È evidente che le misure di confinamento per l’emergenza Covid-19 abbiano avuto ricadute rilevanti sull’uso di tutti i servizi di mobilità condivisa. Alcuni analisti sono arrivati addirittura a concludere che ci troviamo ad un punto di svolta e che la mobilità individuale, in particolare l’auto di proprietà, sia l’unica soluzione a disposizione all’epoca del distanziamento sociale. In questo contesto, l’Osservatorio Sharing Mobility ha realizzato due diverse analisi in rapida successione. La prima per sondare le propensioni all’uso dei diversi sistemi di trasporto terminato il confinamento e il grado di pericolosità percepita di diverse soluzioni di mobilità, ed è stata condotta durante il lockdown (dal 20 aprile al 10 maggio 2020), interessando 12.688 persone. La seconda analisi è invece consistita in un monitoraggio dell’uso dei servizi di sharing mobility in alcune città italiane nei mesi di febbraio, marzo, aprile, maggio e in alcuni casi, quando possibile, anche nella prima settimana di giugno.

Come prima indagine si è cercato di definire la composizione dei mezzi di trasporto prima dell’emergenza Covid, in modo da delineare una linea di demarcazione tra il prima e il dopo.

Fonte: OSM

In secondo luogo si è chiesto alle persone intervistate, in pieno confinamento, se intendessero continuare a muoversi come facevano nel periodo pre Covid-19. La propensione, espressa in percentuale, varia a seconda del mezzo utilizzato con maggiore frequenza in precedenza e della motivazione del proprio spostamento (lavoro, svago etc.).

Propensione a continuare ad utilizzare la stessa modalità di trasporto anche dopo il lockdown

Fonte: OSM

Oltre ai dati presentati in tabella, è bene considerare che, per la stessa auto privata, è prevista una riduzione dell’uso da parte degli intervistati. E che molti di loro prevedono comunque di ridurre la mobilità in termini generali.

Sulla base di questo primo blocco di risposte è possibile concludere che gli abituali utilizzatori di sharing mobility in futuro non muteranno predisposizione all’uso di questi servizi e, di conseguenza, non metteranno in discussione le proprie abitudini di viaggio. Ciò che cambierà probabilmente è il proprio livello di mobilità complessivo, caratterizzato da una generale riduzione del fabbisogno quotidiano di mobilità. Conclusione confermata dal fatto che gli intervistati, al momento di esprimere su una scala di valori da 1 a 5 la sicurezza percepita delle diverse modalità di trasporto, tendono a premiare ovviamente il veicolo privato, poi i mezzi in sharing - con un punteggio migliore quando non prevedono un abitacolo - e all’ultimo posto il trasporto pubblico.

Percezione sulla sicurezza di veicoli e servizi

Nota: 1 poca sicurezza, 5 molta sicurezza

Fonte: OSM

La “classifica” cambia, con valori ancora più confortanti rispetto alla percezione di una supposta pericolosità dei servizi di sharing mobility, quando si mettono a confronto la percezione di chi già usa questi servizi con chi invece non lo fa.  Questo paragone evidenzia che, mentre per il veicolo privato e per il trasporto pubblico non c’è grande differenza, il punteggio mediamente assegnato ai servizi di sharing mobility è marcatamente più alto da parte di chi ne fa un uso abituale. La fruizione dei servizi aumenta quindi la percezione di sicurezza ad essi associata.

Il monitoraggio dell’osservatorio relativo al primo semestre del 2020

Alla luce dei risultati esposti, l’analisi dell’Osservatorio si è poi concentrata nel verificare quanto le propensioni espresse nel sondaggio siano confermate dal monitoraggio di alcuni servizi di sharing mobility operativi in alcune città italiane: Bologna, Cagliari, Milano, Palermo, Roma e Torino. L’analisi ha messo a confronto i valori dei noleggi del mese di febbraio 2020, considerato come riferimento, con i valori registrati durante il bimestre marzo-aprile e poi il mese di maggio.

L’immobilità legata al confinamento ha ovviamente provocato una forte diminuzione dell’uso di tutti i servizi di mobilità condivisa. Durante il lockdown, in tutte le realtà osservate il calo rispetto a febbraio è stato in media dell’80%, con punte vicine al 90%: valori che devono essere letti nel quadro di un calo senza precedenti della domanda di mobilità. Isfort, per esempio, rileva che il tasso di mobilità (percentuale degli italiani mobili) durante il lockdown, è sceso al 32% (vs 85% del pari periodo 2019) e che gli spostamenti e le percorrenze sono calati rispettivamente del 70% e dell’83%.

Con la fine del lockdown, con la progressiva ripresa delle attività economiche e la conseguente mobilità delle persone, l’uso dei servizi di sharing nelle città considerate ha iniziato a risalire. Nel mese di maggio, confermando quanto emerso dall’indagine sulla propensione, è possibile osservare come bikesharing e monopattini in sharing siano quasi tornati ai livelli pre Covid-19 recuperando nell’arco di 4 settimane rispettivamente 60 e 70 punti percentuali. Anche il carsharing recupera quote di domanda ma lo fa in termini minori (circa +30 punti percentuali). Lo scootersharing presenta un recupero simile ma va tenuto conto che, nelle città analizzate, l’operatività di questo servizio non è pienamente ripresa nel mese di maggio.

Noleggi medi giornalieri per servizio su base mensile (febbraio = 100)

Fonte: OSM

I punti deboli del settore emersi con evidenza durante l'emergenza

Durante il lockdown si registra non solo un calo della domanda di sharing, ma anche dell’offerta di servizi. Alcuni servizi di sharing mobility hanno interrotto il servizio, altri hanno comunque ridotto le flotte a disposizione. La riduzione delle flotte ha interessato maggiormente il servizio dei monopattini in sharing e di scootersharing. Una buona parte di questi servizi è stata interrotta, portando a zero la quantità di veicoli in condivisione in flotta. Carsharing e bikesharing, invece, anche se con alcune parziali riduzioni delle flotte a disposizione, hanno sempre mantenuto la continuità del servizio.

Il modo con cui gli operatori hanno garantito o meno la continuità del proprio servizio ha fatto emergere ancora una volta la totale assenza di regolazione del settore. Nessun servizio di sharing mobility è considerato un servizio pubblico essenziale. Ciò nonostante i servizi di carsharing sono spesso in esercizio grazie a delle convenzioni con le amministrazioni locali e dunque sono soggetti al rispetto di alcuni requisiti di base. Altri servizi, invece, sono attivi in forza di una semplice segnalazione di inizio attività e rispondono solamente all’impegno con i propri clienti. Anche l'eterogeneità dei codici Ateco degli operatori e dei servizi ha prodotto un fermo delle attività a macchia di leopardo, in funzione degli obblighi derivanti dall’attuazione dei Dpcm. Indipendentemente da questo, ogni operatore ha messo a punto una sua specifica strategia: chi ha interrotto il servizio, chi ha inteso offrirlo gratuitamente a particolari segmenti della popolazione impegnata nel contrasto alla pandemia (medici, infermieri, protezione civile etc.), chi invece ha optato per la riduzione del numero dei veicoli su strada…

Questa condizione sottolinea che, mentre è largamente condiviso il ruolo essenziale dei servizi di sharing mobility, di fatto non esiste una cornice giuridica nazionale per garantire la loro presenza e diffusione nel territorio. Mentre nel c.d. Decreto Rilancio, per esempio, sono contenuti indennizzi, sussidi e riduzioni dei canoni per l’uso delle infrastrutture per i servizi di mobilità condivisa tradizionali (servizi ferroviari, TPL su gomma e su ferro), poco o nulla è previsto per il settore della sharing mobility né direttamente, in favore degli operatori, né indirettamente, in favore delle  amministrazioni locali, per ridurre i canoni che alcuni operatori di sharing versano per l’utilizzo dell’infrastruttura stradale (sosta, accessi nelle ZTL etc.). Anche in questo frangente emerge come il livello dell’intervento pubblico sia ancora settoriale e non tenga conto della dimensione sistemica della mobilità come servizio condiviso.