Il dibattito sulle organizzazioni orientate al purpose si sta progressivamente allargando, anche grazie agli input provenienti dalla comunità finanziaria. Qual è la sua opinione in materia? Si tratta di una diffusa operazione di marketing o stiamo assistendo a qualcosa di più serio e profondo?

Credo sia importante evitare le generalizzazioni, analizzando ogni caso a partire dalle sue specificità. Le metriche oggi disponibili in materia di rendicontazione, peraltro, sono molto raffinate e quindi - al di là degli obblighi di legge - chi vuole raccontare con trasparenza il proprio impegno ha tutti gli strumenti per farlo. Va anche detto che alcune aziende si sono mosse già da tempo, anticipando di anni questa rinnovata attenzione all’ambiente, alle future generazioni e agli stakeholder. Hera, per esempio, rientra a pieno titolo fra queste realtà e il suo stesso atto di nascita si spiega proprio a partire da un’operazione tesa al consolidamento delle comunità servite. Per noi, in qualche modo, il purpose c’è sempre stato.

Qual è il segreto di Hera per coniugare gli obiettivi di business con lo scopo sociale dell’azienda?

Non ci sono segreti, né ricette magiche. Molto più semplicemente, noi lavoriamo ogni giorno per continuare a migliorare l’infrastrutturazione dei territori serviti, tutelandone l’ambiente e favorendone le prospettive di sviluppo. Nel tempo questo impegno si è progressivamente sistematizzato e oggi si colloca in maniera precisa nel solco tracciato dall’Agenda ONU al 2030. Ma per dare il nostro contributo al raggiungimento di quegli obiettivi non abbiamo dovuto cambiare rotta. Li abbiamo trovati, per così dire, sulla nostra stessa strada, a testimonianza del fatto che in tempi non sospetti avevamo già intrapreso un percorso corretto. E a dirlo sono i numeri, come confermato dalla creazione di quote crescenti di margine operativo lordo a valore condiviso, che nel 2018 ha raggiunto i 375 milioni di euro, pari al 36% del MOL complessivo, percentuale che contiamo di portare al 40% entro il 2022.

Quanto è importante, oggi, adottare un orientamento di questo tipo? È diventato più urgente?

Senz’altro, e questo dà ancora più valore agli sforzi di chi si è attrezzato quando le varie emergenze erano ancora sotto la soglia di guardia. Oggi infatti i mutamenti del contesto esterno – legati all’ambiente, alla società, ai mercati e alle tecnologie – sono diventati non soltanto estremamente repentini ma anche potenzialmente destabilizzanti. Per farvi fronte occorrono quindi imprese sempre più agili, che maturino un’attitudine al miglioramento continuo senza la quale diventa difficile fare business perseguendo obiettivi d’interesse comune. Se vuoi creare valore per tutti gli stakeholder, del resto, devi capire come cambia il loro mondo e regolarti di conseguenza. Avere un purpose, da questo punto di vista, significa anche e soprattutto rimanere in movimento.

Fra gli stakeholder ci sono anche i lavoratori: che ruolo hanno in questo percorso intrapreso da Hera?

Sono fondamentali. Senza le persone, senza metterle al centro dei processi di creazione del valore e senza farle sentire protagoniste nel business e nelle sfide del nostro tempo, nessuna strategia potrebbe tradursi in realtà. D’altronde il purpose retroagisce positivamente su chi lo persegue, perché consente a tutti i lavoratori di dare significato e concretezza al loro operato, un elemento che soprattutto i più giovani ritengono irrinunciabile per i loro percorsi di carriera. Al management spetta il compito di continuare ad allineare in maniera coerente purpose aziendale, strategie di business e attività quotidiane, un obiettivo per il quale io e l’Amministratore Delegato ci spendiamo in prima persona incontrando ogni anno, nelle varie sedi aziendali, tutti i 9.000 lavoratori del Gruppo. Sono momenti che producono engagement e aiutano a concepirsi dentro orizzonti ampi, che danno respiro al proprio lavoro quotidiano. Ma ci serviamo anche di persone che, all’interno dell’azienda, vengono appositamente formate per trasmettere ai colleghi, giorno dopo giorno, l’orientamento al miglioramento e all’innovazione.

Purpose e formazione, dunque, vanno di pari passo?

Senza formazione non si va da nessuna parte. Ecco perché in Hera lavoriamo in una logica di formazione continua, che non smette mai di proporre ai nostri lavoratori nuove competenze e nuovi approcci, con 250 mila ore di formazione complessivamente erogate nel solo 2018 a tutti i lavoratori e una media di 30 ore pro capite che ci pone ai vertici nel nostro settore. Una parte importante di questa formazione, inoltre, è centrata esattamente su valori etici e cultura d’impresa. In questo quadro, è fondamentale anche il ruolo di HerAcademy, tra le prime Corporate University nel comparto delle utility, con cui realizziamo non soltanto attività di formazione interna ma anche convegni rivolti all’esterno e focalizzati sulle sfide del nostro tempo. L’anno scorso, ad esempio, si è tenuto un importante workshop sul climate change, mentre quest’anno ne abbiamo organizzato un altro che ha avuto al centro proprio il tema del purpose delle imprese.