Il piano REPowerEU ha come obiettivo azzerare entro il 2027 la dipendenza dell’Europa dai combustibili fossili russi, imprimendo un’accelerazione alla transizione e adattando l’economia a fonti e fornitori di energia diversi.

Prima di addentrarci negli aspetti tecnici, è il caso di sottolineare un punto spesso trascurato nel dibattito intorno a questa decisione: affrancarsi dalle forniture di Mosca costituisce anzitutto un dovere morale, un gesto per affermare l’estraneità dell’Europa rispetto alle scelte di politica estera del Cremlino. Si tratta di un’opzione difficile da perseguire, ma a mio parere irrinunciabile. Veniamo ora al provvedimento del Consiglio, concentrandoci in particolare sul legame con il mercato dei permessi di emissione europeo (ETS).

In prima battuta, ci saremmo aspettati che lo scorso 18 maggio l’annuncio di REPowerEU spingesse al rialzo il prezzo delle quote di carbonio. Al contrario, le EUAs (European Union Allowances) hanno perso in cinque giorni circa il 15% del loro valore. La spiegazione risiede nella scelta della Commissione di utilizzare, tra le fonti di finanziamento del piano, la vendita di permessi di emissione detenuti nella Market Stability Reserve (MSR), per un totale di 20 mld di euro.

La MSR, divenuta operativa nel 2019, fu introdotta nel mercato ETS con lo scopo di sostenere il prezzo dei permessi, che da lungo tempo languiva sotto ai 10 euro a tonnellata: si tratta, infatti, di uno strumento non discrezionale che annualmente regola il volume dei permessi sul mercato, garantendo una certa scarsità di offerta, secondo regole precise e prevedibili. Il solo annuncio della sua introduzione portò i prezzi a triplicare in meno di un anno (dai 7,8 euro del 2 gennaio 2018 ai 25 euro del 10 settembre 2018): una conferma di quanto le aspettative giochino un ruolo cruciale sui mercati.

Per questo, secondo alcuni commentatori, la decisione inaspettata della Commissione di disporre della MSR creerebbe un duplice problema: nel breve, uno shock di offerta non trascurabile, rilasciando sul mercato tra i 200 e i 250 milioni di EUA; nel lungo periodo minerebbe la fiducia degli operatori nei meccanismi del mercato, introducendo incertezza e riducendo l’incentivo ad investire.

Cerchiamo di capire se, lasciando da parte il subbuglio creato dall’annuncio, esistono elementi strutturali per determinare un nuovo corso al ribasso del prezzo della CO2 oppure, al contrario, il mercato continuerà a tendere verso i 100 euro/ton. Va detto che, dopo la discesa nei giorni successivi all’annuncio, il prezzo dei permessi è rapidamente tornato ai livelli precedenti. A quanto pare, sebbene da un lato, gli operatori siano suscettibili agli annunci e al tema dell’incertezza, dall’altro, il perdurare delle tensioni sul mercato del gas e il correlato revival del carbone continuano a stimolare la domanda di EUA per coprire le maggiori emissioni.

Per di più, come gli addetti ai lavori sanno, non siamo di fronte alla prima variazione al meccanismo dell’ETS, e nemmeno dell’ultima: da quando fu introdotto nel 2005, lo schema di permessi di emissione europeo ha subito innumerevoli modifiche (miglioramenti, potremmo dire) che lo hanno portato a diventare un termine di raffronto internazionale. Infatti, anche se con l’avvio del meccanismo dei permessi in Cina, l’ETS ha perso il primato di mercato più grande, rimane comunque il più efficiente e ambizioso: un vero e proprio punto di riferimento, il cui prezzo fa da benchmark per tutto il mondo. Le decisioni della Commissione Europea su come gestirlo hanno quindi molta eco e un impatto che va oltre i confini del mercato stesso.

In tema di modifiche, proprio in questi giorni sono al voto della Commissione nuove regole che comprendono, tra l’altro, l’inclusione del settore marittimo, il progressivo abbandono delle allocazioni gratuite entro il 2030 e l’introduzione a partire dal 2025 di un meccanismo bonus-malus che premi gli operatori virtuosi. Nella stessa sessione, si voterà anche il documento sul Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM): un altro tassello della strategia green europea che siamo tutti ansiosi di vedere in azione.

Nel complesso, dunque, nonostante la leggera “sbandata” della settimana scorsa, le aspettative per il futuro dell’ETS sembrano suggerire una crescita della domanda, derivante non solo dall’allargamento a nuovi settori, ma anche dal fatto che al momento non si intravedono tecnologie in grado, nei prossimi cinque anni, di ridurre significativamente le emissioni dei settori coinvolti. La difficoltà risiede ovviamente nel quantificare questa crescita a fronte delle future iniezioni di quote provenienti dalla MSR. Per questo, l’esito del voto di questi giorni sulla riforma del mercato è di grande importanza.

Frans Timmermans, rispondendo alle domande in merito alla decisione della Commissione, ha affermato: “In nessun modo questa manovra ostacolerà il raggiungimento del target di riduzione delle emissioni -55% al 2030”. Secondo le stime della Commissione “il numero delle allowances sul mercato al 2030 resterà in linea con il contributo del 61% previsto per l’ETS al target complessivo: non vediamo nessuna discontinuità nei nostri piani”.

Gli ultimi due anni ci hanno sicuramente insegnato che previsioni e scenari possono rivelarsi esercizi coraggiosi di fronte a certi eventi improbabili e dirompenti. Immaginare l’evoluzione del mercato del carbonio è complesso, ma quello che è certo è che la decisione della Commissione di attingere alla MSR è stata sicuramente valutata e ponderata con prudenza. Bruxelles d’altro canto non ha nessun interesse a svalutare i permessi di emissione, dovendone ricavare, nei prossimi cinque anni, parte dei fondi per finanziare la sua transizione energetica.

Nota: Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non vanno ascritte all’azienda per cui lavora.