Il Patto verde per l’Europa o “European Green Deal” (visto che ormai non si possono chiamare anche le cose più semplici con un termine italiano) segnava già la direzione auspicata per lo sviluppo economico europeo dei prossimi anni prima della crisi del Covid19 ed è diventato un mantra durante il confinamento (o lockdown) che ne è seguito. Molti ripetono in coro: bisogna ripartire, ma non come prima e la prima cosa da fare è puntare sulla sostenibilità e quindi su uno sviluppo rispettoso dell’ambiente. Alcuni si sono lanciati nell’accostare l’attuale pandemia all’eccessiva pressione che l’uomo esercita sull’ambiente naturale. Altri (più numerosi) hanno indicato che l’attuale emergenza, che mette in evidenza la fragilità dell’organizzazione della società a livello mondiale, è poca cosa rispetto alla manifestazione delle conseguenze dei cambiamenti climatici che si sperimenteranno in un futuro più o meno lontano. Ovviamente sarebbe sciocco sostenere che sia sbagliato auspicare un futuro “sostenibile”, cioè con maggiore benessere, maggior rispetto dell’ambiente e maggiore equità sociale. Ma il problema non è enunciare quale dovrebbe essere l’ottimo che vorremmo raggiungere. La versa sfida è indicare soluzioni praticabili hic et nunc per migliorare l’esistente e andare nella direzione auspicata.
Quanto detto sopra si applica perfettamente al caso delle forniture energetiche. L’aumento del benessere ha coinciso a livello mondiale con un aumento della domanda di energia, in particolare di elettricità. È certamente vero che nei paesi industrializzati (circa il 20% della popolazione mondiale) vi sono margini di miglioramento dell’efficienza energetica tali per cui si può pensare di accrescere il livello di benessere senza aumentare di molto i consumi di energia o addirittura riducendoli, ma questo non si può applicare alla maggior parte dell’umanità. Dunque serve quasi certamente più energia in generale e sicuramente più energia elettrica a costi contenuti (se non vogliamo rinunciare ad altri beni o servizi) anche per andare verso un mondo più sostenibile.
La risposta a questa ovvia conclusione da parte di alcuni è: bisogna trasformare il settore energetico per poter fare in modo che tutta l’energia necessaria sia fornita da fonti rinnovabili. La proposta può essere accettata come asintoto a cui tendere, ma, anche prescindendo dai costi, nessuno ha la bacchetta magica per trasformare in una notte ciò che è stato costruito in decenni se non secoli. Come è ben noto, il settore dell’energia possiede una forte inerzia sia dal lato della produzione che da quello della domanda. Un impianto di generazione elettrica a gas o fotovoltaico è costruito per funzionare almeno vent’anni, ma un impianto nucleare può arrivare anche a sessant’anni. Un’autovettura dura in media una decina di anni (a fine 2018 dei 39 milioni di vetture circolanti in Italia, 11 milioni avevano almeno 16 anni). Un edificio è costruito per durare decine di anni (o anche secoli) anche se può essere ristrutturato. In sintesi: vi sono cifre enormi investite e milioni di impianti e apparecchi legati allo sfruttamento di una determinata fonte energetica che non possono essere eliminati o sostituiti in breve tempo. Spingere la domanda verso l’uso dell’elettricità è certo un grimaldello che consentirebbe di sostituire più facilmente le fonti impiegate (l’elettricità può essere prodotta a partire da tutte le fonti), ma, come detto, richiede tempi, investimenti e in qualche caso incontra difficoltà tecniche (si pensi al trasporto aereo, ma anche marittimo).
È dunque realistico partire dal principio che la trasformazione del settore energetico (produzione e consumo) richiederà decenni e che questa transizione va attuata assecondando tutte le azioni in grado di ridurre le emissioni con impatto globale o locale, tenendo anche conto della sostenibilità dei loro costi dato che non viviamo in una situazione di risorse infinite. Questo significa anzitutto sviluppare il più possibile la produzione da fonti di energia rinnovabile (FER). A questo proposito si pone un interrogativo: le FER sono convenienti e in grado di svilupparsi da sole oppure hanno bisogno del sostegno pubblico? Si tratta di un problema complesso e non affrontabile adeguatamente in questa sede perché la competitività può dipendere da molti elementi e il sostegno pubblico assumere diverse forme. Volendo essere sintetici e limitandosi a titolo esemplificativo agli impianti fotovoltaici in Italia, è giocoforza constatare che dopo la fine degli incentivi del conto energia le realizzazioni si sono quasi arrestate. Mentre dal 2008 al 2015 la potenza installata è passata da 90 MW a 18.900 MW, tra il 2016 e il 2019 sono stati realizzati solo 2000 MW (vedi figura) malgrado nel frattempo i costi di installazione siano scesi molto e molti abbiano affermato che la cosiddetta “grid parity” era ormai stata raggiunta. D’altra parte è improprio parlare di fine degli incentivi in questo periodo visto che, almeno per i piccoli impianti, è stata concessa la detraibilità del 50% degli investimenti e ciò ha fatto sì che proprio questi impianti abbiano rappresentato la quota maggiore di quelli realizzati. In altri termini sembra difficile ancora oggi fare a meno di qualche forma di sostegno pubblico se si vuole accelerare la costruzione di nuovi impianti a fonti di energia rinnovabile (FER).
Andamento della capacità solare fotovoltaica installata in Italia (MW a fine anno)
Fonte: Elaborazioni dati Terna
È proprio quanto si ripromette di fare il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) recentemente approvato e inviato alla Commissione europea. Come è noto, l’obiettivo del PNIEC è che entro il 2030 si realizzino circa 30.000 MW di impianti fotovoltaici e circa 10.000 MW di impianti eolici per portare la penetrazione delle FER nella produzione elettrica italiana dal 35 al 55%. Per ottenere questo risultato il PNIEC indica che occorre proseguire, almeno in un primo tempo, con il lancio di aste pubbliche, intenzione già seguita dai fatti a partire dallo scorso anno. È possibile andare anche oltre? Può essere auspicabile ma rimane da dimostrare. Se ciò non avvenisse, il principale ostacolo non sono sicuramente gli impianti di produzione elettrica a gas. Anzi, sarebbe bene riconoscere che gli impianti a gas sono il modo migliore per produrre l’elettricità non prodotta da FER (e quindi è bene promuoverne l’uso in sostituzione di quelli a carbone) e sono gli impianti che meglio svolgono un ruolo di complementarietà rispetto alla produzione da FER intermittenti e aleatorie.
Tra le soluzioni all’intermittenza delle FER oggi viene spesso caldeggiato lo sviluppo di sistemi di stoccaggio (tramite batterie, ma non solo) indicando che, come avvenuto per gli impianti fotovoltaici, il loro costo scenderà fortemente al crescere della capacità installata. Anche se così fosse, sembra poco probabile che una sola soluzione sia quella adatta ad affrontare tutti i problemi e, in ogni caso, questo sottolinea come lo sviluppo delle FER comporti costi non solo legati agli impianti di produzione, ma anche quelli legati allo stoccaggio e allo sviluppo delle reti. Questo costo addizionale è specifico per ogni sistema elettrico e tende a crescere enormemente man mano che ci si avvicina a un sistema elettrico totalmente basato sulle FER come ha messo in evidenza un recente studio del MIT. Analogamente sono in atto diversi sforzi su scala internazionale per valutare il vero costo di inserimento nelle reti elettriche dei diversi tipi di impianto. Uno di questi tentativi è quello portato avanti dall’IEA che ha elaborato il VALCOE (Value Adjusted Levelized Cost of Electricity). In una applicazione di tale metodo B. Wanner, analista dell’IEA, è giunto alla conclusione sicuramente sorprendente che il solare in India, pur a fronte di un’ulteriore importante riduzione dei suoi costi, non appare competitivo con la produzione elettrica da carbone , specie se supera una quota del 10% della produzione totale.
Alla luce di queste considerazioni, pur condividendo l’obiettivo della decarbonizzazione e del massimo sviluppo realisticamente ottenibile dalle FER, sembra ragionevole concludere che ci sarà un non breve periodo in cui le FER non saranno sufficienti a soddisfare la domanda e forse non è neppure ragionevole proporsi di arrivare a un sistema “tutto rinnovabile”. Il gas è il naturale complemento delle FER per attuare e anzi accelerare la riduzione delle emissioni. Meglio quindi abbandonare contrapposizioni che appaiono più ideologiche che fondate sui fatti e sforzarsi invece di creare tutte le condizioni per uno sviluppo sano delle FER, che nel lungo periodo devono essere messe in grado di competere facendo a meno dei sussidi pubblici.