Da una parte gli oli minerali, dall’altra gli oli e i grassi – vegetali o animali – esausti: sono queste le due grandi famiglie in cui è possibile dividere la raccolta e il recupero degli oli usati, che in Italia rappresentano una fetta sempre più importante dell’economia circolare.
Nel caso degli oli minerali – che sono utilizzati principalmente per il funzionamento dei motori a combustione interna, dalle auto ai macchinari industriali – è il consorzio Conou, ovvero il primo Ente ambientale nazionale ad essere nato per la raccolta differenziata di un rifiuto pericoloso, a informare che nel 2017 (anno in cui per adesso si fermano i dati ufficiali) la raccolta è passata da 177.000 a 183.000 tonnellate, un incremento che ha avuto importanti ricadute in termini di salvaguardia ambientale: se le 6.000 tonnellate in più fossero state tutte sversate in acqua, avrebbero potuto inquinare una superficie pari a 30 volte il lago di Garda.
I quantitativi raccolti non sembrano molti rispetto all’immesso al consumo (406.000 t/anno), ma in realtà aver superato il 45% è da considerarsi già un dato positivo. Poiché una parte rilevante degli oli si consuma durante il suo utilizzo, la capacità dell’intera filiera di raccogliere ogni anno circa il 97% del quantitativo raccoglibile di questo rifiuto pericoloso rappresenta un traguardo che pone l’Italia in una posizione migliore rispetto alla media europea, marcando una distanza che diventa abissale se si osserva il dato degli oli minerali usati avviati a rigenerazione: in Italia si arriva al 99% del raccolto contro una media Ue del 55%.
Questo significa che nel 2017 il Conou ha avviato a riciclo 181.000 tonnellate di oli lubrificanti usati, producendo 112.000 tonnellate di basi rigenerate e oltre 50.000 tonnellate di oli leggeri, gasoli e bitumi; gli oli usati avviati a recupero hanno consentito, grazie alle importazioni di greggio evitate, un risparmio di 56 milioni di euro sulla bilancia petrolifera italiana.
Per migliorare ancora, soprattutto sul fronte della raccolta, il Conou da anni ha impostato azioni mirate a trovare accordi con gli enti e le autorità locali, al fine di posizionare isole ecologiche per il conferimento dell’olio lubrificante usato di provenienza domestica all’interno dei centri di raccolta, agevolando così il conferimento.
Un elemento che risulta fondamentale anche per la gestione dell’altra grande famiglia di oli usati, ovvero gli oli e i grassi (vegetali o animali) esausti, dove la distanza tra quanti di questi rifiuti non pericolosi vengono prodotti e quanti vengono raccolti in modo differenziato è marcata: nel 2017 il consorzio Conoe ha raccolto 72.000 tonnellate di oli vegetali esausti (+8% sul 2016), una quota che si ferma a circa un quarto rispetto a una stima di 250.000 tonnellate l’anno di rifiuti prodotti.
«Tra le principali criticità del settore – si sottolinea infatti all’interno dell’ultimo rapporto L’Italia del riciclo, elaborato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile – vi è la scarsa percezione del potenziale inquinante degli oli vegetali e grassi esausti di provenienza alimentare e la conseguente sottovalutazione degli impatti ambientali generati da una non corretta gestione», che a sua volta è legata ai bassi tassi di raccolta differenziata. Per questo «la maggiore informazione e sensibilizzazione dell’utenza è determinante per accrescere l’attenzione sul tema e migliorare il trend di raccolta», con la necessità di concentrare le attenzioni soprattutto su uno specifico ambito di mercato: nel corso degli anni il sistema Conoe ha progressivamente aumentato la propria raccolta, focalizzata però ancora prevalentemente nel settore della ristorazione, mentre delle già citate 250.000 tonnellate si stima che circa il 64% provenga dal settore domestico e circa il 36% da quello professionale, suddiviso tra i settori della ristorazione e dell’industria e artigianato. «Di fatto – chiosa il report L’Italia del riciclo – al settore domestico è imputabile la quota maggiore di oli vegetali esausti prodotti, e quindi il più alto potenziale di oli recuperabili», magari da incoraggiare anche grazie all’introduzione di metodi di raccolta differenziata più capillari sul territorio.
Uno sforzo del genere sembra in grado di portare buoni frutti sul fronte ambientale come su quello economico. Se le quotazioni delle materie prime concorrenti (come gli oli di palma, soia, colza) risultano diminuite nel 2017 in ragione dell’ampia disponibilità di scorte nei principali Paesi asiatici produttori e delle previsioni di abbondanti raccolti – oltre che a seguito delle critiche sull’utilizzo dell’olio di palma, che hanno contribuito all’accumulo di scorte invendute –, la curva del valore dell’olio vegetale esausto ha subito un’oscillazione al rialzo, passando da una media annuale di 584 €/t nel 2016 ad un valore di 646 €/t nel 2017 (+10,62%).
Del resto l’Europa resta un importatore di oli vegetali, destinati in buona parte alla fabbricazione di biodiesel, e anche il recupero dei relativi rifiuti italiani non sfugge al trend: delle 72.000 tonnellate di oli vegetali esausti raccolti dal sistema Conoe, poco più dell’85% è stato avviato a produzione di biodiesel per un ammontare di circa 60.000 tonnellate, consentendo un risparmio sulla bolletta energetica del Paese di 21 milioni di euro.
Non a caso è l’Eni che ad oggi utilizza circa la metà di tutti gli oli alimentari usati disponibili in Italia, con la possibilità di impiegare questi rifiuti per produrre biocarburante di alta qualità nella bioraffineria di Venezia, a Porto Marghera, e a breve anche a Gela. Uno scenario di sviluppo che ha incoraggiato negli ultimi anni anche l’ingresso di nuovi attori: RenOils, il Consorzio nazionale degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti costituitosi nel 2016 – con 254 associazioni e imprese della filiera associate – ha appena firmato proprio con Eni un accordo di collaborazione che prevede tra l’altro la realizzazione di campagne di informazione ed educazione ambientale: nelle case italiane la maggior parte di questi rifiuti viene “smaltita” negli scarichi perché la maggior parte dei cittadini non sa che eliminare gli oli di frittura attraverso la rete fognaria può comportare gravi conseguenze ambientali, oltre che contribuire a intasare il sistema di scarico domestico con relativo incremento dei costi di manutenzione.