C’è la possibilità che inizi un superciclo per il mercato del petrolio? In altre parole, è davvero possibile che il Brent torni sopra quota 100 dollari al barile, come accadde otto anni fa, tra il 2013 e il 2014, oppure quei tempi sono definitivamente un ricordo? La risposta degli esperti è stata piuttosto categorica e univoca: questa possibilità non c’è. Perlomeno, non nei prossimi anni. Sono infatti ancora troppe le incertezze legate alla pandemia e al cambiamento di abitudini che essa ha innescato. Quindi, secondo le previsioni dell’Agenzia internazionale per l’Energia, la domanda di petrolio non tornerà ai livelli pre-Covid prima del 2023. Sempre se non ci saranno altre sorprese.
Eppure, qualche analista un po’ più coraggioso aveva visto la possibilità di un superciclo, ovvero una fase di prezzi alti per il barile, basandosi non tanto sulle previsioni di domanda e offerta quanto piuttosto su bilanci e strategie delle compagnie petrolifere, sempre più parche di investimenti nell’Oil&Gas e più orientate verso fonti di energia innovative e sostenibili dal punto di vista ambientale. Una combinazione che effettivamente potrebbe portare a una fiammata del prezzo del petrolio se i tempi della transizione energetica dovessero, per qualche motivo, rallentare e, al contempo, la domanda di petrolio dovesse tornare a tirare prima del previsto. Con effetti pericolosi sull’inflazione e in definitiva anche sulla ripresa economica.
Ma l’ipotesi del superciclo sembra davvero “peregrina”, anche ai paesi produttori che stanno lottando per mantenere il mercato in equilibrio. Con buoni risultati visto che negli ultimi tre mesi le quotazioni sono state perlopiù stabili: il Brent è rimasto all’interno della fascia compresa tra i 60 e i 70 doll/bbl; non molto diversamente il Wti ha oscillato tra i 50 e i 60 doll/bbl.
Andamento greggi di riferimento
Fonte: Elaborazioni Staffetta Quotidiana
Salvo imprevedibili stravolgimenti, sembra proprio che questa stabilità sia destinata a durare almeno fino al mese di luglio, ora che i paesi dell’OpecPlus, capeggiati da Russia e Arabia Saudita, hanno stabilito un progressivo e cauto aumento della produzione, flessibile e monitorato mese per mese (v. tabella).
Tetti volontari di produzione per i paesi dell'OpecPlus (In vigore nel primo trimestre 2021)
Fonte: Elaborazioni Staffetta Quotidiana su dati Opec
Per comprendere quanto questa stabilità sia una benedizione bisogna fare un passo indietro e tornare a un anno fa, quando il Wti andò in tilt e chiuse la seduta a un soffio da -40 dollari al barile. Era il 20 aprile scorso, e si trattò di un errore tecnico senza valore: nessun barile di light crude fu regalato con un bonus di 40 euro per il ritiro. E anzi le Autorità di vigilanza degli Stati Uniti accesero i fari sul trading speculativo, molto probabilmente impazzito a causa del Covid e della decisione senza precedenti che tutti i paesi produttori (Stati Uniti inclusi) avevano preso – pochi giorni prima, il 12 aprile - di ritirare dal marcato oltre 10 milioni di barili al giorno per evitare il collasso degli stoccaggi e la caduta verticale dei prezzi. La decisione dimostrò per l’ennesima volta che l’unione fa la forza, ma non impedì alla speculazione di agitare nell’immediato le acque di un mercato stremato.
Fu solo quando nel mese di maggio il contenimento dell’offerta divenne effettivo che i prezzi del barile intrapresero con decisione la strada al rialzo per tornare sui livelli pre-pandemia, tuttora nella sostanza rispettati, anche grazie al prolungamento degli sforzi dell’OpecPlus e dell’asse sempre più collaudato Russo-Saudita. Un patto d’acciaio intorno al quale ruotano agli altri paesi firmatari della Dichiarazione di Cooperazione nel 2017 (Algeria, Angola, Congo, Emirati Arabi Uniti, Gabon, Guinea Ecuadoriale, Iraq, Kuwait, Nigeria, Azerbaijan, Bahrain, Brunei, Guinea Equatoriale, Kazakhstan, Malesia, Messico, Oman, Sudan e Sud Sudan; con Iran, Libia e Venezuela esentati dalle quote pur facendo parte dell’Opec).
Tuttavia, in quel terribile mese di aprile, il forte segnale di unità tra paesi produttori fu letteralmente eclissato mediaticamente dal prezzo negativo del petrolio, che ebbe larga eco tra esperti e non. In molti davano il barile per spacciato, una materia prima senza futuro. Anche perché contemporaneamente i consumi di tutto il mondo crollavano sotto il peso dei lockdown e della conseguente chiusura delle frontiere. L’ordine di “restare a casa” fece scendere a poco meno di 83 milioni di barili al giorno la domanda di petrolio nel secondo trimestre del 2020, dai 100 milioni di barili al giorno del 2019 (dati Aie).
E invece il petrolio è ancora vivo e vegeto. Già nel primo trimestre di quest’anno la domanda petrolifera è risalita a 94 milioni di b/g. Perché se è vero che i consumi di carburante continuano a essere compromessi dal rischio di contagio e dalla paura collettiva, dal ricorso al telelavoro e alla didattica a distanza, dall’altro il ricorso alla petrolchimica sta crescendo. Con la produzione di mascherine, guanti, tute, siringhe usa e getta, imballaggi per le spedizioni e etilene per disinfettare mani e ambienti.
Ed è per questo che l’OpecPlus ha deciso di aumentare con cautela la produzione. Con l’arrivo della bella stagione, la campagna vaccini sempre più efficace, è probabile che la popolazione ricominci a viaggiare, in macchina o in aereo, che i lavoratori riprendano a muoversi, che fiere, convegni, conferenze ricomincino a comparire nelle agende di sempre più persone. E, oggi come in passato, di tutto questo il mercato del petrolio già tiene conto, per tutto questo il mercato del petrolio già si prepara.