Se non fosse per il COVID-19 saremmo tutti a parlare del Green Deal dell’Unione Europea. Non avendo più voce in capitolo sulle grandi questioni internazionali, l’UE ha trovato una nuova ragione per esistere: decidere come fra 30 anni dovrà essere il mondo. 30 anni fa il petrolio costava 24 doll/bbl ed era proibito costruire centrali elettriche funzionanti a metano perché si temeva che non ci fosse abbastanza gas naturale. L’UE voleva allora che il “70-75%” dell’elettricità fosse prodotta da nucleare e carbone! Non esisteva neanche la Convenzione delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Questi riferimenti storici dovrebbero indurci ad essere modesti nel pretendere di definire il mondo di domani. Il mondo evolve non come lo decreta l’UE ma come lo creano la scienza e la tecnologia.

L’unica vera transizione intervenuta nel passato dell’energia è stato l’abbandono completo nei paesi OCSE del petrolio nella generazione elettrica. Prima delle crisi petrolifere era facile e conveniente bruciare petrolio a buon mercato per produrre elettricità. In Italia, per far fronte a questo rapido cambiamento, avevamo anche creato il “coal-water slurry” che consentiva di bruciare carbone nelle centrali concepite per utilizzare grezzo ad alto tenore di zolfo. Nel settore del calore, il maggior cambiamento ha riguardato l’utilizzo del metano, in particolare per il riscaldamento domestico, a scapito molto spesso dell’olio combustibile e, – soprattutto nel Meridione – della legna.

Ma nella mobilità non c’è stata transizione… Eravamo dipendenti dai prodotti petroliferi e lo siamo tuttora. Ancora oggi nell’UE i prodotti petroliferi rappresentano circa il 94% dell’energia utilizzata nel settore dei trasporti. Biocarburanti, elettricità e metano sono, se non marginali, poco rappresentativi. Per questo il petrolio, con il 35%, rimane la prima fonte di energia primaria nell’UE. Il “re” petrolio possiede due vantaggi imbattibili: ha un’alta densità energetica ma soprattutto è liquido e pertanto facile da utilizzare. Questa caratteristica fisica dà e darà ai prodotti petroliferi un vantaggio incolmabile.

L’unica novità del Green Deal è l'estensione degli obiettivi, perché per il resto tutto era già in atto. A dicembre 2008, nel quadro degli obiettivi “20-20-20”, l’UE aveva imposto un consumo minimo del 10% di biocarburanti nel settore dei trasporti. Una visione politica che, come denunciarono gli ambientalisti, non teneva conto dell’impatto negativo sull’ambiente, né dell’incongruenza delle sovvenzioni necessarie per produrli. Una prima revisione ha avuto luogo nel 2015 per evitare un disastro ambientale, ma è soprattutto la direttiva del dicembre 2018 che ha messo un alt a questa strategia sbagliata: per non penalizzare chi aveva investito nella produzione di questi carburanti alternativi è stato deciso che al massimo si potrà utilizzare l’1% in più di quanto già utilizzato. Dalla politica del minimo sono passati a quella del massimo. La chimica non cambierà con il Green Deal e pertanto sarebbe saggio considerare l’avventura biocarburanti come superata.

L’altra alternativa è di tornare al veicolo elettrico. Tornare, perché non bisogna dimenticare che la vettura elettrica è precedente a quella termica. Ferdinand Porsche aveva vinto il premio dell’innovazione alla fiera universale di Parigi del…1900 con una vettura a propulsione elettrica con motori nelle ruote anteriori. Ovviamente, i veicoli elettrici odierni non hanno nulla a che vedere con quelli di allora, oggi sono delle meraviglie tecnologiche. Esistono e danno ampia soddisfazione. Non credo neanche che l’autonomia in zone urbane sia un problema, come neanche lo è il rischio di penuria di terre rare per produrre le batterie. Tutto questo è secondario. Il problema del veicolo elettrico è soltanto quello della ricarica.

In Italia ci sono 37,3 milioni di autovetture che percorrono in media 16.600 km all’anno, con un consumo medio di 12 kWh/100 km. Sostituire il 10% del parco automobilistico comporterebbe un consumo di elettricità di 7,4 TWh, pari ad almeno il 2,5% del consumo di elettricità del sistema Italia. Anche con un consumo di 20 kWh/100 km sarebbe soltanto il 4,2%; si tratta di cifre modeste. Il consumo di elettricità non è dunque un problema. Ma l’elettricità è un vettore molto particolare. Abbiamo già tutti vissuto il “è saltato il contatore” quando si attinge troppo dalla rete. Per caricare il 10% dei veicoli esistenti in carica lenta a casa la sera con un contatore di 5 kW ci vorrebbe una potenza supplementare di 18,7 GW cioè 16% della potenza installata in Italia. Con una carica rapida di 50 kW i numeri esplodono.  Qualcuno dirà che non si è obbligati di caricare tutti allo stesso tempo; questo è soprattutto vero per la carica rapida, perché per la carica lenta non si potrà evitare molto la carica simultanea.  Altri potranno argomentare che presto esisterà una Smart Grid. Beh, sono dieci anni che se ne parla… Il punto fermo è che un Green Deal per la motorizzazione richiede la costruzione di nuove centrali elettriche, che in più – secondo questa strategia verde - dovrebbero funzionare con energia eolica o solare, due fonti intermittente che hanno ampiamente dimostrato i loro limiti.

Per distribuire questa potenza supplementare sarebbe necessario sventrare le nostre strade per installare cavi supplementari atti a servire la crescita della domanda di elettricità. Tutto questo sembra molto improbabile e soprattutto molto costoso. Chi pagherà? Ribadiamo che questo calcolo è soltanto per un 10% del parco automobilistico. Come può l’UE pensare all’abbandono completo dei prodotti petroliferi?

Resta l’eterna illusione dell’idrogeno. Nel secolo XIX i primi tecnici che si dedicavano allo sviluppo dei motori pensavano all’idrogeno, i primi brevetti per motori funzionanti a idrogeno sono del 1854. Al Centro Comune di Ricerca Euratom di Ispra, il grande Cesare Marchetti, avviò una ricerca sulla decomposizione termochimica dell’acqua utilizzando calore nucleare ad alta temperatura. Il rapporto EUR 4838 edito da Giorgio Beghi nel lontano 1972 – dunque prima della crisi petrolifera – era intitolato “Hydrogen as an energy vector, new future prospects for applications and nuclear energy”. Non si è fatto nulla, come neanche con la proposta di Carlo Rubbia, perché i costi sono elevatissimi.

Oggi si spera di produrre H2 con l’eccesso di energia elettrica intermittente. Si pretende che ci sarà cosi tanta elettricità a buon mercato che si potrà, tramite l’elettrolisi dell’acqua, fare funzionare le autovetture bruciando la più preziosa delle molecole. Questa è una doppia illusione. Primo, sappiamo quanto sia difficilissimo raggiungere il 100% di energia rinnovabile. D’altra parte, come prevede l’articolo 8 della direttiva sulle energie rinnovabili, gli Stati membri che non possono raggiungere il 100% devono poter comprare l’eccesso prodotto in altri paesi, motivo per cui la Commissione europea nel quadro dei progetti di interconnessione prioritari finanzia le interconnessioni elettriche tra paesi. Pertanto, un eccesso di elettricità rinnovabile esisterà soltanto se tutta l’elettricità dell’UE sarà intermittente. Chi ci crede?

L’altro motivo è legato alla petrochimica. In un mondo aperto, esiste soltanto un prezzo per un prodotto. Per l’idrogeno il prezzo – alto – è fissato dalla petrochimica che ha un bisogno enorme, e in crescita continua nel mondo, di questa molecola. Ricordiamo che H2 è la base della produzione di ammoniaca per poter produrre fertilizzanti indispensabili per dare da mangiare alla popolazione mondiale, anche essa in crescita. Se un giorno ci sarà un eccesso di produzione di H2 d’origine rinnovabile, non sarà bruciato – sprecato! – ma utilizzato nella petrochimica e non nei motori a combustione interna. Sorprende che considerazioni cosi basilari siano trascurate per giustificare une ideologia che di verde ha ben poco.

La pandemia del coronavirus ci dimostra che la mobilità è il perno della nostra economia. Ne è risultato un forte calo del prezzo del petrolio. Quando questa crisi sarà superata spero che la mobilità non sarà più considerata come una fonte d’inquinamento ma come la base della nostra qualità di vita. L’energia è vita, la mobilità anche.

L'ultimo libro di Samuele Furfari è un'opera di 1200 pagine in due volumi "The changing world of energy and the geopolitical challenges". Veda furfari.wordpress.com