Il mantenimento di una condizione di sicurezza energetica rappresenta ormai un obiettivo prioritario di politica estera, che accomuna sia gli stati produttori ed esportatori, sia le nazioni che dipendono fortemente dalle importazioni per soddisfare la domanda ed i consumi interni. Se partiamo dalla definizione di sicurezza energetica, si può notare che essa si declina in modo differente per i paesi consumatori - dove la sicurezza energetica si configura come “la disponibilità di approvvigionamenti energetici regolari a prezzi moderati” - rispetto ai paesi produttori - “ottenere introiti sicuri dalla vendita degli idrocarburi nei mercati internazionali”. A dire il vero, esiste un principio importante che le accomuna, ovvero la minaccia rappresentata da un’improvvisa interruzione delle forniture, che danneggerebbe la sicurezza energetica di entrambi in assenza di un’efficiente strategia di diversificazione geografica delle rotte d’approvvigionamento (importazione ed esportazione) e delle fonti utilizzate nel mix energetico per produrre energia elettrica.
Data l’importanza della sicurezza energetica per lo sviluppo economico-industriale degli stati, le infrastrutture energetiche (raffinerie, pipelines, depositi di stoccaggio, terminal di rigassificazione, reti di distribuzione elettrica) sono progressivamente diventate obiettivi appetibili per attentati terroristici, attacchi cibernetici o comunque di azioni mirate all’interruzione degli approvvigionamenti e capaci di provocare danni economici e sociali oltre ad impattare sulla crescita economica. La necessità di garantire una maggiore protezione alle infrastrutture energetiche per ridurre i rischi e le minacce ha portato le autorità politiche a riconoscerle come critical energy infrastructures (CEI). Merita inoltre rilevare l’importanza che questo principio assume soprattutto nella UE, in ragione della profonda interconnessione e dell’elevata interdipendenza delle infrastrutture energetiche, sensibili agli effetti devastanti che improvvise interruzioni possono avere sulla sicurezza energetica degli stati, con i cosiddetti “effetti a cascata”.
La protezione delle infrastrutture energetiche critiche implica una dimensione militare-securitaria nel senso ampio del concetto, che comprende anche un’attività preventiva di controllo e monitoraggio indirizzata a proteggere le infrastrutture da attacchi fisici-distruttivi: attacchi di questo tipo non si sono mai verificati in Europa (in realtà, neppure nel conflitto armato russo-ucraino pipelines o centrali nucleari sono state effettivamente colpite, subendo una riduzione o chiusura delle attività). In ambito globale, si rilevano invece numerosi attacchi in Medio Oriente, alcuni andati a segno (raffineria di Abqaiq in Arabia Saudita nel 2019, petroliere nel Mar Arabico), mentre altri sono stati sventati per l’elevato livello di sicurezza che circonda tali infrastrutture, come quello evitato nel 2006 da forze di sicurezza saudite ed americane (ingaggiate dalla Saudi Aramco) in Arabia Saudita, organizzato da Al Qaeda.
Agli attacchi fisici alle CEI, si aggiungono poi le minacce cyber, un’evoluzione pericolosa delle sfide inerenti alla difesa della sicurezza energetica, in quanto difficili da individuare nonostante un accurato lavoro di prevenzione a causa dell’elevata vulnerabilità delle smart grids, della digitalizzazione ed automazione dei sistemi di produzione e di distribuzione dell’energia.
Anche la NATO riconosce l’importanza di proteggere la sicurezza energetica tra i membri dell’Alleanza, puntando soprattutto su iniziative che mirino ad estendere la protezione delle CEI e garantire rifornimenti sicuri ed efficienti ai propri effettivi dislocati in operazioni militari.
Tra le infrastrutture critiche, la NATO considera una priorità la sicurezza degli elettrodotti, per il ruolo che l’elettricità è destinata ad assumere nella transizione energetica globale, soprattutto la “clean electricity”, ovvero prodotta da fonti rinnovabili. Considerato che la protezione delle CEI spetta agli stati nazionali, il ruolo della NATO verte sul rafforzare la resilienza del sistema energetico e dei sistemi di protezione degli stati membri per prevenire interruzioni.
Nel nuovo Concetto Strategico della NATO, adottato al summit di Madrid 2022, anche quello di sicurezza energetica è stato aggiornato e declinato sulla base del mutato quadro geopolitico, dove “attori autoritari e rivali strategici” possono porre in essere delle azioni e minacce cibernetiche, colpendo la regolarità degli approvvigionamenti. Per questo occorre ridurre la vulnerabilità, garantendo una maggiore resilienza ed efficienza per prevenire gli effetti della cosiddetta guerra ibrida.
La sfida della hybrid warfare, delle minacce poste in essere anche da attori non statali che utilizzano mezzi militari o non (disinformazione, attacchi cibernetici, ecc), saranno il banco di prova per la NATO per garantire la sicurezza energetica degli stati membri. In Ucraina, tra il 2015 e il 2016 attacchi cibernetici attribuibili a Mosca hanno provocato blackout energetici ed interruzioni nella rete di distribuzione energetica. Questi sono stati riparati nel breve periodo, ma hanno dimostrano l’elevata vulnerabilità degli stati e la necessità di coordinare le iniziative volte a ridurre l’impatto di queste minacce.