Nelle ultime settimane mi sono molto occupata della siccità che ha colpito l’Italia, e in particolare quella del Nord. Ma un conto è guardare, orripilata, le cartine e i dati del CNR-IRPI, un conto è stato attraversare il Piemonte in treno e trovarsi di fronte un paesaggio texano, in barba alle tradizioni agricole e produttive di quelle zone. Il cambiamento climatico non è affatto un problema che riguarda solo chi ha a cuore l’ambiente, ma sempre più esce dai testi scientifici e riguarda tutti.

Stiamo già pagando conseguenze molto pesanti per la crisi climatica di origine antropica: è una nuova realtà e nel contempo un terribile avvertimento. Nel mentre, l’allarme degli scienziati è divenuto sempre più pressante. La seconda parte del sesto rapporto di valutazione dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che riassume le ultime ricerche scientifiche sugli impatti dei cambiamenti climatici, l'adattamento e le vulnerabilità e segue quello sulla scienza del clima pubblicato nell’agosto scorso, dipinge un quadro preoccupante di rischi in rapida crescita che già oggi si fanno sentire in tutto il mondo, compresi danni diffusi alla salute umana ed ecologica. Ogni frazione di grado in più rischia di avere un grandissimo peso e pessime conseguenze.

Per trovare un filo conduttore che ci aiuti a capire le drammatiche e pervasive conseguenze del cambiamento climatico, dobbiamo parlare dell’acqua. Si stima che circa 4 miliardi di persone (su 7,8 miliardi di abitanti della Terra) sperimentino già una grave carenza d'acqua per almeno un mese all'anno. Quando non è gestita e prevista adeguatamente, la siccità è uno dei motori della desertificazione e del degrado del territorio, nonché tra le cause di aumento di fragilità degli ecosistemi e di instabilità sociale. La dimensione degli impatti connessi alla siccità dipende anche dalla vulnerabilità dei settori economici più esposti, tra cui l'agricoltura, la produzione di energia e l'industria, l’approvvigionamento idrico per le abitazioni, gli ecosistemi.

La regione Mediterranea si è riscaldata e continuerà a riscaldarsi in misura maggiore della media globale, particolarmente in estate e diventerà più arida per effetto combinato della diminuzione della precipitazione e dell’aumento dell’evapotraspirazione. Allo stesso tempo, in alcune aree le precipitazioni estreme aumenteranno. Tra i rischi associati al cambiamento climatico nell’area del Mediterraneo c’è una grave e crescente carenza idrica che già oggi affligge paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, con una crescente domanda di acqua da parte dell'agricoltura per l'irrigazione. Tra gli ecosistemi a rischio, anche quelli dei fiumi.

Nell’Europa meridionale, in caso di un aumento della temperatura globale di 1,5°C e 2°C la scarsità idrica riguarderebbe, rispettivamente, il 18% e il 54% della popolazione. Anche l’aridità del suolo aumenta con l’aumentare del riscaldamento globale: con un aumento della temperatura di 3°C l’aridità del suolo risulta del 40% superiore rispetto a uno scenario con innalzamento della temperatura a 1,5°C: mezzo grado di differenza conta moltissimo!

Il susseguirsi sempre più frequente di crisi idriche, dovuto al cambiamento climatico e alla cattiva e caotica gestione delle acque, evidenzia con sempre maggior urgenza la necessità di rivedere le modalità di uso, gestione e tutela del patrimonio idrico. Anche in aree storicamente ricche d’acqua, come la Pianura padana, si assiste sempre più frequentemente al problema della scarsità d’acqua. Risulta sempre più incomprensibile il perché non si avvii una gestione sostenibile della risorsa, come prevedono le direttive europee e i pressanti richiami ad avviare politiche di adattamento al cambiamento climatico. In Europa almeno un terzo delle risorse idriche è destinato all'agricoltura, che incide sia sulla quantità che sulla qualità dell'acqua disponibile per altri usi. In Italia, il settore agricolo assorbe il 60% dell'intera domanda di acqua del Paese, seguito dal settore industriale ed energetico con il 25% e dagli usi civili per il 15%.

L’impatto della siccità si manifesta anche sull'attuale produzione globale termoelettrica e idroelettrica, con una riduzione dal 4 al 5% dei tassi di utilizzo delle installazioni durante gli anni di siccità rispetto ai valori medi a lungo termine dagli anni '80. Tra i principali usi dell’acqua c’è la produzione di energia da idroelettrico, che genera una fetta cospicua di energia da fonti rinnovabili, ma che soffre e soffrirà sempre di più per l’estensione dei periodi di siccità. In Italia, la produzione è garantita da 4.509 impianti (dato ufficiale Terna al 31/12/2020); in questi ultimi decenni c’è stato un notevole incremento di tali impianti, passando dai 2.249 del 2009 al quasi raddoppio di questi ultimi anni. Tale aumento considerevole è dovuto alla diffusione del cosiddetto mini-idroelettrico, favorito dagli incentivi per la loro installazione. Occorre fare di tutto per far convivere al meglio energia idroelettrica e salute ecologica dei fiumi, cessando di moltiplicare gli impianti in modo insostenibile e assicurando invece il recupero e la buona gestione degli impianti esistenti, con l’armonizzazione delle diverse esigenze dettata e controllata dalle Autorità di Bacino.

Quali dunque le soluzioni? L’obiettivo prioritario è quello di raggiungere emissioni nette di CO2 zero prima del 2050 per rispettare l’Accordo di Parigi sul clima. Oltre a una massiccia e rapida decarbonizzazione, vanno promossi progetti ispirati alle soluzioni basate sulla natura (Nature Based Solutions, NBS) con la protezione, il ripristino e la gestione sostenibile dei serbatoi naturali di carbonio, ovviamente non in alternativa all’imprescindibile abbattimento delle emissioni. Le NBS favorirebbero, per esempio, la naturale ricarica delle falde in aree agricole o il drenaggio sostenibile in aree urbane o una diffusa rinaturazione degli ecosistemi d’acqua dolce che consenta anche il ripristino dei servizi ecosistemici. In questo senso il progetto di rinaturazione del Po, nato su proposta del WWF e ANEPLA e adottato dal Ministero della Transizione Ecologica che lo ha inserito nel PNRR, rappresenta il più grande progetto di riqualificazione ambientale e adattamento ai cambiamenti climatici in Italia sul quale sono stati investiti 357 milioni di euro del Recovery Fund.  Un altro fattore essenziale per combattere la crisi idrica indicato dal WWF è la pianificazione a livello di bacino idrografico con il coordinamento di un soggetto unico, l’Autorità di bacino distrettuale, in grado di definire le priorità a scala di bacino. Infine, occorre rivedere il sistema di concessioni, assolutamente inadeguato per la situazione attuale, riassegnando le quote di derivazione per l’agricoltura, per l’idroelettrico e per tutti gli altri usi civili, industriali e ambientali (deflusso ecologico) in base a un bilancio idrico di bacino che garantisca un utilizzo sostenibile dell’acqua; per questo è anche necessario incentivare modalità virtuose di risparmio e di miglior efficientamento della gestione dell’acqua.

Al di là dei provvedimenti legislativi, sarebbe necessario coinvolgere la comunità e i singoli cittadini. Ormai la crisi climatica è una questione di decisioni, strategiche e quotidiane. Tante persone devono mettersi insieme per risolvere i problemi: e dobbiamo augurarci sappiano farlo, anche in nome della pace.