Spesso mi sono sentita dire che il tema delle emissioni di metano è un tema troppo tecnico e ingegneristico, difficilmente assimilabile a problematiche politico-sociali di ampio respiro. Ma la situazione di emergenza energetica e climatica che ci troviamo ad affrontare dimostra invece quanto questi due aspetti siano intrinsecamente correlati. Tanto più che se si parla di transizione energetica, si intende un periodo di passaggio da fonti di produzione basate sui combustibili fossili, a un più efficiente paradigma a emissioni zero, con un mix di energie rinnovabili e nuovi gas.
Il gas naturale è stato considerato, già dall’inizio, un combustibile fossile adatto alla transizione, in quanto meno impattante di petrolio e carbone, pur mantenendo il problema delle emissioni di metano e il loro ruolo come motore del riscaldamento globale. Facciamo un passo indietro e torniamo ai fondamentali: gas naturale e metano, nel linguaggio comune, sono spesso considerati sinonimi. E questo perché il metano è la componente principale del mix di sostanze che compongono il gas naturale. Ora, il metano è anche un potente gas serra, pari per importanza alla CO2 per i suoi impatti sul riscaldamento climatico. Le fonti emissive di metano non riguardano solo il settore energetico: circa il 60% delle emissioni globali di metano sono di origine antropica, sono cioè fonti emissive create dall’uomo, di cui le principali sono la produzione e l'uso di combustibili fossili (circa un quarto), la gestione dei rifiuti (circa un quarto) e l'agricoltura intensiva (circa la metà).
Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), nell'ultimo secolo, la quantità di metano in atmosfera è più che raddoppiata ed è responsabile di circa il 30% del riscaldamento globale dall'epoca preindustriale. A livello molecolare, il metano è più potente dell'anidride carbonica. Sebbene decada in atmosfera, ha un effetto molto significativo sul clima, tanto che nell’arco dei primi 20 anni dal suo rilascio in atmosfera, una molecola di CH4 presenta un potenziale di riscaldamento di oltre 80 volte superiore rispetto a una molecola di CO2. Questo, il quadro generale degli impatti climalteranti del metano da tutte le fonti: aanche il biometano può essere fonte emissiva di CH4 se la sua produzione e utilizzo non avvengono con criteri ambientali di contenimento. La sua origine non fossile non è garanzia di minor impatto, una molecola di CH4 rimane pur sempre una molecola di CH4.
Ma perché vogliamo concentrarci sul settore energetico, quando per esempio l’agricoltura intensiva risulta ad oggi una fonte antropogenica più impattante rispetto al settore Oil&Gas? Perché per rallentare velocemente il tasso di riscaldamento globale, l’opzione più adatta e conveniente è contrastare l’inquinamento da metano causato da petrolio, gas e carbone, se si vuole mantenere raggiungibile l’obiettivo di 1.5°C di Parigi ed essere seri nell’affrontare un problema che è ormai sotto gli occhi di tutti. Secondo l’AIE, il 70% delle emissioni di metano in questo settore può essere ridotto utilizzando le tecnologie esistenti. Inoltre, secondo il Global Methane Assessment, il 60-80% delle misure di mitigazione disponibili nel settore Oil&Gas hanno costi netti bassi o nulli.
Quindi, restiamo nell’ambito energetico e arriviamo al nodo di congiunzione tra sicurezza energetica ed emissioni di metano, sottolineando come il problema della sicurezza energetica si lega ora più che mai alla necessità di evitare ogni spreco di gas, risorsa sempre più costosa. Per facilitare la comprensione con un esempio immediato, si prenda a riferimento l’ultimo aggiornamento del Methane Tracker dell’AIE. Qualcuno potrebbe affermare che si tratta di stime e non di numeri certi, ma è anche vero che siamo in attesa del regolamento UE sul metano dal settore energetico che appunto mira a migliorare la qualità delle rilevazioni e quindi dei dati emissivi. Ma questo riguarda le emissioni europee, mentre è necessario guardare anche a cosa succede nei paesi esportatori.
Torniamo all’esempio. L’AIE sostiene che se nel 2021 le perdite globali di metano dalle attività di Oil&Gas fossero state catturate e vendute, i mercati del gas naturale sarebbero stati riforniti con altri 180 miliardi di metri cubi di gas naturale. Sempre nel 2021 le importazioni europee di gas dalla Russia sono state pari a circa 150 miliardi di metri cubi. E ancora: il recente accordo tra Italia e Algeria per i 9 miliardi di metri cubi di gas all’anno, prevede un’accelerazione allo sviluppo di progetti upstream dei campi algerini. Ma queste nuove perforazioni – con relativo rischio di nuove emissioni – semplicemente non sarebbero necessarie se si recuperasse il gas bruciato in torcia in quel Paese: circa 10 miliardi di metri cubi l’anno, secondo l’agenzia Capterio, specializzata in queste ricerche.
Un importante passo avanti è stato compiuto con la pubblicazione del RepowerEU, che affronta anche il problema delle emissioni associate al gas importato con i nuovi accordi in sostituzione del gas russo. L’Unione si impegna a garantire che le forniture aggiuntive di gas siano accompagnate da azioni mirate a contrastare le perdite di metano e a creare programmi cosiddetti You collect/We Buy. I recenti protocolli di intesa firmati dall’UE con Egitto, Israele e Azerbaijan fanno chiaro riferimento a quanto indicato dal RepowerEU sulle emissioni di metano, ma anche al Global Methane Pledge, un’iniziativa congiunta di UE e USA, di cui l’Italia è stata tra i primi firmatari.
Lo scorso 17 giugno l’iniziativa è stata integrata con la comunicazione sul Global Methane Pledge Energy Pathway, specifica per il settore energetico. Undici paesi, tra cui l’Italia, si sono uniti a UE e USA come iniziatori di questo percorso settoriale verso il raggiungimento degli obiettivi generali sanciti lo scorso anno alla COP26. Ulteriori sviluppi si potranno avere alla Conferenza Ministeriale durante la prossima COP27, e ci si aspetta che molti paesi, soprattutto gli 11 firmatari dell’Energy Pathway, presentino piani nazionali di riduzione. L’Italia, nel suo ruolo di secondo importatore europeo di gas naturale può fungere da apripista nella definizione sia delle regole europee sia dei patti internazionali, saldando il nesso tra sicurezza energetica e tutela del clima.