In un mercato globale l’approvvigionamento commerciale di minerali, dipendendo da numerosi fattori economici, logistici, competitivi, geopolitici, dovrebbe essere sempre accompagnato da soluzioni locali più sicure che possono garantire una certa serenità per permettere di giustificare investimenti di lungo termine.

Le due soluzioni possibili per mitigare l’effetto di “dipendenza” da fattori non controllabili sono:

-      Far leva sull’economia circolare. Questa strategia è largamente applicata a quei materiali come ferro, alluminio, rame, plastica, vetro, carta, oli esausti ecc. dove il mercato è consolidato ed il business model della loro economia circolare è chiaro, collaudato ed applicabile su larga scala da tutti gli operatori interessati (comuni, istituzioni, consorzi, industrie, servizi…). Nel caso dei minerali utilizzati nelle nuove tecnologie il riciclo non è la soluzione a breve termine perché i mercati crescono in modo esponenziale (vedi caso del litio, terre rare, cobalto ecc) e le quantità recuperabili rappresentano una scarsa percentuale del fabbisogno. Inoltre, la complessità dei manufatti in cui questi nuovi minerali sono impiegati, rendono l’operazione di raccolta, enucleazione e recupero molto costosa e non giustificabile per le economie di scala attuali. Un esempio eclatante è relativo alla quantità di passaggi necessari a smontare un hard disk dal computer per recuperare il magnete permanente al Neodimio: queste difficoltà incidono in modo significativo sui costi del riciclo. Iniziare però a sviluppare processi e “business model” di riciclo dei minerali più esotici è comunque vitale per poter essere pronti a recuperarli in grandi quantità fra 10/20 anni quando i mercati di questi materiali si saranno assestati.

-      L’approvvigionamento da fonti minerarie nazionali resta la soluzione strategica più valida soprattutto per i minerali legati alla transizione energetica in quanto permetterà di avere un ruolo attivo sul mercato di queste materie prime indispensabili e giocare con i partner mondiali una partita alla pari.

La domanda però che ci si pone è: Dove? Come? E chi accetterà nel nostro paese una ripresa dell’attività mineraria?

Prima di rispondere a questa domanda proviamo a fare un passo indietro e a spiegare quali sono i minerali utili per la transizione energetica. Si tratta di tutti i minerali contenenti gli elementi della tabella di Mendeleev. La storia delle tecnologie dell’uomo, infatti, parte prima dalla scoperta dei metalli come il rame, lo zinco, lo stagno ed il ferro per la fabbricazione di utensili e poi dall’utilizzo degli altri elementi richiesti durante il corso della rivoluzione industriale indispensabili per i processi industriali, l’agricoltura, l’alimentazione, il settore farmaceutico e gli usi domestici. Sarà però dopo la Seconda guerra mondiale che l’uomo scopre l’impiego degli elementi radioattivi utili alla produzione di energia e da qualche decennio quelli più esotici che vantano caratteristiche elettromagnetiche uniche da utilizzare nel digitale e nelle nuove frontiere della produzione di energia.

Questo per dire che è sbagliato pensare che serva solo litio e cobalto per le batterie o il neodimio ed il samario per i magneti permanenti; in realtà sono necessari tutti quei minerali vitali per le nostre industrie tradizionali (fondamentali per garantire il benessere dell’umanità) e che alcuni geologi considerano già scarsi come nel caso del rame, dello zinco, del manganese, del boro, del potassio, del fosforo, solo per citarne alcuni.

Oltre ai mercati classici questi minerali “tradizionali” sono impiegati in maniera crescente anche nelle nuove tecnologie. A titolo di esempio, si pensi che nelle nuove auto elettriche alimentate da una batteria di 60kwh troviamo 20-30 kg di litio e cobalto, 60 kg di grafite e 5 kg di terre rare, ma anche 200 kg tra alluminio, rame manganese e nickel, mentre in una città dalle medie dimensioni ogni anno si dismettono (in discarica o accumulati a casa?) 100.000 cellulari che contengono più di un 1 kg di oro, circa 1.500 kg fra cobalto e litio, ma anche quantità equivalenti di altri metalli meno nobili.

Inoltre, se guardiamo alla dimensione dei mercati, alcuni dati ci danno un’idea della criticità di alcuni minerali: se per le terre rare, litio, cobalto il volume di mercato è nell’intorno di 100-200 kt/a per ciascuno, per l’alluminio ed il rame la domanda è rispettivamente di 65 Mt/a e di 20 Mt/a, per arrivare addirittura ai 2.000 Mt/a per i minerali ferrosi. Va da sé, che per poter fornire queste quantità di materie prime lo sforzo estrattivo associato alle produzioni è enorme.

Così come vitale è la tecnologia per trasformarli in prodotti utili: per questo è prioritario impegnare le menti dei nostri validi ingegneri e ricercatori nello sviluppo di processi a basso impatto ambientale e contemporaneamente avere un contesto politico nazionale (e comunitario) tale da supportare e realizzare gli investimenti necessari. Il che presuppone volontà, impegno e definizione delle priorità. Perché senza avere il convincimento e la comprensione della sfida mineraria che ci attende è inutile continuare il discorso sull’importanza dell’approvvigionamento delle materie prime critiche.

Tuttavia, merita rilevare un dato importante: dal punto di vista della cultura mineraria in Italia negli ultimi 30/40 anni abbiamo fatto grandi passi indietro. Alcuni eventi, infatti, hanno contribuito al disfacimento di tale cultura. In primo luogo, sono sparite le grandi aziende minerarie nazionali che vantavano prestigio e tecnologie trasformandosi a poco a poco in mere società di recupero ambientale. Inoltre, sono stati eliminati i distretti minerari, istituzioni tecniche locali altamente specializzate nel settore e molto vicine alle attività minerarie strategiche del paese in grado di aiutare a risolvere le problematiche locali velocemente e con competenza. Oggi questo compito è svolto dalle Regioni che, avendo vaste aree di responsabilità, alcune percepite molto spesso più urgenti della coltivazione mineraria, per carenze di organico tecnico non sono in grado di offrire risposte sui permessi, autorizzazioni e controlli compatibili con i tempi di business. Manca inoltre una formazione universitaria adatta: per molti anni la facoltà di Ingegneria Mineraria è stata eliminata dalle università italiane, segno marcato del poco interesse nel settore. Infine, nella maggioranza dei siti minerari dismessi, sono stati creati parchi geominerari e musei minerari, quasi a volerli relegarli al passato come per dire che “quelle cose si facevano allora ed ora non più, perché siamo evoluti”. In questo modo si rischia di far diventare quel museo folclore e non, come si pretende, cultura mineraria da cui partire per valorizzare il nostro patrimonio geologico.

In una ricerca del 2007 dell’ISPRA commissionata dal Ministero della tutela dell’ambiente e del territorio furono catalogati 3.000 siti minerari in tutta Italia, ubicati soprattutto fra Sardegna (427), Sicilia (724), Toscana (416), Piemonte (375), Lombardia (294), Veneto (114). Di questi siti, oggi ne sono attivi solo 300. Il motivo della loro dismissione, nella maggior parte dei casi, fu legato agli alti costi di produzione rispetto al costo del materiale d’importazione, alle tecniche di estrazione troppo impattanti non più al passo coi tempi, ma anche alla forte pressione ambientalista.

Eppure, nel catalogo dei minerali presenti nel territorio italiano se ne possono trovare molti che sono tuttora interessanti come il titanio in Liguria, la blenda e galena nella Bergamasca, l’antimonite nella provincia di Grosseto, il cobalto a Usseglio, ecc. Inoltre, da non trascurare, ma da approfondire in uno studio da rilanciare con una certa sistematicità è la composizione del minerale associato (cioè dello scarto minerario) di quelle attività minerarie che al tempo furono classificate con il nome del minerale principale. L’esperienza diretta sul campo restituisce sorprese veramente inattese.

Per poter garantire, però, una ripartenza sostenibile dell’industria estrattiva italiana, oltre al superamento delle criticità descritte e al supporto della politica, è necessario fare un salto di qualità e applicare nuovi paradigmi. L’attività di coltivazione mineraria, non dovrà essere fine a sé stessa, ma dovrà essere integrata in un progetto ambientale importante, come per esempio: il recupero di aree inquinate, la costruzione di invasi di acqua per l’agricoltura, la produzione di energia da fonti alternative, il miglioramento dell’impatto paesistico. In sintesi, un progetto con due risvolti positivi: condiviso con il territorio che ne avrebbe un ritorno non solo economico ma soprattutto ambientale e con la valenza di costituire un progetto strategico industriale per il paese.

Le opportunità che si possono sviluppare partendo dal nostro patrimonio geologico, rispettando ovviamente gli standard ambientali del nostro tempo ed utilizzando tecnologie all’avanguardia in termini di sostenibilità e sicurezza del personale, sono tante, e anche se non riusciremo ad essere indipendenti completamente dall'estero per l’approvvigionamento di numerose materie prime, sicuramente, come industria nazionale potremo giocare un ruolo attivo nel mercato delle materie prime minerarie e soprattutto delle tecnologie associate.

*Past board member Assorisorse