Oggigiorno le tematiche energetiche ricoprono un ruolo fondamentale nel campo della formazione e della ricerca universitaria: da qui muove la scelta di numerosi atenei di fondare Dipartimenti o Istituti dedicati a questo argomento. Anche l’Ateneo in cui sono docente ha recentemente avviato un Dipartimento di Energia, all’interno del quale si uniscono le competenze di numerosi professori e ricercatori focalizzati nell’energy sector.
L’obiettivo principale è quello di approcciare il mondo dell’energia nella sua complessità ed evoluzione, formando studenti (discipline), lavorando nel campo della ricerca (tecnologie) e occupandosi di vari aspetti della catena energetica: dalla produzione dell’energia, alla sua conversione, trasporto e utilizzo, passando anche per lo studio degli aspetti sociali ed ambientali ad essa connessi. Merita, inoltre, fare una considerazione importante: il tema energetico è talmente attuale e multidisciplinare che vede coinvolti un numero elevato di accademici appartenenti alla quasi totalità delle materie: dalle ingegnerie alla matematica e fisica, dalle scienze ambientali a quelle sociali, dall’architettura al design, per citare i più comuni.
Una multisciplinarità riscontrabile anche nell’imminente partenza della prima edizione del Master di secondo livello in Energy Innovation promosso da Eni in partnership con il Politecnico di Milano. Scopo primario del Master, che ai 9 mesi di lezioni in aula affianca anche 3 mesi di project work/lavoro presso le sedi Eni, è quello di sviluppare competenze di carattere gestionale, le cosiddette «soft skills» e integrarle sia con quelle prettamente tecnico-scientifiche dell’area Oil&Gas e sia con quelle delle nuove fonti energetiche (es. energie rinnovabili, chimica verde, valorizzazione delle biomasse, smart materials, big data e digitalizzazione).
Studiare e formare nuovi studenti nell’ambito del settore energetico non è semplice. La materia è vasta ed estremamente complessa; e ancora di più lo è relativamente agli aspetti legati alla sua produzione, un comparto di estrema rilevanza e suscettibile di numerosi dibattiti sulle sue ricadute economiche, ambientali e sociali. Come docente mi occupo proprio di questi temi e in particolar modo dello sfruttamento delle fonti fossili quali petrolio e gas. Si tratta di argomenti che ricoprono sia nell’ambito della formazione che della ricerca un ruolo ancora attualissimo e preponderante: basti pensare che oggigiorno più dell’80% del consumo di energia primaria a livello mondiale è coperto da fonti fossili, con un trend che non sembra conoscere rallentamenti. Nel 2015, secondo l’AIE, il consumo mondiale di energia era di 18 terawatt (TW) di cui circa il 35% destinati ai trasporti, circa il 30% all’industria, il 20% per uso urbano (riscaldamento, etc…) e il restante 15% ai servizi ed altro. Un consumo che secondo l’International Energy Outlook 2017 è destinato ad aumentare del 28% al 2040, nessuna fonte esclusa, ad eccezione del carbone.
Sulla base dei dati sopra riportati (ragionando per ordine di grandezza), risulta ben chiaro come la prima sfida nella formazione degli studenti sia quella di far comprendere le problematiche energetiche mondiali nella loro oggettività, trasferendo nozioni non legate a mode o sentimenti politici, che spesso tendono a divergere dalla realtà. Al contrario, ad esempio, è fondamentale comprendere come sia impensabile, al netto dei nostri stili di vita odierni, poter prescindere dall’uso di materie prime fossili. A tal proposito, una buona fetta della ricerca condotta nell’ambito della produzione dell’energia punta all’ottimizzazione dei processi produttivi e alla diminuzione degli sprechi, fattori che da soli permetterebbero di raggiungere traguardi tutt’altro che scontati nel contenimento della richiesta di energia. Non va dimenticato che, per far sì che la ricerca di soluzioni alternative in campo energetico sia efficace, è necessario ragionare a livello globale. Oggi, infatti, per coprire l’1% del consumo di energia mondiale servono 200 GW di capacità. A titolo comparativo, l’impianto di produzione di energia elettrica più grande al mondo è la centrale cinese delle Tre Gole che ha una potenza di 22,5 GW (ne servono circa 10 per coprire l’1% di cui sopra).
Un altro aspetto rilevante che guida la ricerca e la formazione in materia di contenimento dell’utilizzo delle fonti fossili è che le soluzioni alternative a queste ultime devono poter incidere in maniera preponderante su tutte le forme di utilizzo dell’energia. Ad oggi, invece, sforzi significativi si registrano nella produzione di energia elettrica mentre incidono solo su una frazione del totale consumato. Non vi è dubbio che eolico, fotovoltaico, nucleare e fusione nucleare controllata stiano già contribuendo alla sostituzione di petrolio, gas e carbone nella produzione di elettricità, ma è sicuramente più difficile che riescano a raggiungere gli stessi risultati nel settore dei trasporti, nell’industria e nei servizi, in quanto le fonti fossili possiedono già un apparato infrastrutturale ben strutturato per la loro trasformazione e distribuzione che ne rende difficile un rapido avvicendamento.
Questo ovviamente non significa che la ricerca nel comparto delle fonti green non sia altrettanto attiva e proficua: numerosi sono i progetti avviati per lo sfruttamento delle biomasse con bioraffinerie di terza generazione, o per la messa a punto di sistemi di batterie per lo storage di energia, per citare alcuni esempi. Ma è necessario, per onestà intellettuale, prendere coscienza di quanto fatto senza inseguire false chimere.
Davide Moscatelli è docente del corso Tecnologie e Processi dell’Industria Petrolifera presso il Dipartimento di Chimica, Materiali ed Ingegneria Chimica del Politecnico di Milano