“Vi è stata una rottura della fiducia tra gli emisferi nord e sud, e questa fiducia deve essere ricostruita trovando un terreno comune sul consenso nei confronti delle tematiche di loss and damage”. Queste le parole di Antonio Guterres, Secretary-General delle Nazioni Unite, a valle della COP27 di Sharm. La tematiche di perdita e danno (loss and damage) sono state centrali durante il summit e potremmo, forse, dire che si tratta di una vittoria che nasce da una apparente sconfitta.

La COP ha fallito nell’essere più ambiziosa per quanto riguarda il contenimento della temperatura, limitandosi solo a far sopravvivere l’attuale tetto di +1,5° rispetto ai livelli pre-industriali. Nessun avanzamento, quindi, rispetto ai risultati raggiunti a Glasgow lo scorso anno, mentre siamo di fronte ad un mondo che sta già subendo i devastanti effetti climatici di +1,2° sulle temperature medie. Nel corso dell’ultimo anno pochi progressi sono stati compiuti: i piani di taglio delle emissioni presentati prima della COP vanno a scalfire solo l’1% delle emissioni pronosticate al 2030, e ricordiamo che il taglio cumulato dovrebbe assestarsi al 43% secondo gli scienziati. Solo 25 paesi hanno aggiornato i loro NDC al 2030 prima del summit (Nationally determined contributions, target nazionali identificati a Glasgow), un gruppo considerato dai più non sufficiente a raggiungere gli obiettivi.

Dall’emisfero sud molte piccole nazioni insulari, così come quelle africane, sostengono a gran voce che fallire nel contenere le temperature entro i 1,5° sarebbe una condanna a morte per le loro comunità. Questi paesi soffrono in maniera amplificata gli effetti della crisi climatica, nonostante abbiano una carbon footprint molto limitata, e da quasi trent’anni si sono fatti sentire riguardo la necessità di maggiori tutele sulle tematiche di loss and damage. A fronte dei pochi avanzamenti in ambito di contenimento delle temperature tra Glasgow e Sharm, la presidenza egiziana ha inserito il tema all’interno dell’agenda ufficiale della COP27. I paesi ricchi, parliamo specialmente degli USA, da sempre hanno mostrato particolare scetticismo riguardo il loss and damage, questo per via della paura di dover rendere conto per anni di emissioni selvagge. Questi, tuttavia, hanno recentemente cambiato posizione e, anzi, hanno fatto da motore trainante sui temi di ‘giustizia climatica’ verso i paesi maggiormente vulnerabili.

Il documento di 12 pagine figlio della COP di Sharm istituisce un fondo loss and damage, guidato da un comitato transazionale con rappresentanti di 24 paesi che stabilirà il suo funzionamento e, soprattutto, come e da chi il fondo dovrà essere finanziato. Le discussioni relative ai soggetti finanziatori non prendono in considerazione paesi le cui economie si sono sviluppate in tempi relativamente recenti, ha dichiarato il Vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans: “Se discutiamo di finanziamenti dovremmo parlare del mondo del 2022, non di quello del 1992 […] e faremo di tutto per trovare un diffuso consenso”.

Mentre si svolgeva la COP27 i mercati obbligatori delle emissioni non hanno battuto ciglio. L’Unione Europea è su un buon percorso per favorire la decarbonizzazione e pianifica di includere nel meccanismo ETS nuovi settori per gli anni a venire. Nonostante ancora non si sia ripreso il discorso relativo al potenziale “ETS 2”, ovvero un meccanismo parallelo per settori come il trasporto su strada o quello degli edifici, l’ultimo trilogo di Parlamento, Consiglio e Commissione ha confermato ancora una volta l’inclusione del settore marittimo nell’ETS a partire dal 2024. Aggiungendo una nuova fetta di domanda di permessi (che si stima peserà circa il 10% nell’anno di introduzione fino ad un 30% nel 2030) senza immettere un egual ammontare di offerta sul mercato, le quotazioni dei permessi ETS dovrebbero rimanere rialziste nel medio lungo periodo. Nel corso dell’ultimo mese le quotazioni EUA si sono sempre mantenute nel range compreso tra i 70 e gli 80 €/ton ma, nel corso del 2022, abbiamo visto picchi ad un soffio dalla tripla cifra a febbraio e ad agosto di quest’anno. Con un trading range ampio oltre 44 € le EUA, nel corso del 2022, hanno sempre mantenuta alta la volatilità e sono rimaste fortemente influenzate dagli sviluppi sociopolitici degli ultimi mesi, così come dalle difficoltà generalizzate sui mercati energetici. Dai massimi storici raggiunti l’8 febbraio a 98,49 €/ton i prezzi si sono tuffati precipitando a 55 €/ton subito dopo l’invasione Ucraina e ci hanno messo diversi mesi a recuperare il terreno perso. Sei mesi, per l’esattezza: le EUA si sono avvicinate nuovamente alla tripla cifra il 22 agosto, con picchi a 98,69 €/ton sul future DEC22; livello a cui però il permesso non è riuscito a consolidare tornando dopo l’estate su livelli in linea con una media a 365 giorni, in area 74-75 €/ton.

Interessante sarà monitorare le emissioni globali nei prossimi anni, per avere un quadro più definito sugli scenari che ci attendono e fare maggior chiarezza sull’obiettivo di contenimento delle temperature. Durante la COP27 i report hanno indicato che il picco dovremmo raggiungerlo al 2025, per poi assistere ad un graduale decremento di emissioni e temperature. Certo è che con l’attuale crisi energetica, la riapertura di molte centrali a carbone dopo il tanto conclamato phase-out di cui si parlava nel 2021 soprattutto in Germania, gli scenari non sono proprio rosei. Grazie alla COP27, però, anche se qualche remota isola del pacifico dovesse finire sommersa dall’oceano nel prossimo trentennio, il suo governo almeno verrà risarcito grazie al fondo di loss and damage.