Uno spettro si aggira per il nostro Paese, in particolare ogni volta che il tema del “caro bollette” energetiche sale agli onori delle cronache. È lo spettro del “costo troppo elevato” della transizione energetica verso un modello sempre più a trazione rinnovabile, fino all’abbandono totale delle fonti fossili. Si tratta, ovviamente, di uno dei cavalli di battaglia dei conservatori dello status quo, che sistematicamente dimenticano di ricordare almeno un paio di cose:
- le fonti fossili sono ampiamente più sovvenzionate del pacchetto rinnovabili (più efficienza) nel nostro Paese;
- il prezzo che si paga per l’inazione è già altissimo: basti pensare agli ingenti e crescenti danni da eventi metereologici estremi, in crescita vertiginosa di anno in anno, a causa dei cambiamenti climatici.
Nel caso del recentissimo aumento del costo dell’energia, che peserà parecchio sulle tasche di imprese e cittadini/e, inoltre, questa bizzarra e strumentale ipotesi proprio non regge.
La causa principale è, infatti, dovuta all’aumento dei prezzi del gas sul mercato internazionale, e, in misura molto minore (circa un quinto del totale), all’aumento del valore sul mercato della CO2 (costo inversamente proporzionale, in estrema sintesi, alla serietà con cui i produttori di energia cavalcano la transizione).
Le parole di Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo per il Green Deal Europeo, non lasciano spazio a dubbi in proposito: "L’aumento dei costi dell’energia è dovuto alla dipendenza da fossili e gas. Se avessimo anticipato la transizione ecologica con le rinnovabili, oggi non avremmo questi problemi".
Il discorso è particolarmente valido per l’Italia, poiché l’incremento del contributo delle rinnovabili al soddisfacimento della domanda di energia elettrica – come alla complessiva – è praticamente bloccato dal 2013: di governo in governo, dopo la stangata del 2012, dopo la cieca rinuncia ad ogni forma di incentivazione seria, di pianificazione territoriale e di semplificazione autorizzativa, la situazione di stallo non ha subito significative interruzioni.
Come non ha subito modifiche, come pure molti operatori chiedevano, il meccanismo di costruzione del costo dell’energia sul mercato, anch’esso imperniato su un modello sostanzialmente fossile.
Eppure, lo scorso anno nell’Unione Europea la generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili ha superato quella da fonti fossili. Nel nostro Paese (secondo Terna) le rinnovabili nel loro complesso sono arrivate a coprire il 38% del fabbisogno elettrico complessivo.
Nonostante il loro ruolo crescente, le fonti rinnovabili non sono ancora in grado di determinare il prezzo dell’elettricità per una serie di motivi.
Innanzitutto, una quota significativa della produzione rinnovabile è remunerata da programmi di incentivazione che ne prevedono il ritiro da parte del GSE. Avendo poi la priorità di dispacciamento, tale quota di fatto esce dal mercato elettrico. Inoltre, il mercato elettrico segue il regime del prezzo marginale. In altri termini il prezzo del più caro chilowattora prodotto in un determinato momento diventa il prezzo di tutta l’energia scambiata in quel momento. E normalmente il chilowattora che detta il prezzo è un chilowattora fossile.
I fornitori di elettricità e i grandi utenti finali possono sottrarsi da questo meccanismo sottoscrivendo con i produttori accordi di lungo termine a prezzo fisso, i cosiddetti Power Purchase Agreement (PPA, nell’uso comune). A parte questo caso quindi, le fossili determinano il prezzo di mercato. Questo vale sia in condizioni come quelle del 2020, quando la domanda si è abbattuta a causa del lockdown e quindi il PUN (Prezzo Unico Nazionale, prezzo di riferimento del mercato) durante il mese di maggio era sceso a meno di 22 €/MWh, ma vale anche nelle condizioni attuali, in cui l’aumento del prezzo del gas ha portato il PUN a valori giornalieri che nel mese di settembre non sono mai scesi sotto i 110 €/MWh e hanno superato i 180 €/MWh nella giornata del 16 settembre scorso.
Il PUN dipende soprattutto dal prezzo del gas e quindi il prezzo dell’elettricità dipende soprattutto dal gas.
Ma dal gas dipendono anche altre voci di bolletta, come quella che alimenta il mercato di capacità, cioè quel meccanismo che remunera gli impianti che rimangono a disposizione e possono essere attivati in caso sia necessario equilibrare la domanda e l’offerta di elettricità sulla rete.
Non è questa la sede in cui poter approfondire il tema. Basti dire che l’attuale sistema di fatto esclude configurazioni di accumulo accoppiato a fonti rinnovabili e incentiva gli impianti che utilizzano energie fossili con effetti paradossali, come quelli che favoriscono la costruzione di nuovi impianti a gas che saranno remunerativi per gli investitori anche qualora non dovessero produrre neppure un chilowattora.
La complessità dei meccanismi descritti non è facile da dipanare, ma appare evidente come il mercato dell’elettricità sia ancora oggi disegnato in funzione di pregi e limiti delle risorse fossili. Questo disegno deve evidentemente evolvere se davvero vogliamo realizzare la necessaria decarbonizzazione.