La fotografia scattata dal Green Book 2022 permette di descrivere un settore rifiuti che in Italia sta affrontando una serie di importanti riforme strutturali, ma con ancora numerose difficoltà da superare, soprattutto in termini di abbattimento dei tempi e snellimento delle procedure autorizzative, di accettazione sociale e governance locale. Dalla pubblicazione promossa da Utilitalia e curata dalla Fondazione Utilitatis - quest’anno in collaborazione con ISPRA - si evince che è necessario attivare investimenti per colmare il fabbisogno impiantistico, superare la frammentazione gestionale e completare il processo di attuazione della governance locale.

Nel 2020 sono stati raccolti rifiuti urbani e assimilati per 29 milioni di tonnellate, in calo rispetto al 2019 di oltre 1 milione di tonnellate, per effetto della chiusura di numerosi esercizi commerciali correlata all’emergenza epidemiologica. Considerando le sole aziende attive nel comparto, nel 2020 si sono registrati 13 miliardi di euro di fatturato (circa lo 0,8% del PIL) e oltre 95.000 addetti diretti (1,6% del comparto industria). Tale ammontare è realizzato prevalentemente da aziende di grandi dimensioni che, in termini numerici, risultano in minoranza, mentre prevalgono le aziende di piccole dimensioni: il 51% dei gestori registra un fatturato inferiore a 10 milioni di euro annui, mentre il 3% degli operatori ha un fatturato superiore a 100 milioni di euro, corrispondente al 37% del fatturato di settore.

In merito agli impianti, il Centro e il Sud sono caratterizzati da un deficit importante, testimoniato dai maggiori rifiuti raccolti rispetto a quelli trattati e dal ricorso alla discarica che rimane ancora la principale destinazione (oltre il 60% per il rifiuto urbano residuo - RUR). In queste due aree la frazione organica viene, infatti, avviata prevalentemente a impianti di compostaggio (rispettivamente 78% e 82% dei quantitativi trattati), mentre nell’area del Nord a impianti integrati di trattamento aerobico e anaerobico (il 59% dei quantitativi trattati). A differenza del resto del Paese, il Nord mostra una bassa quota di conferimento in discarica e un altissimo ricorso al recupero energetico (incenerimento) verso il quale sono destinati quantitativi pari al 93% del RUR raccolto. La mancata chiusura del ciclo di gestione rende quindi Centro e Sud dipendenti da altre regioni o da Paesi esteri, per la difficoltà di garantire il recupero e lo smaltimento dei propri rifiuti prodotti.

Per quanto riguarda la frammentazione gestionale, il settore si caratterizza per l’elevata dispersione sia orizzontale, con un elevato numero di operatori, sia verticale, con la presenza di numerosi gestori specializzati nelle fasi a monte o a valle della filiera. Solo il 19% degli operatori si occupa dell’intero ciclo (il dato scende al 2,4% se si considerano anche le gestioni comunali in economia).

Tra le aziende attive nel settore dei rifiuti (oltre 650 unità escludendo le gestioni in economia), il 52% è specializzato nelle fasi di raccolta e trasporto, il 20% è operativo sia nelle fasi di raccolta sia nella gestione diretta di uno o più impianti di recupero e smaltimento, mentre il restante 28% è specializzato nella gestione impiantistica.

Alla frammentazione gestionale si affianca anche una forte discontinuità temporale della conduzione del servizio: l’85% delle gare per l’affidamento dei servizi di gestione dei rifiuti ha una durata pari o inferiore a 5 anni. Questo si traduce in un repentino cambio di gestione nei territori che, in assenza di una governance locale forte e di una pianificazione di lungo periodo, può incidere sui possibili livelli di miglioramento della gestione e della capacità di investimento. Analizzando i bandi per tipologia di attività affidata, si rileva per le fasi della raccolta una durata media degli affidamenti pari a 4 anni, mentre per le attività di avvio a recupero e smaltimento la durata media è pari a 2,5 anni.

Elemento di partenza per superare tali dinamiche è l’attuazione in tutte le aree del Paese della normativa in essere in materia di governance locale, ad oggi attuata in maniera eterogenea, declinata in modelli differenti, talvolta anche in funzione delle diverse fasi del servizio, e caratterizzata dalla contemporanea presenza di deroghe e dall’assenza o inoperatività di Enti di governo. Nonostante diversi di questi siano entrati in operatività nell’ultimo biennio, laddove le Regioni hanno optato per una governance locale, l’organizzazione del servizio per ambiti territoriali ottimali (ATO) non si può dire raggiunta in maniera estesa. Solo in 12 Regioni gli Enti di Governo dell’Ambito (EGA) risultano operativi in tutti gli ATO previsti, mentre nelle restanti aree si osservano situazioni di parziale operatività o totale inoperatività. Laddove gli EGA non risultano operativi, i Comuni rappresentano gli enti territorialmente competenti.

Guardando al futuro, le sfide che spettano al comparto coincidono con il nuovo obiettivo dell’Unione europea in materia, ovvero creare un sistema economico e sociale fondato sul riciclo, limitando la produzione di rifiuti e utilizzando questi come una risorsa. In questo senso, negli ultimi anni la legislazione europea ha iniziato a considerare la gestione dei rifiuti non più come una questione legata semplicemente alla salute pubblica e all’ambiente, ma come uno dei settori chiave all’interno delle strategie per l’uso efficiente e sostenibile delle risorse. Per questa ragione, le principali direttive sui rifiuti sono soggette a revisione, alcune completate, altre tuttora in corso, con un ridisegno profondo del relativo quadro normativo.

Le novità principali introdotte dalle ultime direttive sull’economia circolare, già recepite in Italia, riguardano in particolare: il raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio dei rifiuti urbani fissati al 55% per il 2025, al 60% per il 2030 e al 65% per il 2035;  il limite di conferimento in discarica del 10% dei rifiuti entro il 2035; il rafforzamento dei sistemi di responsabilità estesa del produttore; la definizione dei rifiuti urbani, precedentemente assente nella normativa comunitaria, che permette un confronto più equo dei dati quantitativi raccolti dai vari Paesi membri.

Per avere un’idea delle performance nazionali si consideri che, con riferimento al 2020, l’Italia dichiara un tasso di riciclaggio dei rifiuti urbani pari al 54,4% secondo la metodologia 2  (percentuale di riciclaggio di rifiuti domestici e simili costituiti da carta, metalli, plastica e vetro e altri singoli flussi di rifiuti domestici e simili), e al 48,4% secondo la metodologia 4 (percentuale di riciclaggio del totale dei rifiuti urbani); mentre in termini di conferimento in discarica, la percentuale a livello nazionale risulta pari al 20%, in riduzione rispetto al 2018 (22%). Le medie nazionali nascondono, tuttavia, una situazione molto variegata all’interno del Paese, dove convivono realtà performanti e situazioni ancora molto lontane dalla media nazionale.