I dati presentati nel BP Statistical Review of World Energy 2019 non sono incoraggianti, perlomeno quando si tratta degli sforzi globali atti a ridurre le emissioni di CO2, in particolare se si guarda all’utilizzo del carbone. Come osservato nell'analisi dello chief economist di BP, la quota di carbone nel mix energetico globale è praticamente allo stesso livello di 20 anni fa, e i dati per il 2018 non promettono niente di meglio per i prossimi 20 anni. Al contrario, sembrano allinearsi ai cosiddetti scenari "business as usual" che prevedono una domanda stabile almeno fino al 2040.

La persistenza del carbone può essere attribuita a uno spostamento globale della domanda di carbone dalle economie più sviluppate a quelle emergenti o in via di sviluppo, quindi correlata alla crescita economica di queste aree.

Nel 2018 l'elettrificazione è stata uno dei principali fattori alla base della crescita della produzione di energia da carbone, impedendo quindi il raggiungimento degli obiettivi in termini di decarbonizzazione. L'Asia è il principale "autore del reato", con Cina e India che sono i maggiori responsabili quando si tratta di volumi consumati. Secondo l’analisi di BP, nel 2018 questi paesi hanno consumato rispettivamente 16,3 e 36,3 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) di carbone in più rispetto al 2017. Al contrario, in Nord America ed Europa si è osservato il calo più significativo della domanda (rispettivamente quasi 22 e 11,3 Mtep).

Ma mentre Cina e India attirano una maggiore attenzione a causa del volume puro del loro consumo di carbone, sono i paesi asiatici minori ad evidenziare i tassi di crescita più preoccupanti, tra cui il Bangladesh (+ 12,1%), il Vietnam (+ 22,9%) e il Pakistan (+ 63,3%). Ad oggi si potrebbe essere tentati di trascurare questi paesi poiché si parte da un livello di consumo molto basso, ma simili tassi di crescita implicano che questi volumi non resteranno insignificanti così a lungo ed, anzi, aumenteranno rapidamente. Inoltre, già nel 2018 -  a livello aggregato - gli "altri" paesi piccoli e meno sviluppati dell'Asia-Pacifico si attestano sui 184,7 Mtep, il che rappresenta più di un terzo dei consumi dell'India e quasi 20 Mtep in più rispetto al valore consumato da questi stessi paesi nel 2017, per un aumento dell'11,6%.

I numeri di BP per il 2018 sono quindi coerenti con gli andamenti degli scenari "business as usual" presentati dai principali outlook energetici globali. Lo scenario "evolving transition" di BP prevede un calo della quota di carbone nel consumo globale di energia primaria (28% nel 2017 vs. 20% nel 2040) ma nessuna riduzione significativa dei volumi assoluti (3.731 vs. 3625 Mtep).

Gran parte della crescita della domanda e dello shift geografico nell'uso del carbone sono legati ai modelli di crescita economica: i paesi che passano da un’economia primaria basata sull’agricoltura a un’economia industriale  necessitano di energia più affidabile, economica e di facile reperibilità. In effetti, secondo il BP Statistical Review, l'industria è la principale fonte di domanda di carbone. Inoltre va considerato il fattore demografico, con una popolazione mondiale che non solo crescerà rapidamente nei prossimi decenni, ma cercherà anche di migliorare i propri standard di vita. Ciò include il tema dell'accesso all'elettricità, che - come dimostra l’analisi di BP - è il principale fattore alla base della crescita della produzione di energia a carbone.

Come mai? Perché il carbone è a buon mercato. Più economico di altri combustibili e più uniformemente distribuito in tutto il mondo. In effetti, sempre secondo BP, la maggior parte delle riserve di carbone provate a livello mondiale si trova nei paesi in via di sviluppo, con il 42,2% delle riserve totali allocate nella regione Asia-Pacifico, caratterizzata da una elevata domanda di energia. Questo fa sì che, nella gran parte delle aree del mondo in via di sviluppo - nonostante il suo significativo impatto emissivo – la generazione elettrica da carbone rappresenti l’evoluzione naturale rispetto al cherosene, alle biomasse e allo stesso carbone utilizzati direttamente per riscaldare le abitazioni o per cucinare: fonti che tra l’altro espongono chi li utilizza ad un forte inquinamento locale e a rischi sanitari elevati.

I dati sul 2018 forniti dal BP Statistical Review of World Energy dovrebbero in sostanza essere fonte di preoccupazione per chiunque abbia a cuore una riduzione del livello delle emissioni globali di CO2.

Per le seguenti ragioni:

1. L'utilizzo di carbone non è in calo. Si osserva un aumento della quota del carbone nel mix energetico globale nel 2018. Ma anche se in futuro il suo peso diminuirà, questo non è abbastanza per stare tranquilli. Bisogna infatti prestare attenzione ai volumi di consumo assoluto, poiché sono i volumi e non le percentuali a determinare i livelli delle emissioni di carbonio.

2. Le riduzioni nell'uso del carbone in alcuni paesi sono compensate dagli aumenti in altre parti del mondo. Il calo della domanda a livello OCSE non è sufficiente a ridurre le emissioni mondiali di CO2, poiché viene rapidamente controbilanciato dalla crescente domanda dei paesi in via di sviluppo.  Dobbiamo considerare che, in assenza di importanti progressi tecnologici, il carbone rimarrà molto probabilmente un punto fermo della richiesta energetica globale.

3. Il carbone è ancora attraente. Si tratta di un combustibile ideale per alcuni paesi perche’ (nella maggior parte dei casi) è più economico delle sue alternative, relativamente facile da trasportare e immagazzinare, e più uniformemente distribuito a livello globale. Pertanto, fornisce un livello maggiore di sicurezza energetica. Ad esempio, il gas naturale, per quanto facile da reperire, risulta più costoso e i suoi prezzi possono fluttuare ampiamente. Anche la possibilità di accedere direttamente alle risorse di carbone nazionali, senza ricorrere all’import, costituisce una virtù, date le relazioni commerciali sempre più tese in tutto il mondo.

4. Le soluzioni per le emissioni devono includere un'ampia gamma di opzioni. I paesi dell'OCSE sono e dovrebbero essere una forza trainante nello sviluppo di soluzioni all inclusive per la transizione energetica mondiale. Ma mentre molti paesi sviluppati potrebbero a un certo punto fare a meno del carbone, bisogna tener conto del fatto che è improbabile che il carbone scompaia come combustibile di prima scelta in altre parti del mondo. Pertanto, uno sguardo oltre le rinnovabili è cruciale, compresa la ricerca e sviluppo sull'idrogeno, la cattura del carbonio o l'energia nucleare. Una visione ristretta potrebbe portare a opportunità mancate.

5. Le transizioni energetiche devono essere sensibili ai costi. Anche i paesi sviluppati devono fare attenzione nel loro processo accelerato di transizione energetica, in particolare quando questi significa prezzi dell'energia più alti. Le disparità in termini di ricchezza all'interno delle società sviluppate possono essere fonte di contraccolpi significativi. Circa il 16,9% dei cittadini dell'UE è considerato a rischio povertà nel 2017 anche laddove sono presenti politiche di welfare. Le proteste dei gilet gialli in Francia mostrano i potenziali problemi che il mondo OCSE potrebbe affrontare se i prezzi dell'energia dovessero aumentare troppo.

L’autore è nonresident fellow per il Center for Energy Studies presso la Rice University’s Baker Institute for Public Policy e senior fellow presso il Kleinman Center for Energy Policy, University of Pennsylvania.

La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di RiEnergia. La versione inglese di questo articolo è disponibile qui.