“Il capo dello stato russo ci ha incaricati di adottare misure per soddisfare le esigenze delle nostre forze armate”. Esordiva così lo scorso settembre il Primo ministro russo Michail Vladimirovič Mišustin durante una riunione governativa sulle priorità del bilancio federale per il 2023. L’incontro, tenutosi come di consueto nella Casa Bianca di Mosca, aveva in realtà l’obiettivo non solo di definire una politica monetaria per l’anno a venire, ma anche di guardare alle misure necessarie allo sviluppo socioeconomico del Paese. Misure che, pur sotto embargo petrolifero, passano in secondo piano nel momento in cui la campagna d’Ucraina si rivela essere, ancora una volta, l’unica vera priorità.

Eppure, oltre alle difficoltà riscontrate nell’alimentare la macchina da guerra del Cremlino, le sanzioni occidentali hanno avuto e stanno avendo un effetto anche sulla popolazione russa. Al di là del divieto sulle forniture di materiale bellico o tecnologie dual use quali semiconduttori, hardware necessario alle infrastrutture informatiche e di rete o motori per droni, le misure restrittive hanno anche impattato la vita di tutti i giorni del russo medio.

Certo, le predizioni sul collasso immediato dell’economia si sono rivelate infondate per tutta una serie di motivazioni. Prima fra tutte il fatto che la Banca centrale russa avesse già messo in atto diverse misure per rendere l’economia “a prova di sanzione”.  Da tenere di conto poi vi sono l’abilità di sostituzione di parte delle importazioni, la diversificazione dell’export e l’apertura di nuove rotte commerciali via Turchia o Kazakistan. Nonostante i ciclici rialzi e tagli nei tassi di interesse, la governatrice della Banca centrale della Federazione russa El’vira Nabiullina avrebbe rassicurato i russi. Ma la “Fortezza russa” rimane sempre e comunque un castello di carta.

Diversi beni, anche di prima necessità, sono oggi praticamente introvabili. Proprio la settimana passata lo stesso Putin è stato costretto ad ammettere una sostanziale carenza di medicinali. Medicinali che di fatto non rientrano tra i beni sottoposti a sanzioni occidentali, ma che faticano a raggiungere la Federazione Russa per le misure restrittive che colpiscono il settore dei trasporti, le assicurazioni o per cavilli burocratici alle dogane.

Altro settore che sta attraversando una crisi senza precedenti è quello automobilistico. Gli specialisti nel settore lamentano, infatti, una penuria di pezzi di ricambio per le auto, i cui prezzi nell’estate del 2023 subiranno un’impennata del 14%. Aspetto da non sottovalutare, poi, è il crollo dei consumi che ha investito la popolazione russa. Con l’aumentare della propensione al risparmio, i russi ad esempio preferiscono i discount rispetto ai supermercati tradizionali. Questione scottante riguarda anche i pensionati, i quali già prima dell’aggressione russa all’Ucraina riuscivano a malapena a far fronte alla crescente inflazione.

Per quanto riguarda la disoccupazione e i redditi pro-capite, la crisi ha prodotto effetti estremamente compositi a seconda delle regioni. In particolare, con l’embargo petrolifero, regioni che tendenzialmente basano il loro PIL sull’estrazione e l’esportazione di risorse, quali il circondario autonomo Jamalo-Nenec hanno visto un tracollo. La zona uralica, invece, tradizionalmente ricca di industrie metallurgiche, è stata investita del ruolo di quartier generale dell’industria bellica per sfornare continuamente munizioni e nuovi armamenti. Città come Krasnodar e Stavropol nella Russia meridionale hanno vissuto un boom turistico non indifferente a causa delle restrizioni sui viaggi all’estero. Nel frattempo, l’exclave russo in Europa di Kaliningrad, stretto tra le restrizioni commerciali delle vicine Lituania e Polonia, vive uno dei suoi momenti peggiori.

La vita dei russi è dunque senza dubbio cambiata, ma ciò che non è cambiato affatto è la loro capacità di resilienza che ritorna come elemento ricorrente del bagaglio storico-culturale di un popolo abituato a vivere con poco e nulla. In molti semplicemente cercano di adattarsi alle nuove condizioni. Adattamento che, tuttavia, è già di per sé indicatore manifesto di una ridotta qualità di vita. Nonostante il crollo degli standard di vita russi, le proteste si fanno sempre più rade e “invisibili” a causa della crescente repressione da parte delle autorità. Si protesta con picchetti individuali, striscioni e memoriali. Ma si tratta per lo più di manifestazioni pacifiste e di solidarietà nei confronti del popolo ucraino e non di una rivolta interna contro il decadimento socioeconomico verso il quale si dirige il Paese.

I prossimi mesi saranno di fatto cruciali per capire l’entità del danno inferto dalle sanzioni occidentali. In particolare, si stima che l’embargo sul petrolio in atto dallo scorso dicembre e quello imminente sui prodotti raffinati avranno un effetto devastante per un Paese che ha fatto dell’esportazione di idrocarburi il caposaldo della propria economia e sopravvivenza.  

Se il crollo degli standard di vita finora non ha prodotto gli effetti desiderati, probabilmente non si potrà dire lo stesso dopo il prossimo 5 febbraio. Le sanzioni, d’altronde, per funzionare necessitano che la posta in gioco venga continuamente alzata accumulandosi al peso già esistente. Un aspetto determinante per la tenuta interna sarà il ruolo dello stato nella ripresa socioeconomica di un Paese che potrebbe essere destinato ad una pesante recessione negli anni a venire.

Al momento, la leadership di Putin non sembra essere messa profondamente in discussione né dalla popolazione né dagli apparati dei siloviki che la sostengono. Ma, alla luce della prossima tornata elettorale del 2024, per mantenere qualche sprazzo di credibilità, un eventuale ulteriore mandato di Putin o la candidatura di qualsiasi altro concorrente al trono dovrà tenere conto di un aspetto fondamentale: la necessità di ricompattare il fronte interno dopo mesi di continue fratture. Pena il rischio di scossoni nel Paese che potrebbero definitivamente cambiare il volto della Russia.