Nel periodo gennaio-novembre 2021, in Europa i prezzi spot del gas naturale all’ingrosso sono in media più che quadruplicati rispetto allo stesso periodo del 2020. Nel corso di quest’anno, all’hub italiano PSV le quotazioni sono passate dai 20 €/MWh di gennaio ai 95 €/MWh circa dei primissimi giorni di dicembre; andamento analogo si riscontra negli altri principali punti di scambio europei.

Le cause della progressiva escalation, esplosa già da inizio estate e aggravatasi nel corso dell’autunno fino agli attuali e più volte infranti massimi storici, sono state in questi mesi a lungo analizzate. In un contesto di mercato sempre più internazionalizzato soprattutto per la crescita dei commerci di GNL, i motivi sono riconducibili ad alcuni principali fattori: a) ripresa della domanda post lockdown trainata soprattutto da quella asiatica, con Paesi in crisi energetica (Cina) disposti a pagare il gas liquefatto a prezzi elevatissimi, da cui pesanti ripercussioni sui mercati europei in termini di riduzione dei carichi verso il vecchio continente e spinta al rialzo delle quotazioni; b) volumi di GNL disponibili sul mercato globale minori di quelli attesi, si stima infatti per il 2021 un ammanco di capacità di liquefazione di 20-25 md mc rispetto a quanto previsto; c) primi effetti del calo degli investimenti nell’upstream della filiera metano; d) riduzione della produzione interna UE per declino naturale o per misure di regolazione; e) mancato riempimento degli stoccaggi europei, prima per motivi climatici (la primavera fredda ha dirottato al consumo volumi destinati a riserva) e poi commerciali (non convenienza ad immettere gas nei siti a prezzi tanto elevati); f) indisponibilità di alcuni esportatori, Gazprom in primis, ad accrescere le quantità oltre il minimo contrattuale.

L’insieme di queste tensioni si è riflesso profondamente sui prezzi in Europa, considerando che l’80% del gas che consuma è basato sulla gas-to-gas competition e solo meno del 20% è rimasto indicizzato al petrolio.

In particolare, negli ultimi due mesi si sono osservate oscillazioni giornaliere dei prezzi anche nell’ordine di 10 €/MWh, mai registrate in precedenza con tale ampiezza e frequenza, a seconda delle notizie che giungevano su mercati sempre più in tensione: dapprima, l’annunciata disponibilità russa, pur condizionata, ad immettere più gas sul mercato una volta terminato il riempimento dei propri stoccaggi sembrava avere raffreddato le quotazioni, che rimanevano comunque ben sopra i 60 €/MWh; in seguito, la decisione dell’Agenzia Federale Tedesca delle Reti di sospendere temporaneamente il processo di approvazione del gasdotto North Stream 2 spegneva l’attesa di nuovi volumi entro l’inverno dalla nuova infrastruttura che collega la Germania alla Russia attraverso il Mar Baltico e sospingeva di nuovo le quotazioni sui massimi; inoltre, qualsiasi previsione metereologica che consideri variazioni significative di temperatura sembra in grado di spostare i prezzi verso l’alto per diversi €/MWh o di ridimensionarli nel giro di ventiquattro ore.

In questo contesto, a parte l’intervento di alcuni governi come quello italiano per mitigare con misure temporanee l’enorme incremento dei prezzi al consumo, l’UE è parsa inerme, alla mercé di decisioni dei produttori, dell’andamento climatico, di altri fattori esterni alle proprie capacità di intervenire significativamente sulla situazione a protezione dei propri consumatori. Si spera, in sostanza, che l’inverno sia mite, che la Russia o chi altro conceda nuove disponibilità di volumi, che in primavera con il calo della domanda per riscaldamento la situazione migliori. Cosa non proprio scontata, dato che la crisi dei prezzi del metano comincia a far emergere fattori di natura strutturale. Si pensi in particolare al calo degli investimenti nell’upstream del gas registrato negli ultimi anni: l’Agenzia Internazionale dell’Energia di Parigi rileva una riduzione a livello globale dello “spending” annuo del settore di più del 40%, da oltre 200 md di dollari nel 2014 a circa 115 stimati per il 2021. Il calo può avere molteplici cause ed essere collegabile anche ad una maggior razionalizzazione degli interventi, oltre che alla riduzione della situazione debitoria di alcuni Gruppi, ma è probabile che parte di esso sia conseguenza delle incertezze sul futuro della domanda e dello spostamento di una parte degli investimenti (seppur in dimensioni ancora relativamente limitate) sulla transizione. Alcuni di questi aspetti possono essere anche letti positivamente, ma il calo degli investimenti upstream si traduce poi, con un certo lag temporale, sulla produzione di gas disponibile, ossia sull’offerta. E se la domanda al contrario cresce, allora il mercato diventa corto e pesanti sono le conseguenze sui prezzi.

I forward, o prodotti a termine, non possono essere considerati previsioni, ma strumenti di copertura che esprimono il sentiment del mercato nel momento in cui li si osserva. Tuttavia, da essi si possono trarre alcune indicazioni: guardando ai loro valori attuali sugli hub europei, osserviamo che per l’anno 2022 sono considerate quotazioni “medie” di 58 €/MWh e intorno ai 35 €/MWh per il 2023. Ciò significa che attualmente il mercato vede, almeno per un paio di anni, prezzi molto più alti di quelli che storicamente si sono mai verificati in passato. Difficile, quindi, non considerare nella crisi attuale elementi di strutturalità.

Elevati prezzi del gas all’ingrosso si traducono in alti prezzi della produzione termoelettrica e alti prezzi al consumo sia per l’elettricità che per il gas. In riferimento a questi ultimi, dall’ottobre 2013 la componente energia (la c.d. PFor) dei prezzi al consumo per i clienti gas tutelati è stata interamente agganciata ai prezzi spot dell’hub olandese TTF (il più liquido e quindi più significativo dell’Europa continentale) a cui viene aggiunta una componente di trasporto virtuale fino al sistema italiano. Per gennaio 2022 è possibile stimare un aumento della PFor dai 47,8 c€/mc del trimestre in corso a circa 86 c€/mc, quasi l’80% in più. A gennaio 2021 la PFor era di 15,1 c€/mc. A parità di tutte le altre componenti, mantenendo l’IVA al 5% e al netto di altri interventi del Governo, l’effetto sul prezzo finale lordo imposte sarebbe di circa +41%, per un aumento per la famiglia media di circa 560 euro su base annua, dopo quelli già avvenuti in luglio e ottobre. Anche considerando una riduzione a partire da aprile 2022, come visto c’è il forte rischio che purtroppo i prezzi rimangano su livelli molto più elevati rispetto al passato e che non basteranno comunque nuovi interventi temporanei a compensarne gli effetti.

Fino al 2020 il riferimento allo spot aveva prodotto ricadute positive sui prezzi perché per diversi anni i mercati sono stati sostanzialmente in oversupply. Ma per crisi come quella in corso, di incerta durata e con il rischio di ripetersi nel tempo, occorrerebbe pensare a misure di natura strutturale che vadano oltre i pur lodevoli interventi tampone realizzati finora. È necessario considerare che le dimensioni degli aumenti sono tali che non basterebbe neppure un trasferimento degli oneri di sistema a fiscalità generale, ciò per l’elettricità e tanto più per il gas dove gli oneri sono molto meno significativi. Oltre ai riflessi inflattivi e sui costi delle imprese, occorre, infatti, pensare che se l’elettricità è per tutti indispensabile, per la maggior parte delle famiglie il metano rimarrà ancora per lungo tempo la più utilizzata forma di riscaldamento.

La natura della crisi attuale ci porta a considerare che in tema di pricing sia opportuna una riflessione sulle attuali modalità di trasferimento delle quotazioni spot all’ingrosso sui prezzi al consumo finale, che un tempo erano collegati ai contratti di importazione a lungo termine. Non si tratterebbe di tornare ad una totale indicizzazione al petrolio, probabilmente anacronistica rispetto ai mutati consumi energetici e al quadro complessivo di approvvigionamento, ma di individuare un sistema più equilibrato, eventualmente connesso ai nuovi contratti di importazione a lungo termine, che riduca la volatilità dei prezzi al consumo e contenga, in periodi di shortage che potrebbero in futuro essere frequenti, esborsi tanto elevati per i consumatori.

Andamento della componente PFor

Fonte: ARERA per consuntivo e elaborazioni Rie per I trim. 2022