti attuali ma anche in quelle future.
Inoltre, è importante ottenere il riconoscimento delle quote rinnovabili per i gas nella valutazione dei fattori di conversione utilizzati per l’etichettatura energetica e nelle valutazioni delle coperture del fabbisogno energetico da fonti rinnovabili negli edifici (Regolamento Labelling, RED, EED, EPBD e rispettive regole di recepimento nazionali).
Serve, ancora, definire incentivi dedicati a tecnologie green-gas ready per favorire la costruzione di un parco «future proof» perché in questo modo si evita di creare il cosiddetto effetto lock in.
È necessario quindi dare certezze al settore, riconoscendo l’importanza dell’idrogeno e dei green gas nel settore del riscaldamento residenziale, senza preclusioni ideologiche.