Assicurare al gas centro-asiatico uno sbocco sui mercati europei ha rappresentato tradizionalmente uno degli obiettivi cardine della diplomazia energetica euro-atlantica, dalle iniziative dell'Amministrazione statunitense guidata da Bill Clinton negli anni '90 sino alla promozione europea del Corridoio meridionale del gas – recentemente inaugurato nel segmento tra la costa caspica dell'Azerbaigian e l'Italia. Oggi che la politica regionale nell'area del Caspio sembra assicurare le condizioni diplomatiche per la realizzazione di un collegamento infrastrutturale trans-caspico in grado assicurare il conseguimento del datato obiettivo euro-atlantico, sembrano tuttavia venir meno le condizioni di mercato che ne potrebbero giustificare la costruzione.
Nell'area del Caspio si respira oggi una nuova e più promettente atmosfera diplomatica. Dopo anni durante i quali un intreccio di diffidenze reciproche, diverse propensioni al rischio e strategie ostative russo-iraniane ha impedito lo sviluppo di una coerente e inclusiva cooperazione energetica, nel corso dell'ultimo triennio la diplomazia regionale ha vissuto una nuova fioritura. Fioritura che, simbolicamente inaugurata dalla sottoscrizione di una convenzione sullo status del bacino nel 2018 e culminata con i recenti accordi azerbaigiano-turkmeni, avrebbe rimosso, secondo molti osservatori, i principali ostacoli alla realizzazione di quel gasdotto trans-caspico attorno al quale è ruotata la partita energetica regionale dell'ultimo quarto di secolo. Tale ottimismo si fonda, d'altra parte, sul mutato e più cooperativo atteggiamento del Turkmenistan – secondo su scala regionale per riserve di gas provate solo a Russia e Iran – la cui stretta adesione al principio del non-allineamento si era di fatto tradotta in una politica isolazionista che aveva rappresentato ostacolo determinante alla costruzione del Trans-Caspian Gas Pipeline (TCGP).
Il nuovo e più promettente spirito di cooperazione regionale sembra però giungere tardivamente, in una fase in cui tanto le priorità della Diplomazia energetica di Bruxelles quanto le condizioni di mercato tendono a disallineare il contesto europeo da quello caspico. Mentre la prima tende infatti a concentrarsi su altre, più prossime e promettenti aree di estrazione di gas, segnali non più incoraggianti giungono dalle tendenze dei mercati continentali. La realizzazione di ambiziosi progetti infrastrutturali fondati su un vincolo di lungo periodo tra esportatori e importatori sembra cioè non rispondere più alle condizioni di un mercato caratterizzato da crescente flessibilità, diversificazione e interconnessione. Il crescente peso delle contrattazioni spot nel vecchio continente e la concorrenza gas-to-gas, sommati e agevolati da una politica europea che ha efficacemente contrastato gli elementi di rigidità contenuti nei contratti di commercializzazione del gas, rendono sempre meno profittevoli per gli investitori tanto la costruzione di grandi infrastrutture di trasporto – oggi apparentemente non realizzabili al di fuori dell'intervento diretto statale, come dimostrato dal caso russo – quanto l'adeguamento delle strutture esistenti fondato su vincoli di lungo periodo. Segnale di quest'ultima tendenza è giunto, nel corso dell'estate, dalla assenza di manifestazioni vincolanti d'interesse rivolte al consorzio TAP da compagnie energetiche nel quadro del test di mercato lanciato nella prospettiva di espansione della capacità di trasporto del Trans-Adriatic Pipeline – segmento finale del Corridoio meridionale del gas dell'UE tra il confine greco-turco e la costa pugliese.
A queste considerazioni si aggiungono due ulteriori e non secondari ostacoli sulla strada che porta alla realizzazione di un'infrastruttura trans-caspica. Il primo deriva dalla profittabilità degli investimenti nel bacino stesso – che già risentono degli elevati costi di trasporto verso i mercati europei. Come sottolineato da un recente rapporto di Wood Mackenzie, oltre alle richiamate difficoltà nella commercializzazione degli idrocarburi, le prospettive di investimento nel bacino sembrano risentire di una serie di problematiche legate agli ancora elevati costi e rischi, così come alla necessità di ridimensionare le emissioni. Problematiche, queste, che lascerebbero preconizzare una caduta degli investimenti internazionali rivolti, nella prossima decade, allo sviluppo di nuovi e pur promettenti giacimenti gassiferi.
Secondo e non meno significativo ostacolo al TCGP emerge parallelamente dai più recenti sviluppi – e dai successi – della strategia energetica della Turchia che, prima ancora che rappresentare uno snodo determinante per il transito degli idrocarburi caspici verso Occidente, ha tradizionalmente offerto agli investitori uno sbocco di mercato fondamentale per giustificare gli investimenti in estrazione e trasporto di gas. Già forte di un'efficace strategia di diversificazione dell'approvvigionamento di gas, che ha fatto registrare un significativo incremento della quota di GNL sul totale importazioni annue, Ankara sembra oggi poter contare su ingenti giacimenti gassiferi off-shore nel Mar Nero che, per la prima volta nella storia del Paese, potrebbero consentire di ridimensionare il peso, diplomatico ed economico, della dipendenza dalle importazioni. Scoperti a seguito di attività di esplorazione condotte a partire dallo scorso anno, i giacimenti, secondo le stime delle autorità turche, potrebbero assicurare a pieno regime una quota del 40% circa del consumo annuo, riducendo già dal 2023 la necessità di importazioni dell'8% circa – per un volume nominale di 3,5 miliardi di metri cubi annui (mld mc/a). In questo contesto dunque, non soltanto l'afflusso di nuovo gas caspico verso il mercato turco appare ridondante, ma non stupisce neanche che lo stesso rinnovo di uno dei due contratti d'acquisto siglati con l'Azerbaigian – per la fornitura di 9 mld mc/a annui su un totale di 15, scaduto in aprile – si sia apparentemente arenato in un negoziato incentrato sulla richiesta di maggior flessibilità da parte turca.
Diplomazia energetica caspica e tendenze dei mercati europei sembrano remare oggi in direzioni differenti. Il risveglio della prima sembra dunque giungere tardivamente, in uno scenario significativamente mutato rispetto a quello che, tra la fine degli anni '90 e gli anni '10, aveva consentito l'avvio delle esportazioni di gas dal bacino e perseguito il loro progressivo incremento. In queste condizioni, sui produttori caspici ricade l'onere di ripensare i parametri delle rispettive strategie energetiche, rendendoli compatibili con il mutevole panorama energetico eurasiatico.