Tra le tante incertezze del durante-Covid, sorprende ai più le rassicurazioni che arrivano dall’economia e dai mercati in questo finale d’anno 2021.

La prima è certamente sul fronte della spinta economica sostenuta dalla spesa pubblica. A livello europeo la Commissione si aspetta che l'economia continui a crescere a ritmi elevati, in particolare grazie alla domanda interna. L’inattesa capacità di rilancio dell’economia italiana, favorita dalle ingenti risorse associate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e da una guida delle Istituzioni percepita finalmente salda e credibile, registrerà un +6,2% di Pil nel 2021. La Commissione Europea prevede che la congiuntura della Zona Euro nel 2022 sarà caratterizzata da una espansione “stabile e sostenuta” attorno al 5% con l’aiuto del PNRR. Nonostante in Italia siano in aumento i “crescenti venti contrari” – tra cui il rischio di continue interruzioni nelle catene di approvvigionamento in numerosi settori e l’aumento del costo delle materie prime – per il 2022 è comunque prevista una crescita del Pil del 4,3%, con una tardiva reazione dell’occupazione rispetto alla produzione.

La seconda rassicurazione è sul fronte inflazionistico, con particolare riferimento all’incremento del prezzo delle commodities energetiche.

L’inflazione europea è in marcato rialzo (+4,9% a novembre, +0,9% a inizio anno) e quella statunitense sembra essere diventata addirittura una emergenza (+6,2%, mai così alta da 30 anni). Eppure, la Banca Centrale Europea (BCE) e la Federal Reserve (FED) americana non rispondono alle crescenti pressioni inflazionistiche, ritenute ancora un fenomeno “limitato e transitorio”. L’aumento dei prezzi, in particolare dell’energia, colpisce le famiglie e le imprese, ma la salita del costo del lavoro sarà calmierata dalla scarsità delle produzioni a causa dei colli di bottiglia nelle catene logistiche di produzione e distribuzione. Sono certamente evidenti gli elementi transitori dell’attuale impennata dei prezzi e la BCE non intende ripetere l’errore del 2011 quando, a fronte di rialzi inflattivi momentanei, attuò un atteggiamento restrittivo con fresche cicatrici per la crisi finanziaria. Due sono i maggiori fattori di temporaneità dell’inflazione europea. Il primo, meno forte, è l’incidenza dell’IVA tedesca che innalza di circa mezzo punto l'inflazione dell'area euro e che si annullerà dal 2022. Il secondo, più determinante, è il balzo dell'energia che spiega la gran parte dell’accelerazione dei prezzi europei da inizio anno, oltre il 70% tra il primo e il terzo trimestre nelle stime della Commissione europea. Va tuttavia segnalato che alcune materie prime che hanno alimentato i recenti picchi sono in decisa retromarcia, come il Petrolio che ha lasciato sul terreno il 20% da metà ottobre.

La terza è sugli effetti della diffusione della variante Omicron. Dopo le parole dell’immunologo consigliere della Casa Bianca Fauci – “non sembra che ci sia un elevato grado di severità” –, che nel periodo pandemico pesano come quelle di un banchiere centrale, si è diffusa tranquillità tra gli investitori e i mercati finanziari internazionali sono tornati a salire. La nuova variante non sembra neppure preoccupare la Borsa del Sud Africa, il primo Paese a trovare la mutazione che fino a qualche settimana fa affossava la fiducia sui mercati e spaventava tutto il mondo per un possibile ritorno di forti restrizioni. 

Il quadro economico attuale potrebbe giustificare l’attendismo delle banche centrali, ma non può diventare autocompiacimento di fronte a possibili rischi per i prossimi mesi.

La pandemia non è terminata e continueremo ad essere esposti nel durante-Covid. Qualsiasi nuova mutazione in grado di “bucare” i richiami vaccinali rappresenta un rischio poco calcolato che potrebbe minare la fiducia sui mercati e questa inedita spinta economica, apparentemente rassicurante, basata sulla spesa pubblica e ancora portatrice di squilibri sociali in aumento.

Lo strumento chiave a sostegno di questa ripresa è costituito dal PNRR. Dopo una comprensibile iniziale euforia, emergono almeno due domande consapevoli. La prima è quante risorse, tra quelle disponibili, riusciremo realisticamente a spendere con l’attuale capacità progettuale, organizzativa e di funzionamenti pubblici. La seconda domanda è in che modo le risorse aggiuntive potranno generare nuovo sviluppo sostenibile, capace di migliorare strutturalmente l’attivazione di nuovi flussi economici in grado di restituire l’enorme debito accumulato sulle spalle delle nuove generazioni. Demografia, Ambiente, Tecnologia saranno i driver di un’attesa ondata trasformativa, di fronte alla quale si vede al momento solo frenesia e poca visione.

Emerge sempre più forte il dubbio che, di fronte all’incertezza globale, ad una certa inerzia istituzionale, alle rassicurazioni di routine, “Next Generation” non fosse tanto il protagonismo di una nuova generazione (di minoranza) spinta da un rinnovato portato valoriale e capacità di guardare oltre, ma il bersaglio a cui inviare l’ultimo conto di una generazione over 50 (di maggioranza) forse non più in grado di sostenere questa svolta trasformativa sotto il profilo umano, tecnologico e ambientale.