Di fronte all’attuale disastro energetico, la Commissione europea, guidata dal duo von der Leyen-Timmermans, fa squadra per difendere la sua visione sull’energia che difficilmente, però, merita di essere chiamata strategia. Il commissario per la concorrenza Margrethe Vestager, prendendo atto della calamitosa situazione energetica, ha dichiarato che l'Europa “non è ingenua ma avida”, come a dire che se la Russia oggi usa l’arma energetica per ricattarci ciò non dipende anche dalle scelte di Bruxelles, ma da quelle delle imprese che, per anni, hanno fatto profitti acquistando energia a buon prezzo da Mosca. Spesso, di fronte agli scarsi risultati, la natura umana si ostina a perseguire il vicolo cieco.
La risposta delle istituzioni comunitarie alla crisi attuale arriva il 18 maggio 2022, quando la Commissione europea ha pubblicato un aggiornamento del piano REPowerEU originariamente proposto l'8 marzo, per ridurre rapidamente la dipendenza dai combustibili fossili russi e accelerare la transizione verde. La differenza tra le due comunicazioni sta solo nei dettagli e negli obiettivi quantitativi del disegno proposto. Che il primo documento, pubblicato solo 12 giorni dopo l'inizio della guerra, non potesse avere una grande valenza strategica, è anche comprensibile, quel che, invece, è sorprendente è che anche il secondo documento, del 18 maggio, persista nello stesso utopismo.
Eppure eravamo sulla buona strada. Dal 2000 al 2005, la Commissione guidata da Romano Prodi aveva sviluppato una politica energetica lungimirante. In particolare, il Libro Verde sulla sicurezza degli approvvigionamenti energetici aveva indicato una vera e propria strategia in materia. Chi scrive, in qualità di funzionario della Commissione, allora responsabile dell'informazione e della comunicazione di queste politiche, ha vissuto l'entusiasmo che questo approccio equilibrato e vantaggioso aveva suscitato in tutti gli ambienti istituzionali. Prodi, insieme a Loyola de Palacio, allora la vice-presidente della Commissione incaricata dell’energia e dei trasporti, aveva proposto la diversificazione delle fonti energetiche, integrando tutti i tipi di energia, insistendo sulla diversificazione dei paesi fornitori e anche sulla diversificazione delle rotte e delle modalità di approvvigionamento. Il tutto volto al raggiungimento della sicurezza delle forniture. Prodi aveva anche lanciato con Vladimir Putin il dialogo energetico UE-Russia. Purtroppo, le Commissioni che si sono seguite hanno gradualmente trascurato questo saggio equilibrio, avviando l'esatto contrario di questa strategia e spingendo sempre più nella direzione delle fonti rinnovabili, tralasciando le altre fonti. Nel frattempo, la Commissione ha abbandonato il dialogo energetico con Mosca e gli Stati membri dell'UE hanno aumentato la loro dipendenza energetica dalla Russia, con la Germania che si rifiutava di costruire anche un solo rigassificatore.
Ma proviamo a capire cos’è il REPowerEU e come verrà finanziato. L’obiettivo principale di REPowerEU è ridurre la forte dipendenza energetica dell'UE dalla Russia, pur rimanendo nel quadro del Green Deal per la transizione energetica. Il nuovo piano verrà sostenuto oltre che dai fondi già stanziati (30% bilancio comunitario 2021-2027 e 30% Fondo Covid EU) anche grazie all’apporto di ulteriori 300 miliardi di euro di finanziamenti (di cui 72 miliardi sotto forma di sovvenzioni e 228 di prestiti): soldi che i nostri nipoti dovranno restituire tra circa 40 anni. Dieci miliardi di euro saranno spesi per le interconnessioni e per facilitare il flusso di GNL tra gli Stati membri, il che, vista l’attuale emergenza, sembra un’ottima iniziativa; 2 miliardi di euro saranno destinati alle infrastrutture petrolifere per aprire i mercati internazionali ai Paesi che non hanno accesso alle petroliere. Tutto il resto sarà destinato alla transizione energetica, e quindi all'efficienza energetica e soprattutto alle energie rinnovabili, che sono già state fortemente avvantaggiate dal fondo Covid, per non parlare del supporto economico ricevuto negli ultimi vent’anni. Stimo che dal 2000 al 2020, l'UE, nel suo complesso, abbia speso più di mille miliardi per promuovere l'energia eolica e solare. Un ammontare già considerevole che solleva, quantomeno, dei dubbi sulla convenienza dell'uso di questi fondi e sui loro prevedibili risultati (ancora nel 2019 queste due fonti coprivano il 2,9% della domanda di energia primaria dell’UE-27) in relazione all'urgenza di svincolarsi dall'energia russa.
Ma andiamo per ordine e iniziamo dall’efficienza energetica. Si tratta di una politica in vigore da 49 anni, il che fa riflettere se davvero agire in tal senso potrebbe arginare l'azione di Vladimir Putin. In modo molto ambiguo, il testo annuncia che: "La Commissione propone pertanto di aumentare l'obiettivo vincolante della direttiva sull'efficienza energetica al 13%". Il 13% in più rispetto all'attuale obiettivo del 32,5% rispetto al 1990? O qualcos'altro?
Passiamo alle rinnovabili. ‘RE’ significa ovviamente Renewable Energy. Per REPowerEU, le energie rinnovabili dovrebbero rappresentare il 45% dell'energia primaria entro il 2030 e l'energia solare dovrebbe fornire la metà dell'energia rinnovabile dell'UE. A tal fine, la Commissione intende rendere obbligatoria l’installazione di pannelli solari su tutti gli edifici pubblici e commerciali dell'UE entro il 2025 e su tutti i tetti dei nuovi edifici residenziali entro il 2029. Si propone, inoltre, di accelerare le procedure amministrative per il rilascio dei permessi di costruzione. Quando ho redatto la Direttiva 2009/29, avevamo già introdotto questo obbligo all’articolo 13. Non si tratta quindi di una novità. In fondo, dalla prima crisi energetica - cioè da 49 anni - le idee originali sono poche. Il riferimento al solare non è casuale: sembra, infatti, che REPowerEU si stia concentrando molto di più su questa fonte invece che sull'energia eolica, a differenza di quanto fatto in precedenza, probabilmente in ragione della crescente opposizione popolare alle turbine eoliche. Serve però che si prenda coscienza che non sarà così facile sviluppare questa fonte, visto che la Cina continuerà a produrre pannelli solari in modo competitivo. La stessa Margrethe Vestager ha riconosciuto che "per i pannelli solari e i semiconduttori, molti materiali provengono ora da Cina, Russia o Ucraina."
Un’altra sfida riguarda poi le rinnovabili: ed è quella del calore. Serve energia per riscaldarsi, ma i pannelli solari e le turbine eoliche non possono fare molto per questo. REPowerEU sta spingendo per raddoppiare l'uso delle pompe di calore, che erano già state incluse nella Direttiva 2009/29. Tuttavia, per poter soddisfare un mercato crescente, occorre anche poter utilizzare la giusta quantità di gas refrigeranti. Auspichiamo quindi che le nuove direttive sui cosiddetti F-gases (gas fluorurati) tengano nel dovuto conto le esigenze produttive, per evitare una scarsità di materia prima che renderebbe impossibile raggiungere gli obiettivi prefissati.
Quanto all’idrogeno, REPowerEU fissa un obiettivo di 10 milioni di tonnellate di produzione interna di idrogeno rinnovabile e di 10 milioni di tonnellate di importazioni di idrogeno verde entro il 2030. Oggi, però, la produzione di quest'ultimo è nulla, mentre il consumo di idrogeno non verde per l'industria chimica e petrolchimica è di 130 milioni di tonnellate. Il calore di reazione (entalpia di reazione) ci insegna che la produzione di idrogeno per elettrolisi richiede un'energia 6,9 volte superiore alla sua produzione dal metano. Questo spiega perché la produzione di questo vettore dall'elettrolisi dell'acqua non è mai stata presa in considerazione dall’industria. Per di più, l'idrogeno è un cannibale dell'elettricità verde, perché o l'energia viene immessa nella rete o viene utilizzata per produrre idrogeno.
Si avanzano quindi idee per utilizzare l’energia rinnovabile generata fuori dell’Europa, producendo idrogeno verde in Africa, ma si tratta di una proposta che rischia di spingere verso una nuova forma di colonialismo: l’ecocolonialismo. Come si può pensare, dal punto di vista etico, di produrre un prodotto di lusso in un continente in cui nemmeno la metà della popolazione è collegata alla rete elettrica? Senza contare che spedirlo in Europa comporta una notevole perdita di energia. Se questi paesi avessero la capacità economica di produrre elettricità da fonti rinnovabili intermittenti (come facciamo noi con i finanziamenti), dovrebbero usarla per garantire l’accesso all’energia alla popolazione locale e per prosperare più di noi (per maggiori dettagli, rimando al mio libro The Hydrogen illusion e a 4 articoli pubblicati con Alessandro Clerici su RivistaEnergia.it.). Lascia, infine, perplessi il fatto che i politici italiani e tedeschi, nelle loro trattative per importare gas metano da vari Paesi, insistano a parlare di idrogeno. Cosa penserà, ad esempio, l'Emiro del Qatar di questa bizzarria?
Altro capitolo: l’energia nucleare. REPowerEU non menziona l'importante contributo dell'energia nucleare, che produce più di un quarto dell'elettricità dell'UE. Nonostante sia stata costretta a rivedere l’atto delegato di tassonomia del giugno 2021, per includervi anche l'energia atomica (2 febbraio 2022), Bruxelles continua a non rispettare il Trattato Euratom, che all'articolo 2 stabilisce di “agevolare gli investimenti ed assicurare, incoraggiando le iniziative delle imprese, la realizzazione degli impianti fondamentali necessari allo sviluppo dell'energia nucleare nella Comunità”. Va da sé che la realizzazione di nuovi reattori nucleari arriverà molto dopo la fine della crisi russa. Tuttavia, nel frattempo, come minimo, la Commissione avrebbe potuto - rispettando l'articolo 194.2 del Trattato di Lisbona - invitare Germania e Belgio, vista l'urgenza, a non chiudere - almeno immediatamente - le loro centrali nucleari. È strano la Commissione preferisca parlare della fantascienza dell'idrogeno e non della produzione effettiva di energia nucleare per coloro che hanno impianti in attività.
Quanto alle altre misure, per quanto si tratti di idee sempre molto nobili, come li chiama Alberto Clò in Rivista Energia, non hanno nulla a che vedere con la possibilità di evitare rapidamente le importazioni di gas o petrolio russo. Il tasso di rinnovo del parco immobiliare europeo, per esempio, è in media dell'1% all'anno e quindi ci vorrà un secolo per rinnovarlo completamente. Non si distrugge un edificio, una casa, per renderlo energeticamente efficiente al fine di evitare l'importazione di gas. Tra l’altro già la direttiva 2010/31 sulla prestazione energetica nell’edilizia obbligava (articolo 9) “entro il 31 dicembre 2020 tutti gli edifici di nuova costruzione ad essere a energia quasi zero”. Ma quanto di quella utopistica proposta è stato raggiunto?
Dalla disamina delle politiche sopra esposte, emergono forti incertezze sulla buona riuscita del piano a cui se ne aggiungono delle altre, per nulla trascurabili. 1) Difficoltà a sostituire il gas russo. L'obiettivo dell'UE è quello di ridurre di un terzo le importazioni di gas dalla Russia entro la fine dell'anno e di essere liberi dal gas entro il 2027. Appurato che ricorrere a fonti alternative al gas richiede tempo, nel frattempo per sopperire all’ammanco russo, da dove importiamo il gas che serve all’Europa? Il mercato del gas non ha aspettato REPowerEU per assicurarsi il proprio futuro e lo stesso giorno in cui Mosca ha riconosciuto l'indipendenza delle due repubbliche secessioniste ucraine (Donetsk e Luhansk), il Forum dei Paesi esportatori di gas riunito nel Qatar ha avvertito che l'UE non dovrebbe fare affidamento su di loro, poiché la loro produzione futura è già stata venduta ai Paesi asiatici che hanno sviluppato una politica energetica a favore dei combustibili fossili. Che i leader europei si rivolgano all'Algeria, al Senegal, al Congo, all'Azerbaigian, al Qatar o ad altri, non significa che il gas di questi paesi fluirà in modo sufficientemente rapido e significativo verso l’Europa. Il gas è una commodity che non può essere acquistata come al supermercato. Né tanto meno si può pensare sia facile sviluppare un meccanismo di acquisto congiunto volontario e operativo per negoziare e contrattare a nome degli Stati membri, come vorrebbe la Commissione. Dal 1951, la Commissione non ha mai acquistato energia e i Trattati non prevedono alcuna disposizione in merito. Va ricordato che, sebbene il Trattato Euratom prevedesse l'acquisto di uranio da parte dell'Agenzia per l'approvvigionamento nucleare, questa clausola non è mai stata applicata, ma anzi è stata aggirata: la Commissione si limita a siglare i contratti negoziati e firmati dalle società nazionali. Ma poi, ammesso che ciò avvenga su base volontaria, i grandi gruppi energetici lascerebbero i funzionari di Bruxelles negoziare per conto loro? Sulla base di quale esperienza e competenza? Ricorrendo a consulenti? Non dimentichiamo che il mandato ottenuto dalla Commissione europea nel 2011 per negoziare l'arrivo del gas dai Paesi del Mar Caspio orientale attraverso l'ipotetico gasdotto transcaspico è stato abbandonato senza che nessuno lo dicesse, né tantomeno ammettesse l'incongruenza geopolitica dell'iniziativa. Inoltre, nessuno venderà gas agli Stati membri senza garantire contratti take-or-pay per almeno 20 anni e al prezzo anormalmente alto di oggi. Questo ci porterà almeno al 2045 ad avere un elevato consumo di energia fossile ad un prezzo alto. In totale contrapposizione con il proclama anti-carbonio, l'UE paga e pagherà un prezzo alto per il suo disarmo unilaterale del gas.
2) Il contributo dell’energia ucraina. La Commissione ripone stranamente una speranza infondata nell'energia proveniente dalla martoriata Ucraina. “Non appena saranno completati i necessari miglioramenti tecnici, il sistema consentirà agli Stati membri della regione di acquistare l'elettricità in eccesso dall'Ucraina, compensando così una parte della riduzione delle importazioni di gas». Per facilitare l'importazione di idrogeno rinnovabile, la Commissione intende importare «non appena le condizioni lo permetteranno » questo gas dall’Ucraina. Ma come è possibile pensare una cosa del genere, quando il Paese è così dipendente dalla Russia per l'energia (cosa succederà se quest'inverno Mosca chiuderà la valvola del gas che riscalda le case ucraine?), dove i parchi eolici sono quasi inesistenti, per non parlare del lusso dei pannelli solari? La regione del Dnieper-Donetsk - dove infuria la guerra - rappresenta il 90% della produzione di gas naturale e rischia di andare perduta, così come il bacino di Skifska al largo della Crimea. Nel 2019, quasi la metà (45%) del carbone consumato in Ucraina è stato importato e l'Ucraina ha bisogno di acquistare dall’estero il 35% del suo consumo energetico. Nel 2020, quattro centrali nucleari con 15 reattori hanno generato oltre il 51% della fornitura totale di elettricità. Questo ottimismo verde, in un Paese che dovrà sostenere una ricostruzione energetica, è sorprendente. Tutto ciò sembra dimostrare che REPowerEU non è altro che un catalogo politico che ha poco a che fare con l'analisi dei fatti.
3) La scarsa consapevolezza dell'importanza della raffinazione del petrolio e le difficili implicazioni per i prodotti raffinati. REPowerEU non menziona affatto questa criticità, che invece deve essere affrontata.
Concludendo, “RE" sta ovviamente per "energia rinnovabile", ma siamo tornati a bruciare carbone per evitare il gas russo. Un banchiere mi ha fatto notare che REPowerEU potrebbe portare a RIP... UE. Speriamo proprio di no! L'UE ha bisogno di energia abbondante e a basso costo, come hanno dichiarato i fondatori della Comunità europea a Messina il 2 giugno 1955. Margrethe Vestager si sbaglia: l'UE è stata più ingenua che avida, ingenua nel pensare che possiamo fare a meno dei combustibili fossili. Il fatto evidente è che negli ultimi anni la sicurezza energetica è stata colpevolmente trascurata dall'UE, che ha pensato solo alle energie rinnovabili, ignorando il fatto che più di tre quarti dell'energia consumata dall’Unione è costituita da combustibili fossili. Nell'organigramma della Direzione generale dell'Energia della Commissione europea non c'è nemmeno traccia di queste energie che comunque ci permettono di vivere. Per soddisfare la domanda di energia di imprese e cittadini, i combustibili fossili saranno vitali ancora per lunghi anni. La soluzione, anche a medio termine, non può prescindere da una completa riabilitazione dell'energia convenzionale e dunque anche da un rilancio delle trivellazioni nell'UE.
Samuele Furfari è Professore di Geopolitica dell'energia ESCP London, Presidente della Società europea degli ingegneri e degli industriali, Ex Funzionario della DG Energia della Commissione europea, Dottore in Scienze Applicate e Ingegnere