Il prezzo del carbonio non smette di premere sull’acceleratore. Il 6 dicembre scorso sul mercato europeo ha segnato un nuovo record con 81,25 €/ton, e a detta degli esperti, il rally è tutt’altro che esaurito. Alcuni prevedono addirittura che il carbon price toccherà quota 100 € nelle prossime settimane. Considerando che si tratta di un mercato nato per supportare la decarbonizzazione dei sistemi energetici e per disincentivare la produzione di CO2 la notizia non dovrebbe preoccupare. Come si vedrà in seguito, infatti, una quotazione considerata in linea con i target a zero emissioni si aggira tra i 75-100 €/ton. Ma dal momento che solo un anno fa i permessi europei (EUA) venivano scambiati a 30,11 €/ton e cinque anni fa il prezzo faticava a superare i 4.30 €/ton, è bene provare a mettere ordine nelle cause di questa tendenza. Iniziando da quelle “strutturali”, legate al design del mercato del carbonio.

Andamento prezzi europeo permessi CO2 (EUA)

Fonte: EEX

 

Dopo anni di calma piatta - con prezzi al di sotto dei 10 €/ton - in cui si è arrivati a mettere in discussione l’utilità dello strumento, nel triennio 2018-2020 si è verificata una prima fase di intenso rialzo dei prezzi: gli operatori, in vista dell’introduzione della riserva di stabilità, avevano iniziato ad accantonare permessi di emissione prima ancora dell’entrata in vigore della riserva, portando il prezzo a quadruplicare, da 8 a 32 €/ton.

Il 2021 ha registrato un’ulteriore accelerazione, spinta anche dall’escalation di decisioni politiche della Commissione Europea: in primis, l’innalzamento degli obiettivi di riduzione delle emissioni dal 40% al 55% entro il 2030. In secondo luogo, l’approvazione del pacchetto “Fit-for-55”, che contiene una serie di misure di revisione e ampliamento dell’ETS europeo. In estrema sintesi, il mercato del carbonio si allargherà, includendo anche le emissioni del trasporto marittimo, otterrà nuovi obiettivi di riduzione della CO2 al 2030 (dal 43% al 61%) e target annuali più stringenti (con un aumento del fattore lineare di riduzione annua da 2,2% a 4,2%). Inoltre, nel 2025 prenderà il via un secondo ETS (esperienza già avviata in Germania), che coprirà il trasporto su strada e il riscaldamento degli edifici. Quest’ultimo punto in particolare fa molto discutere per l’impatto economico sulle famiglie, soprattutto in Francia, dopo l’esperienza dei gilets jaunes nel 2018.

Ulteriore elemento di novità sarà il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM): a partire dal 2026, le aziende che importano in Europa dovranno dichiarare le emissioni incorporate per l’intero volume di import e acquistare altrettanti permessi per coprire la CO2 importata, in un sistema simile all’ETS (a cui faranno riferimento i prezzi delle quote CBAM).

La prospettiva di un quadro normativo sempre più stingente alimenta quindi la domanda di permessi e ne fa crescere il prezzo.

Su questi elementi strutturali, che probabilmente rivestono un ruolo preponderante, si inserisce, a partire dalla seconda metà dell’anno, uno scenario generalizzato di rialzo dei prezzi dell’energia. Il prezzo dei permessi è influenzato dai prezzi energetici e, a sua volta, li influenza. Si tratta di una complessa interazione tra 4 mercati: elettricità, gas naturale, carbone e ETS. Da un lato, la ripresa economica ha comportato un aumento nella domanda di energia. Dall’altro, l’offerta non si è adeguata con la dovuta rapidità: complice le minori scorte e i ridotti flussi di gas naturale dalla Russia e dal Mare del Nord, i prezzi sono saliti alle stelle, soprattutto in Europa. La generazione a carbone resta, dunque, competitiva rispetto al gas naturale, e il suo operare a pieno regime ha fatto schizzare verso l’alto la domanda di permessi di emissione.

Nel commentare i prezzi record del carbonio, però, vale la pena ricordare che nel 2019 il Fondo Monetario Internazionale aveva individuato nel valore di 75 doll/ton CO2 al 2030 il prezzo coerente con i 2°C. L’Agenzia Internazionale dell’Energia, invece, ipotizza un prezzo tra i 75 e i 100 doll/ton CO2 nel 2030, che dovrebbe salire a 125-140 doll/ton CO2 nel 2040. Diversi studi, ancora, mostrano come il prezzo cresca sensibilmente all’avvicinarsi del target di emissioni nette zero. Ha senso quindi stupirsi che le previsioni si rivelino corrette e che l’ETS stia facendo esattamente quello per cui è stato ideato?

Resta da capire quale sarà, nel medio periodo, l’impatto di questi prezzi sulla competitività dell’economia e, soprattutto, se altri paesi seguiranno il sentiero europeo. Rispetto al primo punto, va ricordato che il meccanismo dell’ETS prevede che i proventi delle aste siano destinati a tutela delle famiglie a basso reddito e dei settori produttivi che necessitano di sostegno per una transizione equa. Ad esempio, il governo spagnolo ha annunciato, lo scorso settembre, che avrebbe utilizzato 900 milioni di € di proventi dell’asta per tutelare le famiglie dal rincaro energetico.

Rispetto al secondo punto, sebbene con una certa lentezza, i riscontri sembrano positivi. In Cina è partito nel 2021, dopo lunghe incertezze, il progetto di ETS a livello nazionale: se il sistema europeo è arrivato a coprire, nel 2021, poco più del 3% delle emissioni globali, il neonato mercato cinese copre già una quota pari al 7,38%.

Primi 10 sistemi di carbon pricing e copertura delle emissioni globali (aprile 2021)

Fonte: WorldBank, Carbon Pricing Dashboard

Nel mondo, secondo la World Bank, sono attualmente in vigore 65 iniziative di carbon pricing (intese come carbon tax o scambio di permessi), che coprono nel complesso il 21,5% delle emissioni globali.

Come ripetono spesso gli economisti: il prezzo è un segnale. E il segnale che arriva dal mercato del carbonio europeo è forte e chiaro: transizione, il prima possibile.

Le opinioni espresse in questo articolo sono personali dell’autore e non rispecchiano quelle dell’azienda per cui lavora.