Considerando l’imperversare della pandemia e il conseguente crollo dei consumi, il prezzo del petrolio nel 2020 si è comportato abbastanza bene, eccezion fatta per quel terribile lunedì di fine aprile, quando un contratto in scadenza del WTI andò a finire per scambi maldestri virtualmente sottozero. Allora in tanti si chiesero se qualcosa sarebbe cambiato per sempre per il mercato petrolifero, ma in realtà – a parte una presa di coscienza da parte di alcuni trader improvvisati sulla complessità del mercato petrolifero – non è cambiato un bel niente. Gli scambi del barile di petrolio e prodotti restano ancorati come sempre all’equilibrio di domanda e offerta e il mercato dei futures segue i prezzi degli scambi fisici con una maggiore vulnerabilità sul fronte del fattore emotivo, i famosi “animal spirits” di keynesiana memoria.
In realtà, guardando bene, qualcosa nell’anno della pandemia è cambiato, o, meglio, si è consolidato nel mercato petrolifero. I paesi produttori che quattro anni fa hanno dato origine all’organizzazione comunemente chiamata OpecPlus (ma forse dall’ultima riunione di dicembre sarebbe opportuno chiamarla Onomm, “Opec non Opec ministerial meeting”, come si legge nel comunicato ufficiale finale dell’OpecPlus, che per la prima volta nella storia ha sostituito quello dell’Opec) hanno dato prova di una grande coesione nel decidere come muoversi per riequilibrare il mercato. Nonostante le differenze culturali e socioeconomiche, l’asse russo-saudita è uscita rafforzata e c’è da aspettarsi che le due superpotenze si alleino sempre di più ora che alla Casa Bianca c’è il democratico e filo iraniano Joe Biden, e che le importazioni di greggio saudita in Usa sono ai minimi storici a causa del crollo dei consumi interni.
Insomma, più che il prezzo del petrolio, che continua a muoversi secondo le logiche di domanda e offerta (al netto dell’accumulo delle scorte, talvolta anche galleggianti), ciò che sta cambiando e anche velocemente sono gli equilibri sullo scacchiere internazionale, che potranno riflettersi prima o poi anche sul prezzo del petrolio, in modo imprevedibile.
Tornando all’OpecPlus, può essere utile ripercorrere le tappe principali della vita dell’organizzazione durante questo lungo 2020, che peraltro segna il 60° anniversario dalla nascita dell’Opec a Baghdad, e le reazioni del mercato petrolifero. Di queste tappe la pietra miliare è quella dell’accordo siglato al termine della nona riunione interministeriale tra paesi Opec e non Opec del 10 aprile per ritirare dal mercato 10 milioni di barili al giorno. Una decisione resa necessaria dall’impatto sui consumi dei lockdown nei vari paesi colpiti dalla pandemia e che – in molti sembrano averlo dimenticato – sarà vincolante fino al 30 aprile 2022, anche se con tappe scadenzate per quel che riguarda il progressivo aumento della produzione.
Infatti, l’accordo originario prevedeva di ridurre la produzione complessiva di petrolio di 10 milioni di barili al giorno, dal 1° maggio 2020 al 30 giugno 2020; di 8 milioni al giorno dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre; di 6 milioni al giorno dal 1° gennaio 2021 al 30 aprile 2022.
Questa storica decisione non fu subito compresa dal mercato. C’èra ancora troppa paura in giro, le cisterne erano piene, in porto le petroliere servivano allo stoccaggio. E così il prezzo del petrolio si ridusse da gennaio ad aprile di un terzo (per il Brent da 60 a 20 dollari al barile, minimo toccato quando per pura follia il Wti scese a -40) fino alla fine del mese di aprile.
Da allora fino ad oggi, è seguita una lenta ripresa dei prezzi. Anche perché bisogna ammettere che successivamente l’OpecPlus non ne ha sbagliata una: nella riunione del 6 giugno, ha deciso di prorogare il tetto di 10 milioni di euro fino ad agosto, inserendo dei meccanismi di compensazione per i paesi meno diligenti.
Poi, il 16 luglio la decisione di non estendere anche ad agosto il maxitaglio, e di far scendere a 7,7 milioni di barili al giorno il tetto produttivo, in risposta a una domanda petrolifera che nei mesi estivi tornava a irrobustirsi. Il giorno dopo la decisione dell’OpecPlus il Brent è salito a quota 40, livello dal quale non si è praticamente allontanato mai più al ribasso.
Infine, il 4 dicembre scorso, nella 12° riunione ministeriale Opec non Opec, l’OpecPlus ha nuovamente ignorato la tappa dello storico accordo firmato in aprile, per comunicare al mercato la decisione di un aumento graduale della produzione di 0,5 milioni di barili al giorno al mese a partire dal gennaio. Un aumento che verrà valutato di volta in volta dal comitato tecnico dell’OpecPlus.
Ora il Brent sta intorno quota 50, oscilla a seconda delle notizie sulla pandemia. Ad esempio, l’inizio della campagna vaccinale ha impresso un movimento rialzista ai prezzi (con la curva forward finita addirittura in backwardation), mentre invece la notizia della minacciosa “variante inglese” del virus ha depresso le quotazioni.
Andamento greggi di riferimento
Fonte: Staffetta Quotidiana
Questa alta volatilità dei prezzi è da sempre l’alibi perfetto per le compagnie petrolifere per ridurre all’osso gli investimenti upstream, che vengono dirottati per raggiungere gli obiettivi ambientali con innovazioni tecnologiche green su cui scommettere. A tenere la barra dritta in questo scenario di assedio del barile sono rimasti solo i paesi produttori, sempre che l’OpecPlus riesca a resistere alle pressioni centrifughe di alcuni membri e che il potente asse russo-saudita non si spezzi.
Sul 2021 è difficile fare previsioni, anche se c’è chi si lancia in questo esercizio. Per esempio, secondo il capo economista per le materie prime di Goldman Sachs, Jeffrey Currie, la mancanza di investimenti da parte delle compagnie petrolifere porterà le quotazioni del Brent a salire in media a 65 dollari al barile il prossimo anno. Questa visione rialzista non sembra essere condivisa dall’Aie, secondo cui la campagna vaccinazioni non avrà ripercussioni positive sulla domanda di carburanti – e in particolare di jet fuel – prima della seconda metà del prossimo anno, perché gli stravolgimenti delle abitudini sono stati troppo violenti.