Nelle recenti elezioni europee, a livello aggregato, non ci sono stati né chiari vincitori né sconvolgimenti epocali: l’Unione europea ha ancora una posizione centrista. Il Partito popolare (PPE o EPP) e i Socialisti (S&D), pur perdendo dei seggi (rispettivamente 38 e 34 in meno rispetto alla situazione in Parlamento a fine legislatura), si confermano le due compagini principali dell’Europarlamento, potendo sostanzialmente continuare il lavoro iniziato nel 2014. Tuttavia, avranno bisogno di un altro partito in coalizione.

“Se si guarda alle coalizioni, si nota come quella di centrosinistra è adesso leggermente più ampia di quella di centrodestra. Non è una maggioranza assoluta, ma implica un più forte potere negoziale. Maggiore del potere negoziale del centrodestra e maggiore del potere negoziale che aveva nello scorso Parlamento. In questo senso ci si aspetta un Parlamento europeo più ambizioso (a livello ambientale),” osserva Cillian O’Donoghue, direttore del dipartimento Energy&Climate Change di Eurometaux.

I partiti con un forte accento sulla sovranità nazionale rimangono ai margini, mentre i partiti ambientalisti avranno più voce nei prossimi anni.

ALDE e Verdi sono infatti considerati i principali vincitori delle elezioni. Guadagnano 57 seggi rispetto alle elezioni del 2014, arrivando a 174. Entrambi i partiti hanno un focus sull’ambiente. Il programma politico di ALDE ha come secondo punto uno sviluppo sostenibile, quello dei Verdi ha i cambiamenti climatici come priorità numero uno. ALDE non è al momento dell’idea di redigere nuove norme, almeno non nella misura voluta dai Verdi, ma questo potrebbe comunque cambiare.

“Le recenti elezioni rafforzeranno la politica climatica dell'Ue. Il movimento verde ha ora più potere. Anche negli altri gruppi non vi è un forte consenso per opporsi alle politiche sul cambiamento climatico. Pertanto, la politica sul clima del Parlamento Ue continuerà e addirittura si amplierà,” commenta Samuele Furfari, professore all’Università libera di Bruxelles.

Visti i risultati delle elezioni e i primi commenti a caldo, a meno di sorprese, anche la nuova Commissione dovrebbe essere più ambiziosa rispetto all’esecutivo guidato dal Presidente Jean-Claude Juncker. I temi principali dell’agenda rimarranno con buona probabilità la revisione degli obiettivi al 2030 (FER ed Efficienza già nel 2023), la revisione dell’ETS, la finanza sostenibile, un nuovo pacchetto di misure in ambito gas, le emissioni del settore dell’aviazione e il più complesso di tutti: la neutralità climatica entro il 2050. Al contrario, rimangono un’incognita il phase-out dal carbone e la gestione del nucleare nel mix energetico, proprio per il ruolo preponderante di Germania e Francia.

Parlamento europeo: i gruppi centristi e le politiche energetiche

Durante la loro recente campagna elettorale, i due principali partiti politici europei, PPE e S&D, non hanno scommesso troppo sull’energia e sull’ambiente, non riuscendo a capitalizzare l’impegno mostrato, le politiche promosse e i risultati ottenuti negli ultimi cinque anni, a partire dall’Accordo di Parigi. Hanno però riconosciuto, dopo il voto, l’importanza delle tematiche ambientali a livello europeo, consapevoli che parte delle loro perdite siano state dovute ad una campagna elettorale poco centrata su questi temi.

Per quanto riguarda il PPE, solo 3 delle 18 priorità fanno riferimento all’ambiente e all’energia. Nonostante ciò, tra queste si trovano la riduzione della dipendenza da fonti fossili; l’efficienza energetica e la creazione di un vero e proprio sistema elettrico europeo attraverso investimenti in infrastrutture e sviluppo tecnologico. A voto concluso, poi, la cancelliera tedesca Angela Merkel, durante un’intervista alla CNN, ha ribadito che la Germania non userà più carbone a partire dal 2038 e che il suo CDU sosterrà il PPE nei lavori parlamentari al fine di rafforzare l’azione energetica e climatica europea.

Tuttavia, sembra poco probabile che sia proprio il PPE la forza politica che porterà avanti l’uscita dal carbone, considerando che circa un terzo degli europarlamentari PPE rappresenteranno di fatto gli interessi di Germania, Polonia e Romania, dove il ruolo del carbone nel mix energetico nazionale rimarrà fondamentale, almeno sul breve termine.

Passando ai socialisti, 2 delle 4 priorità del loro programma prevedono investimenti finalizzati a garantire un “futuro più pulito ai nostri figli” e un nuovo modello economico che tenga conto “dei limiti del nostro Pianeta”. Inoltre, tra i primi commenti post-elezioni, lo Spitzenkandidat del S&D Frans Timmermans ha assicurato che il suo gruppo lavorerà alla creazione di un partito pro-Ue attento alle diseguaglianze e alla situazione climatica. 

Stando a queste premesse risulta quindi ben evidente che sia PPE che S&D dovranno tenere conto delle sensibilità ambientali degli elettori nel momento in cui formeranno una coalizione con un altro gruppo. Ma trattandosi dei due partiti che fino ad oggi hanno governato, ci si aspetta una certa continuità della politica energetica, fondata sul rafforzamento del mercato unico, sulla promozione di un’Europa low carbon e sulla sicurezza degli approvvigionamenti di gas.

I sovranisti rimangono ai margini?

I partiti con un forte accento sulla sovranità nazionale, nonostante le aspettative, sembrano rimasti marginali. Nei loro programmi, ENF (che riunisce la Lega, il partito di Marine Le Pen in Francia, Alternativa per la Germania e il Partito per la Libertà dei Paesi Bassi) e EFDD (Partito pro-Brexit di Nigel Farage e M5S in Italia), come anche i Conservatori di ECR non fanno riferimento all’energia o all’ambiente. Anzi, secondo il think tank tedesco Adelphi, questi gruppi hanno espresso una ferma opposizione al tentativo di rafforzare i target climatici durante la chiusura della precedente legislatura.

Tuttavia, avendo congiuntamente pochi più seggi di ALDE, è improbabile che ENF e EFDD possano usare il loro peso politico per contestare gli impegni ambientali. Per non parlare del fatto che alcuni tra i loro membri (è il caso, soprattutto, del Movimento 5 Stelle) hanno posizioni di fondo piuttosto ecologiste.

Scenari futuri

Cosa aspettarsi allora per i prossimi mesi? Quale la coalizione più verosimile? Solo un’alleanza tra PPE, S&D e il gruppo dei Conservatori di destra ECR (quinto gruppo) potrebbe raggiungere una maggioranza in Parlamento senza il supporto di Verdi e/o ALDE. Si tratta però di uno scenario alquanto improbabile. Non solo a livello politico, quanto anche a livello di numeri. Senza i 13 europarlamentari ungheresi (al momento il partito Fidesz di Orban è stato espulso dal PPE), la maggioranza scenderebbe da un 53,5% a un 50,7% di difficile gestione. Se invece gli europarlamentari britannici dovessero ritirarsi per via della Brexit la coalizione a tre reggerebbe bene (oltre 55% nel caso il partito di Orban rimanga nel PPE).

Un’eventuale coalizione a quattro (PPE, S&D, ALDE e Verdi) offrirebbe una maggioranza solida (67,4% con Orban e 65,6% senza Orban), anche senza gli europarlamentari inglesi. La loro unione significherebbe una maggiore forza in campo ambientale. Ma se una coalizione a tre risulta complicata, a maggior ragione una formazione con quattro forze politiche diverse appare altamente improbabile. Specie se si considera che in 13 dei 28 Stati membri non sono stati eletti europarlamentari nel gruppo dei Verdi (Italia, Polonia, Romania, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Bulgaria, Slovacchia, Croazia, Slovenia, Cipro, Estonia e Malta).

Lo scenario più probabile quindi, rimane quello di una coalizione tra i Popolari (PPE), i Socialisti (S&D) e i Liberali. Si tratterebbe di una convergenza che può contare su una maggioranza minima del 56,4%. A guidare i Socialisti saranno gli spagnoli (20 seggi per i Socialdemocratici) e gli italiani (19 seggi). La compagine di Pedro Sanchez potrebbe uscirne trionfante e con loro anche le politiche ambientaliste. Sin dalle elezioni spagnole di aprile, i Socialisti si sono dimostrati infatti forti sostenitori delle energie rinnovabili. Le misure proposte, fondate sulla collaborazione pubblico-privata, hanno lo scopo di innescare 200 miliardi di investimenti nei prossimi 11 anni per la realizzazione del piano nazionale energia e clima, centrato su zero emissioni nette entro il 2050.

Tuttavia, i veri promotori del cambiamento potrebbero essere i Liberali di ALDE. Questo gruppo infatti, che parla di reti transeuropee e di nuove politiche energetiche incentrate sull’efficienza energetica e sul supporto alla realizzazione dell’Unione energetica, con molta probabilità potrebbe dare un’impronta più “green” al programma di coalizione in ragione del ruolo preminente che potrebbe essere giocato dagli europarlamentari francesi del partito di Macron (La Republic En Marche) che hanno ottenuto il 20% dei seggi di questo gruppo. “I francesi cercheranno di prendere il controllo dell’ALDE. Cercheranno inoltre di portare avanti la loro agenda nazionale. Per esempio la carbon-tax alle frontiere e il carbon price floor. Il tutto per aumentare il prezzo della CO2, senza conseguenze negative per loro, dato il mix energetico prevalentemente nucleare,” suggerisce Immavera Sardone, esperta di politiche europee basata a Bruxelles.

Cambiamenti ma non troppi

Nonostante l’avanzata di Verdi e Liberali, non si può parlare di una “rivoluzione ambientalista” in Parlamento e in Commissione. Questo specialmente se i prezzi della CO2 dovessero rimanere alti e se non si dovesse palesare una crisi degli approvvigionamenti. Insomma, a meno di sorprese.

La Commissione, che ha il monopolio dell'iniziativa normativa, potrebbe essere portatrice di istanze nuove. I cambiamenti di rotta non saranno però drammatici.

A questo punto la variabile in campo energetico rimarrà il Consiglio. I Paesi membri potrebbero continuare a resistere al cambiamento richiesto da Commissione e soprattutto dal Parlamento.

“Già al recente Consiglio informale di Sibiu, l'Ue era divisa sulle politiche a lungo termine relative al cambiamento climatico. Alcuni governi potrebbero diventare più loquaci su questo. È presto per aspettarsi un'inversione completa, ma potrebbe emergere una politica di “wait-and-see”. Il governo tedesco ora è obbligato ad avere una posizione più prudente,” spiega Furfari.

“L’Unione deve presentare da qui al 2020 la sua strategia climatica di lungo periodo. Il nodo è se gli Stati membri troveranno un accordo riguardo la neutralità climatica entro il 2050. Al momento, nove Stati stanno facendo lobby a tal proposito. La Germania l’ha presa in considerazione ma non si è ancora espressa ufficialmente. Tutto dipende da lei,” conferma Sardone.

Ci possiamo quindi aspettare una lenta riforma, che potrebbe non vertere su una serie di nuovi corpi legislativi, quanto piuttosto su un aumento dei budget per progetti compatibili con un sistema energetico basato sulle rinnovabili. Ulteriori risposte arriveranno comunque il 20 e 21 giugno, quando i leader dei Paesi Ue si incontreranno per discutere la lista dei candidati alla guida della Commissione che il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk sta nel frattempo negoziando.

Non si potranno/dovranno neanche ignorare le politiche energetiche negli Stati Uniti e in Canada (dove le elezioni di ottobre potrebbero portare un cambiamento, essendo il primo ministro Justin Trudeau abbastanza in difficoltà), così come in Australia e in Brasile. Questi sono altri punti interrogativi da non sottovalutare.