Che l’Europa e l’Italia possiedano sul loro territorio minerali critici è noto. Non altrettanto scontato è che tali prodotti possano essere utilizzabili con facilità. Richiedono infatti un processo di lavorazione ad elevato impatto ambientale, difficilmente compatibile con le normative ambientali del Vecchio Continente. Questo però non vuol dire che di queste risorse si debba fare a meno. Bisogna sfruttarle sì, ma  secondo un nuovo approccio che coniughi attività estrattiva e recupero ambientale. Per farlo serve acquisire expertise e know how che ci consentano di competere veramente con gli altri player internazionali. Di tutto questo ne abbiamo parlato con Corrado Baccani Esperto di Attività Minerarie, Past board member di Assorisorse

L’annuncio della scoperta del giacimento di Per Geijer in Svezia ha avuto una forte risonanza mediatica. In un contesto di forte competizione per l’accaparramento di minerali indispensabili per il processo di transizione, ma la cui offerta è tirata e concentrata in pochi paesi, la notizia di risorse europee ha fatto discutere molto. Secondo Lei, quale è la reale portata di questa scoperta per l’UE?

In merito a questa notizia vanno considerate due dimensioni, una è quella politica e l’altra è quella industriale. L’annuncio di questa scoperta, come di altre fatte in altri paesi (in Italia ad es. l’Università di Ferrara ha dichiarato di aver trovato in una cava di granito delle terre rare da poter estrarre) è un chiaro messaggio inviato alla Cina per interposta persona, la stampa. L’obiettivo dell’Europa è quello di passare il messaggio della disponibilità di queste risorse anche in suolo europeo.

La realtà però è un’altra: aver scoperto queste risorse non significa poterne usufruire subito, in quanto si tratta di prodotti che hanno bisogno di lavorazioni molto complesse dal punto di vista tecnologico e con un potenziale negativo impatto ambientale.

L’estrazione di minerali critici (minerali di litio o di terre rare per esempio) comporta la lavorazione di notevoli quantità di materiale grezzo, in quanto, la presenza di tali elementi nel minerale è dell’ordine di g/kg o addirittura di parti per milione. Pertanto, se si inizia una nuova attività mineraria, bisogna pensare immediatamente al suo impatto ambientale ed evitare disagi al territorio, oppure svolgerla in aree compatibili con l’estrazione mineraria, abbinandola ad attività utili ad esso (creazione di bacini idrici, messa in sicurezza del territorio per passate attività minerarie o per potenziali rischi idrogeologici, messa in opera di tecnologie per energie rinnovabili…).

Nel caso della Svezia, si tratta di una miniera conosciuta da anni, che produce minerali di ferro, mineralizzazione che, come è noto, può contenere altri minerali. Ciò che è nuova è la comunicazione all’esterno di questa scoperta, avvenuta, probabilmente e, non a caso, proprio ora. Tuttavia, prima che questi minerali critici possano iniziare ad essere prodotti ci vogliono almeno 10-15 anni, che servono per la progettazione e l’individuazione del processo di estrazione più economico. Un tempo che sarebbe ancora più lungo se la miniera non sorgesse, come sorge nel nord della Svezia, in una zona remota, poco popolata di circa 50 kmq. In quel luogo esiste da molti anni solo un’attività mineraria e vicino c’è solo una città, probabilmente abitata dagli stessi operai della miniera, quindi disposti ad accettare la convivenza con una realtà industriale a volte impattante.

È impensabile sia riproporre un’attività simile in Italia, sia di riuscire a farlo entro 15 anni, di per sé un tempo lunghissimo e non consono con i tempi della transizione.

Di tutt’altra natura, sarebbe riprendere cave abbandonate che erano già presenti nel territorio  e che  molto spesso contengono dei rifiuti minerari che possono essere trattati nuovamente, per estrarre i minerali critici adottando tecnologie sostenibili e innovative che rispettino l’ambiente e magari ripristinino i luoghi minerari dismessi soggetti al dilavamento delle piogge.

Sempre per restare in tema di Unione Europea, le istituzioni europee hanno tenuto conto di questa criticità in materia di approvvigionamento delle materie prime citate nelle loro politiche e nelle loro azioni per ridurre la dipendenza?

Tra le istituzioni europee, già da qualche anno, c’è la consapevolezza della strategicità di  questi prodotti per la transizione energetica e di quanto sia importante evitare di essere, come a volte accade, completamente dipendenti dalle importazioni estere. Sono stati, infatti, condotti a livello comunitario vari studi, disponibili in rete, sui minerali critici, giunti alla conclusione che bisogna aumentare la produzione interna, e per questo obiettivo sono stati anche messi a disposizione dei fondi di ricerca. Ma si tratta di ben poca cosa, perché tra il dire che serve maggiore autonomia in materia di terre rare e minerali critici e riuscire a produrli veramente c’è una distanza siderale. E non perché le risorse manchino, visto che in varie parti di Europa queste risorse sono state individuate, ma perché per poter avviare una nuova attività mineraria serve superare numerose barriere e criticità. Consideriamo il caso dell’Italia: nel nostro paese c’erano 3.000 siti minerari, ma oggi ne sono attivi solo 300. Quelli chiusi ormai sono dei parchi minerari. Come fare a ripristinarli? I proprietari di queste miniere saranno interessati a rimettere mano ai programmi di risanamento per intraprendere una nuova attività mineraria? Il governo rimetterà mano alle leggi per incentivarle? Garantirà sostegno alle università, ai gruppi di studio e alle start up? La risposta a questi quesiti al momento non è chiara, come sto appurando in prima persona. I progetti non mancano, ma si scontrano con la burocrazia, l’indifferenza e soprattutto con la difficoltà di intraprendere un percorso industriale condiviso fra territorio, governo e aziende. L’industria mineraria di oggi è diversa da quella del passato, in quanto tesa non solo all’estrazione dei minerali ma anche alla tutela del territorio e delle esigenze delle comunità.

Ammesso ci fosse la volontà di sfruttarli, in Italia dove sono ubicati giacimenti in cui rintracciare questi minerali?

L’Italia da un punto vista geologico è ricca di minerali generati dall’intensa attività magmatica a cui, nel corso di diversi milioni di anni, è stata soggetta. Testimone di tali eventi sono i fenomeni  residui  magmatici ed eruttivi del quaternario recente che si protraggono fino ai giorni nostri: basti pensare all’attività vulcanica ed idrotermale dell’area tirrenica. In passato, questi eventi geologici hanno dato vita a fenomeni assai intensi,  spingendo con il magma fuso  questi minerali critici  provenienti dal mantello verso la crosta terrestre. Proprio in conseguenza di queste dinamiche è stato possibile in passato estrarre elementi importanti per lo sviluppo della civiltà come antimonio, zinco, rame, ferro, mercurio in zone come Lazio, Toscana, Sardegna e nelle Alpi.

Il problema è che, a differenza di altri luoghi del mondo, interessati dagli stessi fenomeni geologici, estrarre questi minerali in Italia è molto più difficile. Le faccio un esempio: nella miniera cinese in Mongolia di Bayan Obo, dove circa l’80% delle terre rare al mondo viene estratta, vengono adottati dei sistemi estrattivi e di raffinazione del minerale non permessi (né auspicabili) in un contesto naturalistico e denso di popolazione come il nostro. Di conseguenza, per riuscire a praticare queste attività in Occidente ed in particolare  nel nostro paese, occorre investire su nuovi paradigmi industriali fatti di innovazione, creatività ed umanesimo, differenziando nettamente il nostro modello di estrazione da quello praticato in passato ed in altre parti del mondo. Per fare tutto ciò occorre un grande impegno dei governi con un’attenzione maniacale all’istruzione delle nuove leve. Che devono avere nel futuro una grande fiducia e non terrore come a volte oggi accade.

Ciò che rimane da approfondire dunque è il costo di queste operazioni e quanto convenga al nostro paese iniziare queste attività. Dal punto di vista ambientale e guardando all’obiettivo della transizione, vi sono molteplici ragioni per questi investimenti. Invece, dal punto di vista economico, con una Cina libera dai vincoli ambientali come i nostri e che può controllare il mercato, quali potrebbero essere le ricadute?

L’approvvigionamento di questi minerali deve essere ridisegnato completamente. A differenza di altri paesi, come quelli scandinavi, la Russia o la Groenlandia, dove esistono spazi liberi senza popolazione, nel nostro territorio la presenza di flora, fauna e bellezze artistiche rende i costi minerari decisamente più alti, proprio per via di regolamentazioni da rispettare che altrove sono più facili da incontrare. Sostengo però che un approvvigionamento interno del 20-30% rispetto al fabbisogno costituisca una necessità strategica, perché dà la possibilità di monitorare il mercato e accrescere le competenze interne per, eventualmente un giorno, incrementare la produzione. La presenza di una industria è la garanzia di avere ingegneri, geologi e scienziati in grado di far fronte alle sfide future sempre più imprevedibili: questa è una grande risorsa per il paese da coltivare con cura proprio come una miniera.

Se invece non si investe in attività industriali ed istruzione, appare ovvio che non si possa ambire ad un grande avvenire, sia in termini economici sia in termini di importanza paese nel contesto internazionale.

Comunque, una reale indipendenza dall’importazione sul tema delle materie prime critiche non appare fattibile. Quindi, avere un giusto bilanciamento fra produzione interna (20-30%) ed  accordi di lungo termine con fornitori esteri anche sotto forma di joint venture (se deteniamo tecnologie!)  è la via maestra da seguire.

A proposito di JV con paesi esteri. Disponendo di tecnologie innovative e  sostenibili, di ingegner , geologi e scienziati altamente qualificati sarà molto più facile trovare partners disposti a coinvolgerci in progetti nei loro paesi dove c’è la disponibilità di risorse interessanti.

 A quel punto risulterebbe più facile scambiare le nostre competenze ingegneristiche e geologiche con le loro disponibilità materiali, magari in un giorno lontano, avere anche  collaborazioni con agenzie spaziali per estrarre questi minerali sulla Luna o Marte. Avendo questa flessibilità adattativa si ridurrà anche la nostra vulnerabilità da fattori geopolitici.

La mia risposta finale, dunque, è che occorrerebbe un buon bilanciamento tra produzione locale, acquisti spot sul mercato, joint venture di pari diritti  con paesi a cui noi possiamo cedere la nostra tecnologia e know-how.

È fondamentale allo stesso tempo accrescere il capitale umano in termini di alta professionalità e preparazione universitaria: individui  in grado di fronteggiare problemi complessi nel settore e risolverli brillantemente. Avere infatti una massa di competenze importanti equivale, in termini concreti, ad avere una massa sostanziale di materiale e riserve geologiche.

Il governo, inoltre, dovrebbe mettere a disposizione strumenti economici e finanziari insieme a disposizioni mirate  tese a sviluppare i giacimenti esistenti in Italia, i quali necessitano di costose verifiche geologiche e minerarie e studi di fattibilità industriale. Dall’altra parte occorre trovare strumenti adeguati per coinvolgere università ed i suoi studenti in iniziative minerarie innovative, creando da zero, a livello, paese una nuova industria e una nuova mentalità che sviluppi le opportunità del settore minerario che sta alla base delle economie moderne.