Dal 5 dicembre è attivo l’embargo al petrolio russo importato via mare da parte dell’Unione Europea, unito al tetto massimo (price cap) al prezzo del greggio, quest’ultimo pensato per evitare una reazione negativa dei mercati. Le sanzioni europee ed americane, attivate successivamente all’invasione russa dell’Ucraina lo scorso 24 febbraio, hanno suscitato dubbi e un acceso dibattito tra gli analisti sugli effetti concreti di queste iniziative economiche sulla politica domestica russa. Da mesi ci si chiede, infatti, se le sanzioni sono efficaci o meno rispetto agli obiettivi. La risposta affermativa o negativa dipende da come la domanda è formulata e da chi risponde. Se la domanda è rivolta agli economisti, gli effetti delle sanzioni sono confermati in ambito finanziario e bancario perché hanno determinato gravi problemi dal punto di vista della produzione di alcuni settori industriali, come i trasporti e le infrastrutture, e dell’inflazione.

Se la domanda è, invece, rivolta agli scienziati sociali in termini di effetti sulla stabilità del sistema politico ovvero se le sanzioni possono determinare una rivoluzione dal basso, un colpo di Stato o una sostituzione del presidente, la risposta è, dopo dieci mesi di conflitto, assolutamente negativa.

Questa situazione determina, quindi, perplessità sull’efficacia delle misure adottate sinora, vista la difficoltà per l’UE a sostituire improvvisamente le importazioni dalla Russia di gas e petrolio e il fatto che il Cremlino ha, nel contempo, dirottato l’offerta verso l’Asia con discreti successi e guadagni a causa dei prezzi elevati.

Da un lato, le politiche repressive di questi anni – legge sull’estremismo e gli agenti stranieri – e degli ultimi mesi in Russia, hanno reso molto difficile l’attività delle opposizioni extra-parlamentari contro la guerra in Ucraina. Dall’altro lato, gli effetti delle sanzioni non hanno avuto particolari effetti sulla vita quotidiana dei cittadini, solitamente abituati nelle grandi città, come Mosca e San Pietroburgo, ai rincari dei prezzi dei beni e dei servizi.

Sinora le iniziative economiche, gestite dalla direttrice della Banca Centrale Europea, El’vira Nabiullina, hanno consentito di ammortizzare gli effetti delle sanzioni, di prevedere un rialzo del PIL a partire dal 2024 e di riconoscere che “le sanzioni internazionali stanno cambiando la geografia delle importazioni e delle esportazioni russe, rompendo i vecchi legami economici e creandone di nuovi.” Inoltre, la Nabiullina ha affermato che: “le sanzioni sono molto potenti, e il loro impatto sull’economia russa e mondiale non dovrebbe essere minimizzato, sarà impossibile isolarsi dalla loro influenza”.

In sostanza, eventuali effetti negativi sulla quotidianità del popolo russo potranno, eventualmente, emergere nel 2023, ma non è detto che siano così significativi da ridurre il consenso nei confronti del presidente Vladimir Putin che si attesta ancora al 79% degli intervistati nei vari sondaggi.

Dal punto di vista politico, il presidente Putin è ancora saldamente al comando e gestisce le varie dispute nelle fazioni interne al Cremlino tra i siloviki (i funzionari dell’attuale FSB), gli oligarchi e i militari. Ciascuna fazione ha, infatti, una visione diversa su come continuare e terminare il conflitto in Ucraina, che oscilla da posizioni estremiste a quelle più moderate.

L’arrivo dell’inverno costituisce, indubbiamente, una fase di riflessione sull’eventualità di una tregua e/o sul rafforzamento delle posizioni militari e armamenti in previsione di un’ulteriore escalation nella prossima primavera 2023. Nel frattempo, l’istituto di ricerca indipendente, Levada Center, ha commissionato un sondaggio che descrive l’atteggiamento attuale dei russi nei confronti della guerra in Ucraina. Rispetto allo scorso settembre, è diminuita la quota di persone che seguono da vicino gli eventi in Ucraina: il 23% segue “molto da vicino” (32% a settembre) e un altro 35% segue “piuttosto da vicino” (34% a settembre). Il resto segue senza molta attenzione o non segue affatto.

Come dimostra la tendenza di questi mesi, gli intervistati della fascia di età over 55 (72%) seguono più da vicino gli eventi legati all'Ucraina; tra i 40 e i 54 anni segue da vicino il 59%, circa la metà di quelli dai 25 ai 39 anni e il restante 28% dai 18 ai 24 anni.

La preoccupazione per la situazione in Ucraina rimane alta, ma si registra un calo rispetto ai due mesi precedenti: il 42% è molto preoccupato (58% a ottobre), il 38% è piuttosto preoccupato (30% a ottobre) e lo shock della mobilizzazione parziale si attenua notevolmente. “Il sostegno alle forze armate russe in Ucraina rimane alto: il 42% sostiene decisamente rispetto al 20% che è contrario alla cd. “operazione speciale”. Il più alto livello di sostegno alle azioni delle forze armate russe in Ucraina è rappresentato tra le fasce di età più anziane (40-54 anni e 55 anni e oltre) pari al 75 %; il più basso si riscontra tra i giovani intervistati (18–24).

Ciò che è importante sottolineare è che, a novembre, il numero di sostenitori delle ostilità in Ucraina è leggermente aumentato: se a ottobre il 36% dei rispondenti era favorevole, ora il dato si attesta al 41% e la maggioranza relativa degli intervistati (53%) sostiene la necessità di avviare i colloqui di pace (57% a ottobre). La maggior parte degli intervistati sono, comunque, convinti che "il mondo è sempre stato contro la Russia” (31%) e che le ostilità in Ucraina si trascineranno in futuro: oggi solo il 17% degli intervistati ritiene che le ostilità dureranno fino a sei mesi (ad agosto erano il 24 %), mentre il 64% degli intervistati ritiene che le ostilità dureranno più di sei mesi (ad agosto era il 57%).

In sintesi, la propaganda, soprattutto televisiva, ha ancora un forte ascendente sull’opinione pubblica russa e bisognerà attendere la prima metà del 2023 per avere un quadro più esauriente e concreto degli effetti economici e delle performance militari sul campo per comprendere l’andamento e la durata del conflitto.