Nell’ultimo ventennio si sono succedute ben tre crisi globali – 11 settembre, crisi finanziaria del 2008, pandemia di Covid-19 – e, nell’attesa dell’emersione di una “quarta crisi” con forti caratteristiche sociali e climatiche, ci accingiamo ad affrontare una tensione internazionale di fronte alla perdurante debolezza delle prospettive generali.
Secondo le principali Istituzioni internazionali tutte le proiezioni di crescita sono state progressivamente riviste al ribasso a causa delle forti incertezze sull’evoluzione dell’improvvisa guerra in Ucraina. La previsione di crescita per l’Area Euro, prima della guerra in Ucraina, si attestava al 4,3% nel 2022 e al 3,9% nel 2023. Nonostante in Italia fossero in aumento i “crescenti venti contrari” – tra cui il rischio di continue interruzioni nelle catene di approvvigionamento in numerosi settori e l’aumento del costo delle materie prime – per il 2022 era comunque prevista una crescita del Pil attorno al 4%, con una tardiva reazione dell’occupazione rispetto alla produzione. Sorprendevano già le diverse rassicurazioni che arrivano dall’economia e dai mercati alla fine del 2021, tra cui l’impatto salvifico del PNRR nel rilancio della domanda di investimenti pubblici, la percezione di un rincaro energetico come un fenomeno “limitato e transitorio” non in grado di innescare la spirale prezzi-salari e, infine, la sensazione di una pandemia sotto controllo.
È difficile ora valutare come cambia il contesto di riferimento con lo scoppio del conflitto in Ucraina, il potenziale allargamento del conflitto su scala mondiale, il tempestivo manifestarsi di alcune conseguenze come l’impennata delle materie prime, il possibile blocco russo alle esportazioni di grano, la frenata degli scambi, la caduta di fiducia. A limitare la capacità di valutare gli effetti di tale crisi è l’impossibilità di definire con chiarezza le variabili in gioco: la fiducia degli operatori, i piani di investimenti delle imprese, le strategie di copertura della finanza, la durata e l’incidenza dei rincari energetici nei bilanci delle imprese e delle famiglie, l’ulteriore fardello sociale prodotto dalla crisi con la necessità di attivare inedite forme di accoglienza. Su ciascuno di essi influiscono la durata della crisi, più duratura di quanto previsto; l’esito nella stessa in un riassetto geopolitico difficilmente scrutabile ai più; gli eventuali impatti delle sanzioni sugli interscambi commerciali. La guerra avviene nel quadro di una interdipendenza economica e tecnologica che lega insieme interessi diversi e spesso divergenti. È evidente allora che al di là del teatro degli scontri, ci si combatte anche attraverso le ritorsioni economiche, commerciali, finanziarie.
Sono state avanzate dagli analisti alcune prime stime che indicano un abbassamento della crescita dell’Area Euro nel 2022 in un intervallo 0,5-1%, a seconda dell’intensità degli eventi, ma l’incertezza è davvero ampia. Per l’Italia potrebbe essere maggiore tale riduzione, considerata la forte esposizione verso l’importazione di gas russo. Rispetto allo scenario presentato prima della guerra in Ucraina, quindi, la crescita nel 2022 si potrebbe ridurre al 3,7-3% e potrebbe diminuire ancora nel 2023. Tali valutazioni prescindono da eventuali azioni fiscali di sostegno a favore di famiglie e imprese, inducendo la Banca Centrale Europea a ritardare la ritirata dello stimolo monetario e, in particolare, il rialzo dei tassi verso cui stava gradualmente indirizzandosi.
Per alcuni analisti, inoltre, potrebbe verificarsi anche uno scenario peggiorativo. Finora le famiglie hanno fatto fronte alla riduzione del potere d’acquisto intaccando i risparmi accumulati negli ultimi due anni, attenuando quindi la dinamica dei consumi nell’attesa che i rincari siano di breve durata. Con l’inizio di una guerra, di durata e confini indefiniti, la prospettiva potrebbe cambiare. I risparmi non sono più un’àncora di salvezza a causa della volatilità dei mercati e le aspettative si spostano verso prezzi alti per un più lungo periodo. La riduzione dei consumi potrebbe essere quindi più repentina e, se la crisi energetica si inasprisse a causa delle difficoltà sulla fornitura di gas per contraccolpi delle sanzioni o altre decisioni, il quadro complessivo potrebbe essere molto negativo. Si potrebbe ripetere quanto accaduto durante la crisi petrolifera dei primi anni ’70: uno shock di offerta simile con impatti recessivi più forti in Germania e Italia. L’Europa potrebbe mettere in atto interventi maggiormente mirati, ma la compensazione sarebbe parziale e diventerebbe necessaria una fornitura energetica alternativa. Si avrebbero al contempo danni ambientali di cui tenere conto, anche in relazione al percorso tracciato dall’Accordo di Parigi e dall’Agenda 2030.
Guerra e pandemia, due parole così ancestrali, sembrano riacquisire un significato anche nella contemporaneità. Il vocabolario bellico di un’economia di guerra – che forse fa meglio intendere l’espressione di Papa Francesco sulla “guerra mondiale a pezzi” – torna improvvisamente a rioccupare il nostro linguaggio e gettare via l’armamentario della sostenibilità. In un conflitto cronico “la moneta cattiva continua a scacciare quella buona”.