Il primo turno delle presidenziali di domenica scorsa in Francia si sono concluse con ancora in lista per la vittoria Emmanuel Macron e la sua storica rivale Marine Le Pen. Il 24 aprile prossimo, la Francia sarà chiamata ad eleggere il suo ventiseiesimo Presidente. Tanti i temi che hanno infiammato la campagna elettorale, tra questi la transizione energetica e il ruolo da assegnare all’energia nucleare. Di questo aspetto ne abbiamo parlato con Carlo Mongini ricercatore dell’Osservatorio Europa e Governance Globale all’ISPI

Come si inserisce il dibattito della transizione energetica all’interno della campagna elettorale alle presidenziali francesi e quali sono gli aspetti distintivi dei programmi partitici nel tema? Nei dibattiti pubblici, come il tema è emerso e ha influenzato l’elettorato?

Il Presidente Emmanuel Macron ha fatto della transizione energetica uno dei temi principali della sua campagna elettorale, ma anche del suo mandato: pensiamo solo al motto “Make Our Planet Great Again” coniato per criticare l’uscita degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi. Lo scorso ottobre ha presentato il piano “France 2030”: una serie di investimenti in fonti di energia pulita che permettano alla Francia di diventare il primo grande Paese ad abbandonare i combustibili fossili.

Tuttavia, in queste elezioni non è tanto la transizione energetica a interessare gli elettori, quanto il suo costo. Non dimentichiamoci che le proteste dei gilets gialli nel 2018 sono scoppiate per via degli aumenti dei prezzi del carburante. Si tratta quindi di un tema caldo tornato prepotentemente di attualità. Con la guerra in Ucraina, i prezzi dell’energia in Francia hanno raggiunto massimi storici, ed è su questo che si concentreranno i due candidati al secondo turno delle elezioni, Macron e Marine Le Pen.

Quest’ultima negli ultimi mesi di campagna elettorale si è concentrata molto sull’aumento dei prezzi dell’energia come conseguenza delle sanzioni europee alla Russia. Questo le ha permesso di raggiungere due obiettivi. Primo, si è tolta, per quanto possibile, l’etichetta di “amica di Putin” condannando l’invasione dell’Ucraina ma senza rinunciare ad attaccare l’UE, uno dei suoi cavalli di battaglia. Secondo, ha riportato il dibattito su un terreno a lei più congeniale, cioè la politica interna, allontanando così l’attenzione da quella estera, punto forte di Macron.

In vista del secondo turno, quindi, si delineano chiaramente i due schieramenti sul tema energetico: da una parte, Macron che cercherà di attirare il voto dei sostenitori della transizione energetica e Le Pen che tenterà di fare leva sugli scontenti per via dell’aumento dei prezzi dell’energia.

Il rinascimento nucleare suggerito da Macron fa gola a molti in Francia e alimenta il sentimento di grandeur nazionale. Come la discussione sul nucleare determina un riposizionamento dei candidati alle presidenziali? Quali i principali punti affrontati durante la campagna elettorale?

L’energia è un tema caldo, e il nucleare è al centro del dibattito. La crisi energetica che sta investendo l’Europa ha rimescolato le priorità energetiche del blocco, anche in Francia. Per Parigi il nucleare non è solo indispensabile – produce il 70% dell’energia elettrica del Paese – ma è anche una componente del sentimento di grandeur perché assicura alla nazione quella sicurezza energetica che oggi è fortemente a rischio a causa del conflitto russo-ucraino. Inoltre, il nucleare appartiene all’immaginario collettivo gollista, essendo una fonte di energia su cui il Generale De Gaulle aveva puntato fortemente. Ma soprattutto, l’importanza del nucleare per l’interesse nazionale è evidenziata dagli sforzi del governo francese perché l’atomo venisse incluso nella tassonomia europea sugli investimenti green. Macron stesso si era speso in prima persona per inserirlo nella lista delle risorse sostenibili, mentre in parallelo il Cancelliere tedesco Olaf Scholz premeva perché fosse incluso il gas. Il successo del Presidente francese ha gonfiato le vele del “rinascimento nucleare”.

Per capire il ruolo del nucleare in queste elezioni, occorre dare un’occhiata più da vicino ai programmi dei candidati al primo turno. Macron prometteva la costruzione di 6 nuovi reattori nucleari e Le Pen e Valérie Pécresse (Repubblicani) lo hanno seguito. Zemmour si era spinto addirittura oltre, promettendo la costruzione di 14 centrali da qui al 2050. A sinistra, invece, Jean-Luc Mélenchon (La France Insoumise) e Yannick Jadot (Verdi) chiedevano l’abbandono del nucleare per puntare sulle rinnovabili, mentre Anne Hidalgo (Partito Socialista), in maniera più cauta, si opponeva semplicemente alla costruzione di nuovi reattori. In controtendenza con gli altri candidati del blocco di sinistra, il leader del Partito comunista Fabien Roussel puntava sul nucleare, promettendo la costruzione di almeno sei nuove centrali.

Al secondo turno avremo due candidati entrambi a favore del nucleare, ma sarà probabilmente Macron ad attirare maggiormente il voto ambientalista per i punti espressi sopra.

Giovani, Fridays for future e movimenti ambientalisti. Chi in Francia va a caccia di questo elettorato e quanto pesa? Quali le prospettive di vedere un partito dei Verdi francesi nei prossimi 10 anni offrire un candidato realmente papabile per l’Eliseo?

Come abbiamo visto, i partiti di sinistra danno voce a posizioni più vicine all’elettorato ambientalista e sarà probabilmente Macron a ereditare questi voti al secondo turno. Ma credo che in queste elezioni l’elettorato dei gilets jaunes abbia un peso maggiore.

Se guardiamo ai risultati del primo turno, questo risulta abbastanza evidente. I partiti populisti, come il Rassemblement National di Marine Le Pen, Reconquête di Éric Zemmour o La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon ormai rappresentano complessivamente più della metà dell’elettorato francese. E, secondo prime analisi sul voto di domenica scorsa, sono principalmente questi tre partiti a spartirsi i voti dei gilets gialli, che sono interessati più a temi come aumento dei prezzi e diseguaglianze che al cambiamento climatico.

Sul futuro dei Verdi non è facile fare proiezioni. Il partito è andato storicamente meglio nelle elezioni europee (prese il 13,48% nel 2019, risultando terzo partito) ma a livello nazionale non ha mai ottenuto grandi successi: domenica scorsa il leader Yannick Jadot ha ottenuto solamente il 4,6% dei voti. Questo in parte perché altri partiti si sono intestati battaglie proprie degli ambientalisti – come quello dello stesso Macron o La France Insoumise – e anche perché, come detto, per gli elettori conta di più il prezzo della transizione energetica che i modi per attuarla.

Secondo Lei, la guerra russo-ucraina e la corsa disperata dei governi a sganciarsi il prima possibile dalle forniture di Mosca, potrebbe fare rivedere le scelte dei paesi europei in materia di nucleare? L'atomo potrebbe essere considerato come una valida alternativa alle fonti fossili russe, ancor di più perché la sua impronta carbonica ben si sposa con le politiche di decarbonizzazione?

Quello che sta accadendo in Ucraina e le conseguenze che questo ha sui prezzi dell’energia non possono che spingere a una riflessione europea sulle fonti su cui bisogna investire nei prossimi anni. Non solo per ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, ma anche per rendere l’UE più autonoma da un punto di vista energetico. È un dibattito che rientra sotto il cappello della cosiddetta “autonomia strategica”, uno dei cavalli di battaglia di Macron che include settori disparati, come commercio, difesa ed energia.

Il ritorno del nucleare non è solo un fenomeno francese. Il governo belga, per esempio, dopo l’invasione russa dell’Ucraina ha posticipato di dieci anni l’abbandono del nucleare, previsto inizialmente per il 2025. Se dovesse arrivare a tanto anche la Germania – che ha in piano di abbandonare il nucleare entro la fine dell’anno – allora potremo davvero vedere cambiare qualcosa a Bruxelles, ma Scholz ha ribadito che non farà passi indietro su questo. Tuttavia, penso che l’urgenza della diversificazione porterà a cambiamenti nei singoli Paesi membri per quanto riguarda gli investimenti in fonti alternative ai fossili, a maggior ragione perché il mercato europeo dell’energia cambierà sensibilmente dopo il conflitto russo-ucraino.