Spesso il concetto di Demand Response, così come quello di Smart Consuming, appaiono vaghi e lontani dalla vita dei cittadini italiani. Ci spiegherebbe perché non è così? E perché proprio in questo momento è diventato un tema così attuale?

Tutti noi abbiamo ormai uno smartphone in tasca. Una cosa impensabile fino a qualche anno fa. In analogia, anche chi consuma energia può oggi fare cose che non sembravano possibili fino a dieci anni fa. Grazie a moderni hardware e software attualmente i consumatori possono avere fonti di ricavo prima impossibili, ovvero essere pagati per variare i loro consumi. Non solo pagare per consumare, quindi. Paradossalmente, i consumatori possono ricevere soldi anche per consumi negativi (ovvero essere remunerati per l’energia non consumata). Rispondere a richieste di stabilità della rete tramite una variazione attiva dei propri consumi è un servizio ad alto valore aggiunto: si contribuisce a rendere il sistema elettrico stabile e ad evitare, in ultima istanza, dannosi black-out. Il Demand Response quindi potrebbe essere definito come una partecipazione attiva dei consumatori a richieste di stabilità di rete. Lo Smart Consuming è forse un concetto un po’ più allargato. Io definirei un consumatore “smart” come quello che ha, innanzitutto, consapevolezza dei propri consumi in dettaglio (per destinazione) e della correlazione con i processi o gli usi corrispondenti (produzione, riscaldamento, luce, ecc.). Una volta acquisita consapevolezza dei propri dati energetici e di utilizzo, questo consumatore evoluto può quindi attivarsi su vari fronti. Ad esempio: capire le migliorie impiantistiche o comportamentali per migliorare strutturalmente il consumo di energia (efficienza energetica); modulare i consumi in funzione dei prezzi di mercato (Demand Side Management); partecipare attivamente a meccanismi di mercato di variazione dei consumi per avere fonti di ricavo addizionale (Demand Response).

Residenziale, commerciale o industriale: a quale tipologia di consumatore conviene maggiormente dotarsi di programmi di Demand Response, specialmente considerando il diverso grado di flessibilità della domanda? Può aiutarci con degli esempi?

La partecipazione a programmi di Demand Response ovviamente conviene a chi ha più possibilità di variare i propri consumi ad un impatto ridotto, con un minimo di taglia critica per giustificare i costi di attivazione e gestione di questa iniziativa. Mi spiego con un esempio: una grande azienda che produce piastrelle può ridurre considerevolmente i propri consumi a fronte di un chiaro beneficio economico, ed ha anche una struttura tecnica, gestionale e finanziaria per fare la valutazione dei pro e dei contro. Un piccolo consumatore (un utente residenziale, un piccolo negozio, ecc.) probabilmente ha meno incentivo e capacità di capire il beneficio di consumare di più o di meno (ridurre il condizionamento, spegnere le luci) a fronte di un ricavo di qualche Euro. Nel caso dei piccoli consumatori intervengono comunque soggetti chiamati “aggregatori”, ovvero operatori specializzati che hanno economie di scala nella predisposizione di software e hardware per la gestione dei carichi flessibili, e che rendono quindi possibile anche a soggetti minori partecipare con piccole variazioni dei consumi.

Una migliore programmazione dei consumi elettrici offre maggiori opportunità ai produttori o ai consumatori? Quali nuovi servizi, sistemi di incentivazione, formule tariffarie potrebbero essere offerti ai secondi per agevolare l’impiego dei sistemi di Demand Response?

Una migliore condivisione delle risorse disponibili per rendere il sistema più stabile permette di ridurre i costi relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti elettriche. Quindi, in principio, i benefici sono a vantaggio di tutti: dei consumatori perché la bolletta elettrica alla fine costa di meno, dei produttori/prosumer, perché vengono trovate nuove fonti di guadagno. La regolamentazione dei meccanismi di Demand Response è in via di evoluzione in quasi tutti i paesi del mondo. In generale, il segnale di prezzo che potrebbe incentivare la partecipazione attiva dovrebbe essere, a mio avviso, composto di due componenti: una fissa, per coprire i costi fissi di partecipazione (hardware, gataway di connessione al sistema rete, ecc.) e una variabile, per remunerare la variabilità di consumo quando richiesta. Penso inoltre che – come per tutti i meccanismi regolati – le formule tariffarie dovrebbero essere neutre rispetto a chi e cosa fornisce il servizio. Se l’esigenza è quella di bilanciare la potenza istantanea del sistema di 1 MW entro 1 minuto, ad esempio, la remunerazione dovrebbe essere indipendente da chi fornisce questo servizio. Potrebbe quindi essere un produttore che aumenta di 1 MW la capacità, o un consumatore che riduce di 1 MW i propri consumi.

Quali sinergie esistono tra i programmi Demand Response e fonti rinnovabili? Un maggiore sviluppo dei primi si tradurrà in una maggiore diffusione delle seconde?

Tantissime. Le fonti rinnovabili hanno mille qualità, ma la natura diversa della tecnologia e della fonte primaria implicano anche una revisione del sistema elettrico e dei programmi di supporto alla stabilità della rete. In particolare, servono regole trasparenti e di mercato per bilanciare la produzione con il consumo in ogni istante. Laddove o quando le risorse naturali (vento, sole, acqua) non sono sufficienti a coprire i consumi, serve un sistema per coprire questo gap e rendere sicura la fornitura elettrica. Ad oggi il gap è fornito principalmente dalle centrali elettriche alimentate da fonti fossili (gas naturale in particolare), essendo queste centrali per loro natura abbastanza flessibili nell’aumentare o ridurre la potenza in tempi brevi. Queste centrali devono però remunerarsi, fra le altre cose, dei propri costi fissi tramite le poche ore di funzionamento a cui sono chiamate, da cui i costi molto elevati di tale supporto. Un meccanismo addizionale è quindi quello del Demand Response: anziché chiamare una centrale termoelettrica a consumare di più, si può anche pagare un consumatore per ridurre i propri consumi. In quest’ottica il principio del demand response è di forte aiuto allo sviluppo delle fonti rinnovabili e alla sostenibilità del sistema elettrico. 

Metering, devices, domotica, tools… Lo sviluppo del Demand Response è strettamente legato alla tecnologia e ad uno stile di vita tutto nuovo. La tecnologia è già disponibile sul mercato? Ma soprattutto, il consumatore italiano è davvero pronto per tutto questo? E quello europeo?

La tecnologia si sta diffondendo in Italia e sul mercato. Per controllare i consumi in tempi rapidi serve un sistema che monitori i flussi di energia, costruisca un riferimento previsionale dei flussi energetici, comunichi con il gestore della rete elettrica e l’eventuale fornitore del servizio di gestione del Demand Response, e possa riceve anche i comandi accettati di aumento/riduzione dei carichi, in modalità più o meno automatica. Per non parlare poi delle logiche di gestione dei carichi in funzione dei segnali di prezzo, della chiusura delle partite economiche (fatture, pagamenti etc). Questi sistemi fino ad oggi erano applicati a grandi impianti, ma il progresso tecnologico li sta rendendo affidabili ed economici anche per soggetti più piccoli.   

Il consumatore italiano non è probabilmente pronto per questa nuova opportunità, se non forse i grandi consumatori che già partecipano a meccanismi simili (interrompibilità) e che capiscono le logiche di funzionamento. Per essere pronti serve innanzitutto affrontare un “audit” della flessibilità (che Falck Renewables offre) per valutare la possibilità di partecipare e i relativi costi/benefici. Sono però convinto che con il passare del tempo e con qualche caso di successo, sempre più soggetti saranno invogliati ad offrire capacità flessibile nel sistema.

In Italia, quali limiti vede nello sviluppo sul breve termine del Demand Response? E quali proposte per superarli?

I progetti di Demand Response ad oggi implementati e regolamentati hanno coperto periodi di “contratto” di durata breve (pochi mesi), non permettendo quindi di affrontare tematiche commerciali ed investimenti in modo concreto fra le parti coinvolte (consumatori, consulenti, fornitori di servizi etc.). Data la natura sperimentale di questi progetti, la breve durata è giustificata, però per fare il passo successivo penso che sarebbe ora utile prevedere periodi almeno annuali di partecipazione possibile della domanda a condizioni chiare.

Inoltre, si dovrebbe rendere sicura la crescita dei cosiddetti “Balancing Service Providers”, ovvero di quegli aggregatori di consumatori che forniscono il servizio di allestimento e gestione del meccanismo. Soggetti che sono e devono essere indipendenti dal fornitore della commodity energetica, così come succede in altri paesi e come richiesto dall’Unione Europea. Anche Falck si sta attrezzando e proponendo come BSP. Ad oggi un potenziale BSP deve ottenere l’autorizzazione dal fornitore di commodity per operare, cosa che può essere strumentalmente utilizzata per bloccare il crescere di questo nuovo servizio ed il relativo sviluppo tecnologico.