L’andamento delle quotazioni della CO2 sulle principali borse europee è sempre stato celebre per i suoi shock di prezzo, fin dai tempi dell’avvio del meccanismo ETS nel 2005. Questo mercato normativo, istituito architettando ad hoc dinamiche di domanda e di offerta, presenta da sempre punti di forza e di criticità: da un lato incentivando il fuel-switching delle imprese più inquinanti verso fonti di produzione più pulite, dall’altro rimanendo fortemente esposto ai rischi delle dinamiche politiche, macroeconomiche e congiunturali dei vari settori produttivi.

Rimane indimenticabile, ad esempio, lo shock che scosse il mercato nel 2007, quando i prezzi dei permessi crollarono a zero perdendo circa 16,00 euro/ton in pochi mesi. QuesueQuewewQUto si verificò a causa dell’annuncio della non trasferibilità dei permessi all’interno della fase II del meccanismo, prevista per l’anno successivo. Crisi economica e crisi del debito dell’eurozona scossero nuovamente il mercato negli anni successivi, facendo dimenticare quotazioni al di sopra dei 15,00 euro/ton per 6 lunghi anni. Shock del mercato petrolifero, Brexit, elezioni americane: anche negli ultimi tempi non sono mancati fattori scatenanti di forti strappi di mercato (in tutti questi casi, ribassisti).

Nonostante gli eventi appena descritti, il mercato, almeno dal 2013, ha sempre mantenuto un trend primario rialzista, anche se, come è noto, in borsa i prezzi salgono per le scale e scendono con l’ascensore.

Anche negli ultimi mesi i prezzi dei permessi hanno navigato in acque turbolente e stiamo assistendo a delle accelerazioni con quotazioni in rapido incremento. A partire da gennaio 2018 si è assistito ad una corsa al rialzo del 230%, con quotazioni che hanno raggiunto picchi di quasi 26,00 euro/ton ad inizio settembre, livelli che non si vedevano sul mercato da 10 anni.

A prima vista questa variazione trova giustificazione nell’avvicinarsi dell’entrata in vigore di alcune misure correttive per il mercato, istituite proprio per dare sostegno ai prezzi. Prima tra tutte la Riserva di Stabilità, la quale a partire dal 2019 inizierà a decurtare il surplus di quote riducendone l’offerta e, conseguentemente, dando una spinta positiva ai prezzi di borsa. Dobbiamo quindi intendere questa accelerazione rialzista come un’anticipazione da parte degli operatori (che ricordiamo non essere solo chi rientra nell’obbligo ETS, ma anche organismi come banche, fondi di investimento, società di intermediazione finanziaria etc.) della futura carenza di quote sul mercato? Non sarebbe la prima volta che un determinato avvenimento venga prezzato dalla borsa con largo anticipo.

A mio parere, tuttavia, sarebbe riduttivo ‘dare la colpa’ solamente alle aspettative dei trader o ai meccanismi di domanda e offerta. Quali altre contingenze possono aver spinto così in alto, dopo così tanti anni e così velocemente, il valore delle quote della CO2? La risposta si può forse trovare, tra le altre cose, in una normativa che non proviene dai legislatori europei che si occupano di tematiche ambientali.

Ad inizio 2018 è infatti entrata in vigore la normativa comunemente nota come MIFID II la quale, per farla breve, equipara i permessi di emissione ai titoli mobiliari regolamentati e pertanto li rende scambiabili, oltre che dalle aziende sottoposte all’obbligo ETS, solamente da soggetti appositamente abilitati (come banche o SIM). Le aziende facenti parte del meccanismo ETS non sono però coloro che effettivamente movimentano le percentuali più alte di volumi sul mercato, lasciando questo ruolo a società che hanno il trading nel proprio core business. La MIFID II ha fatto sì che molte realtà, in assenza della licenza ad operare, uscissero dal mercato a causa degli alti costi strutturali ed amministrativi legati all’ottenimento dell’abilitazione, oltre che delle più stringenti attività di sorveglianza da parte di enti nazionali (nel nostro paese Banca d’Italia e Consob); oppure che alcuni trader stringessero accordi di collaborazione tra di loro. Questo potrebbe far pensare che su borse energetiche come ICE Futures Europe o EEX si sia registrato un crollo degli scambi, ma non è stato così, tanto che i volumi “tradati” sui principali contratti future non hanno subito particolari contraccolpi di liquidità (probabilmente anche grazie ai market maker).

Operatori che escono dal mercato lasciano semplicemente più spazio a quelli che vi rimangono. Gli equilibri stanno cambiando e tale congettura sembra trovare conferma anche nel fatto che, nei primi 8 mesi del 2018, il 50% delle quote messe all’asta in Germania è stata acquistata da soli 4 operatori (oltre 64 Mln di quote).

Guardiamo alla questione più ‘in piccolo’ per capire meglio il quadro generale. Facciamo un esempio recente.

EUA DEC18- ICE Futures Europe

Fonte: Rielaborazione da Ice Futures Europe

Come si vede dal grafico, negli scorsi mesi di giugno e luglio le quotazioni sul contratto DEC18 (il contratto future più liquido della borsa in scadenza a dicembre 2018) di ICE si sono mosse in un trading range ampio meno di 3,00 €/ton mentre, a partire da agosto si è osservata un’esplosione di volatilità di oltre 9,00 €/ton: in un mese le quotazioni sono salite del 18,62%. È una dinamica ciclica che si verifica spesso durante questo mese, semplicemente perché gli operatori ‘piccoli’ sono in vacanza lasciando agli operatori ‘grandi’ e più esperti il privilegio di muovere il mercato. Indipendentemente dall’interesse speculativo che può esserci dietro queste dinamiche, a mio parere l’esempio spiega in modo semplice quello che si è verificato a partire da gennaio 2018. Si tratta di una semplificazione e sicuramente non è l’unico elemento rappresentativo dell’aumento dei prezzi, ma ricordiamo che l’efficienza di un mercato è fatta anche dal numero di operatori che vi partecipano. La Polonia a tale riguardo ha pure inviato alla Commissione Europea una richiesta di far luce su eventuali manipolazioni di mercato.

Le dinamiche di volatilità date dal cambiamento degli equilibri degli operatori, congiuntamente al trend rialzista alimentato dalle aspettative riguardo la Riserva di Stabilità, sono probabilmente i principali fattori che stanno spingendo i permessi di emissione (EUA) verso quotazioni che non si vedevano dai ‘tempi d’oro’ del meccanismo ETS.

Stiamo avendo un anno positivo per i prezzi, che lascia molto spazio agli attori più propensi al rischio per portare a casa profitti dalle oscillazioni di mercato. Non sono da sottovalutare, però, le criticità di tale situazione: visto il continuo e progressivo aumentare dei margini sulle posizioni lunghe, eventuali vendite di massa scatenerebbero con estrema facilità nuovi crolli. Ricordate il discorso delle scale e dell’ascensore?