Prima in Europa per prelievi di acqua a uso potabile (oltre 9 miliardi di metri cubi all’anno, 25 milioni di metri cubi pari a 419 litri per abitante al giorno), l’Italia è nel complesso un Paese a stress idrico medio-alto secondo l’OMS, poiché utilizza il 30-35% delle sue risorse idriche rinnovabili, con un incremento del 6% ogni 10 anni. Una tendenza che, unita a urbanizzazione, inquinamento ed effetti dei cambiamenti climatici, come le sempre più frequenti e persistenti siccità, mette a dura prova l’approvvigionamento idrico della Penisola. Ad aggravare la situazione ci sono l’annoso problema delle perdite lungo la rete e le alte percentuali di “non classificato” in merito alla qualità e alla quantità dei corpi idrici – specie al Sud – che denunciano una grave mancanza di conoscenze di base sullo stato delle acque e i nodi irrisolti sulla depurazione.

A tal proposito, nella Giornata mondiale dell’Acqua istituita dall’Onu, Legambiente ha richiamato l’attenzione sull’importanza di una gestione equa, razionale e sostenibile di questa fondamentale risorsa, in particolare dell’acqua potabile su cui quest’anno si registra un’importante novità normativa: l’entrata in vigore, il 12 gennaio, della Direttiva Europea 2020/2184 sulle acque destinate al consumo umano che gli Stati membri dovranno recepire entro il 2023.  Di fatto, si tratta della prima legislazione adottata in risposta a un’iniziativa dei cittadini europei, Right2water, che con 1,8 milioni di firme hanno chiesto alla Commissione di aggiornare la direttiva (nella sua prima versione del 1998) per garantire il diritto di accesso all’acqua potabile e un’adeguata fornitura di servizi igienico-sanitari.

Il report “Acque in rete”

Attraverso il report “Acque in rete”, inoltre, Legambiente ha raccolto numeri, descritto problematiche e presentato opportunità per migliorare la gestione della risorsa idrica in Italia, mettendo a confronto i dati elaborati su dispersioni, usi e consumi di acqua nelle principali città italiane. La fotografia che ne emerge descrive un quadro non certo esente da criticità.

Dal 2014 al 2019, infatti, soltanto quattro città metropolitane in Italia hanno mantenuto le perdite idriche lungo la rete sotto la media nazionale del 37%, e anche sui depuratori siamo ancora indietro, dal momento che 30 milioni di italiani sono serviti da impianti inadeguati e non conformi alle direttive europee.

Guardando alle perdite di rete, i dati raccontano come l’acqua che preleviamo non venga trattata adeguatamente e in modo sostenibile, ma spesso dispersa e sprecata, con un gap tra acqua immessa nelle reti di distribuzione e acqua effettivamente erogata che va da una media del 26% nei capoluoghi del Nord, al 34% in quelli del Centro Italia, fino al 46% nei capoluoghi del Mezzogiorno. Nel complesso, fino al 78% dell’acqua distribuita nelle città italiane può andare “sprecata” tramite le perdite nella rete di distribuzione, come nel caso di Frosinone. Tra le città metropolitane, dal 2014 al 2019 soltanto Bologna, Firenze, Milano e Torino si sono mantenute sotto il dato medio nazionale del 37%. C’è ancora molto da fare in città come Bari, Cagliari e Roma, costantemente rimaste al di sopra della media. Nel 2019, i consumi medi pro-capite di acqua nelle città capoluogo italiane non sono scesi sotto i 100 litri per abitante al giorno: tra quelle meno virtuose troviamo Milano e Reggio Calabria (entrambe oltre i 170 litri), mentre i consumi più contenuti si registrano a Palermo e Napoli (rispettivamente 111 e 114 litri).

Preoccupano le elevate percentuali dei “non classificato”. Risultano, infatti, sconosciuti (per il quinquennio 2010-2015) lo stato chimico del 17% e quello quantitativo del 25% delle acque sotterranee, lo stato chimico del 18% dei fiumi e del 42% dei laghi italiani. Non ancora monitorato e classificato lo stato ecologico del 16% dei fiumi e del 41% dei laghi. Questa scarsità di informazioni di base si registra soprattutto al Sud, dove alcune regioni presentano più della metà dei corpi idrici in stato sconosciuto (raggiungendo in alcuni casi, come Calabria e Basilicata, anche il 100%). Ci si augura che con i nuovi dati relativi al 2015-2020, ancora non disponibili in rete, si possa trovare una situazione nettamente migliorata.

Sempre più rilevanti le criticità legate alla disponibilità della risorsa idrica in regioni dove sussistono carenze gestionali e strutturali, cui si sommano gli effetti dei cambiamenti climatici. Secondo dati Istat, le misure di razionamento dell’acqua per l’uso domestico messe in atto nel 2019 hanno interessato nove città italiane, principalmente in Calabria, Campania, Abruzzo, Sardegna e Sicilia, dove in alcuni centri urbani la loro attuazione si rende ormai necessaria tutti gli anni da oltre un decennio.

Rete fognaria e impianti di depurazione

Oltre ad agire sulle perdite di rete, serve completare la rete fognaria, riqualificare gli impianti di depurazione inefficienti o sottodimensionati e costruirne di nuovi dove mancano. Sono quattro infatti, ad oggi, le procedure di infrazione a carico dell’Italia (due delle quali già sfociate in condanna) relative alla non conformità del servizio depurativo alla Direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue. Impensabile andare avanti così: su dati del Ministero dell’Ambiente elaborati da Legambiente e aggiornati al maggio 2020, si registrano ancora 939 gli agglomerati non conformi alle direttive europee, per quasi 30 milioni di italiani interessati dai relativi disagi. Tre agglomerati su quattro in infrazione si trovano nel Mezzogiorno o nelle Isole, e generano oltre il 60% dei carichi non depurati. E finora le multe, relative solo alla prima condanna riguardante ancora 69 agglomerati, sono costate al nostro Paese oltre 77 milioni di euro.

Per questo il PNRR rappresenta un’opportunità storica, specie se saprà prevedere un piano efficace e risorse per il Servizio idrico integrato a partire da acquedotti e depuratori, favorendo una minore concorrenza tra i differenti usi idrici. Serve cambiare radicalmente l’impostazione della bozza precedente e considerare quanto dettato dalla nuova Direttiva Europea sull’acqua potabile che l’Italia dovrà recepire rapidamente e bene. Appaiono, infatti, sproporzionati i 4,4 miliardi di euro destinati agli invasi, contro i 900 milioni per l’ammodernamento delle reti cittadine di distribuzione dell’acqua (spesso ridotte a un colabrodo) e i 600 milioni di euro per le fognature e gli impianti di depurazione. Parte delle risorse comunitarie devono essere invece destinate a risolvere le emergenze esistenti, attraverso una governance pubblica capace di allineare il Recovery Plan italiano al Green Deal europeo con obiettivi più ambiziosi e utili al Paese, anche sul tema risorse idriche.

Le richieste di Legambiente

Per garantire un servizio idrico equo, efficiente e sostenibile, Legambiente chiede: la ratifica italiana del Protocollo Acqua e Salute OMS-UNECE che garantisca un approccio complessivo sul tema e promuova l’integrazione delle politiche sull’acqua e i servizi igienico-sanitari; l’approvazione dei Piani di Sicurezza dell’Acqua (WSP) entro il 2027 su tutto il territorio nazionale, con particolare attenzione alla risposta e al coinvolgimento delle gestioni piccole e in economia, e l’introduzione di un sistema integrato di prevenzione e controllo esteso all’intera filiera idropotabile, per superare l’approccio del controllo “a valle” prevenendo inquinamento e situazioni di rischio legate alla contaminazione delle fonti; l’applicazione di strumenti di partecipazione adeguati, con l’individuazione di percorsi aperti e inclusivi insieme a tutti i soggetti interessati che, a partire dall’identificazione delle criticità, individuino le politiche da introdurre per risanare e tutelare le risorse idriche del Paese. Rispetto agli interventi da attuare per una gestione dell’acqua volta al risparmio idrico e al riuso, l’associazione ritiene prioritari: una riqualificazione idrica degli edifici e degli spazi urbani; la regolamentazione delle acque minerali; una maggiore informazione sulla qualità delle acque di rubinetto; azioni a sostegno dell’incremento della ricarica delle falde; il completamento e la velocizzazione delle bonifiche; gli interventi sulle reti idriche e sui depuratori; riduzione degli sprechi e aumento del riuso delle acque depurate, anche attraverso la modifica del DM 185/2003,  operando su perdite di rete e agendo con innovazioni in settori specifici come l’agricoltura, l’industria, e anche in ambito civile; un rafforzamento della rete di controlli ambientali.