La mobilità è uno degli attributi della modernità. Se, durante l’intera propria storia, l’uomo ha cercato di spostarsi per migliorare le proprie condizioni di vita, l’automobile ha rappresentato in questo il più incredibile, esteso e rivoluzionario balzo evolutivo. Tuttavia, anche qui vale l’adagio per cui nessun pasto è gratis: la libertà di muoversi, mentre ha risposto a molte esigenze (anche ambientali) delle persone, ha creato altri problemi, tra cui quello dell’inquinamento locale e globale. Affrontarli richiede una strategia complessa finalizzata sia a catturare i benefici del progresso tecnologico, sia a premere l’acceleratore della policy, soprattutto in presenza di esternalità.

Un approccio razionale deve tenere conto da un lato della dimensione della sfida – quando parliamo di mobilità, parliamo di decine di milioni di veicoli che ogni giorno circolano per le strade del nostro paese – e, dall’altro, le vaste incertezze che ci troviamo davanti. Queste includono, tra l’altro, come cambieranno le preferenze individuali e sociali nei prossimi decenni, quali fonti di energie sono e saranno disponibili e quali tecnologie verranno sviluppate per muovere i veicoli e rimuovere l’inquinamento. Proprio l’entità e la varietà delle fonti di incertezza dovrebbero suggerire alla politica di evitare soluzioni semplicistiche: è inutile cercare uno “specifico universale” su cui scommettere tutto. Nella realtà, come nei vecchi film Western, lo specifico universale è una brodaglia priva di qualunque effetto terapeutico.

Al contrario, bisogna distinguere con nettezza il ruolo dello Stato e del mercato: è ragionevole che l’uno fissi obiettivi ambientali (per esempio, la riduzione delle emissioni) in modo da forzare le dinamiche di mercato, ma è poi il meccanismo di “trial and error” tipico della competizione quello da cui è lecito attendersi che emerga la soluzione (o, più probabilmente, il mix di soluzioni) migliore, dati i vincoli economici, ambientali, sociali, ecc. Questo è uno dei casi in cui la politica, anziché partire dall’origine, dovrebbe partire dalla fine: censire le esternalità negative (ambientali ma non solo: nel caso della mobilità, per esempio, anche la congestione è un elemento di cui tenere conto) e “prezzarle” in modo da favorire le alternative meno impattanti.

Il problema è che troppo spesso la razionalità di questo approccio si scontra con pregiudizi immotivati. Per esempio, una cosa di cui molti non tengono adeguatamente conto è che la tassazione sui carburanti, in Italia, è talmente alta da più che bilanciare i costi esterni generati dai veicoli. Uno studio di Francesco Ramella ha dimostrato che, per quasi tutti i tipi di veicoli privati (esclusi i diesel fino a euro3) le tasse versate rappresentano un multiplo dei costi esterni (al netto della congestione); un lavoro dell’Ufficio studi di Confcommercio ha trovato un risultato analogo per l’autotrasporto. Questo dipende dall’incredibile progresso che c’è stato nel migliorare le performance delle diverse motorizzazioni, grazie all’azione incrociata di standard regolatori sempre più severi e innovazione tecnologica guidata dal mercato.

Costi esterni dell’inquinamento atmosferico generato dalle auto in ambito urbano

Fonte: Ramella (2019)

Come si vede anche dal grafico, il salto è stato particolarmente significativo per i veicoli a gasolio: un diesel Euro 6 ha emissioni di inquinanti locali (NOx, particolato ecc) ormai limitate, e consente di ridurre significativamente la CO2 rispetto a un’auto analoga a benzina. Senza contare che tali impatti possono essere ulteriormente ridotti man mano che i biocarburanti di seconda generazione, che vengono erogati in miscela con quelli tradizionali, diventeranno più concorrenziali. Nel confronto con altre alimentazioni – elettrico, Gpl, metano – entrano in gioco numerose altre variabili: in particolare, rispetto all’elettrico, ci sono gli aspetti legati al ciclo vita del mezzo e le modalità con cui viene generata l’energia elettrica (che nel nostro paese, basandosi su un mix gas-rinnovabili, ha effettivamente un bassissimo contenuto di carbonio). Alcuni problemi, peraltro, possono essere meglio affrontati con interventi sul comportamento delle persone, piuttosto che sui loro asset: per esempio, per ridurre la congestione (che ha anche risvolti sulle emissioni) conviene concentrarsi sulle condizioni di accesso alle aree più a rischio, con politiche di road pricing come l’ecopass a Milano.

In sintesi, sarebbe sbagliato (cioè costoso dal punto di vista economico e potenzialmente anche ambientale) pretendere di conoscere la panacea di tutti i mali. Occorre invece perseguire una politica di promozione della concorrenza in tutti gli ambiti: tra le diverse alternative (trasporto pubblico vs privato, carburanti tradizionali vs innovativi, ecc) e all’interno di esse (come nel caso della mobilità elettrica, dove è necessario favorire l’emergere di una pluralità di soggetti e prevenire il rischio di monopolio nell’erogazione del servizio). “Non importa il colore del gatto: importa che prenda i topi” è un ottimo consiglio, anche per la politica ambientale.