Con 58 reattori nucleari ad acqua pressurizzata, ripartiti su 19 centrali e una capacità installata di 63,13 GW, nella classifica mondiale il parco nucleare francese è secondo solo a quello degli Stati Uniti. Il gestore della rete francese RTE riporta che nel 2017 le centrali nucleari hanno prodotto 379,1 TWh, equivalenti al 71,6% della produzione totale di elettricità nell’Esagono. La produzione del 2017 è stata in calo dell’1,3% rispetto all’anno precedente, a causa del blocco forzato di diverse unità nei primi mesi dell’anno, di diversi problemi di sicurezza e manutenzione, nonché per via dei controlli sul tasso di carbonio effettuati dall’Autorità di Sicurezza Nucleare francese. La produzione annuale in media si attesta sui 400 TWh. 

Più precisamente, tale produzione proviene da 58 reattori nucleari ripartiti in 19 centrali. Il parco francese, la cui costruzione è cominciata negli anni settanta, include 12 reattori non più funzionanti, di cui 9 in fase di smantellamento. La Figura 1 illustra la localizzazione delle centrali, concentrate essenzialmente in tre regioni: Auverge-Rhônes Alpes; Centres Val de Loire; Grand Est.

Composizione del parco nucleare francese

Acqua, caldo e nucleare

Uno dei fattori che spiega la localizzazione delle centrali è la disponibilità di acqua, necessaria a raffreddare le turbine e proveniente essenzialmente da risorse fluviali. Quando, ad inizio agosto, un’ondata di caldo eccezionale ha colpito la Francia, i due reattori nucleari di Sant Alban e quello di Bugey, situati lungo il Rodano, sono stati fermati. La centrale di Fessenheim, situata lungo il Reno, ha ridotto il suo funzionamento (merita rilevare come tale centrale connessa alla rete nel 1977, è comunque già al limite del suo ciclo di vita attiva). Tali misure di blocco preventivo sono state prese per preservare l’equilibrio ecosistemico, evitando che l’acqua (non radiottiva) rigettata nei fiumi, dopo aver raffreddato i reattori, non aumenti la temperatura fluviale. Il disequilibrio termico costituirebbe per esempio una barriera per i pesci migratori, come il salmone, o potrebbe creare un’eccessiva proliferazione di alghe.

Come la canicola, durata approssimativamente una settimana, anche l’interruzione dei reattori è un fenomeno temporaneo, almeno per ora. E dopo l’episodio di caldo estremo registrato in Francia durante l’estate del 2003, non appena il termometro sale al di là di 30 gradi per più di quattro giorni consecutivi, EDF segue il piano “Grand Chaleur” e interviene prontamente per fermare o ridurre l’attività di siti sensibili. Sottolineiamo il fatto che il blocco preventivo dei siti è quindi avvenuto nel cuore dell’estate, quando già di per sé la domanda è meno elevata. La Francia quindi non ha registrato alcuna tensione tra offerta e domanda, ed è anche riuscita ad esportare, seppur in misura lievemente ridotta come dimostra il minor export verso l’Italia, annoverabile tra le ragioni dell’aumento dei prezzi elettrici nel paese in questione. Ad esempio, secondo i dati di RTE, il gestore della rete elettrica nazionale, il 5 agosto 2018, giorno del picco di caldo del mese e del blocco preventivo di diverse unità di produzione elettronucleare, la Francia ha importato 1397,3 MW, ed esportato 7204,5 MW, quindi con un bilancio positivo di 5807,2 MW. Il picco di calore del periodo estivo, invece, è stato registrato il 26 luglio: in questa giornata il consumo ha raggiunto 58.177 GW e alcune interruzioni di elettricità sono state rilevate a Lione e Nizza. In questo caso però lo stop del servizio è imputabile a disfunzionamenti della rete di distribuzione, poiché l’elevato calore impedisce ai cavi di raffreddarsi correttamente.

Così come in Francia, l’impatto delle temperature elevate ha colpito anche altri paesi: a fine luglio, la Finlandia ha rallentato la produzione di un’unità per evitare di rigettare acqua a 32 gradi in mare. Problemi simili sono stati riscontrati in Germania e Svezia.

E nel futuro?

Con il cambiamento climatico, le ondate di caldo diventeranno sicuramente più frequenti. In prospettiva, la gestione del ciclo dell’acqua di raffreddamento diventerebbe problematica. Inoltre, se il corso dei fiumi si abbassa, il prelievo di acqua potrebbe non essere sufficiente.

Secondo il Presidente dell’autorità di Sicurezza Nucleare, Pierre-Franck Chevet, alcuni siti sarebbero particolarmente esposti a tali problemi: Civaux, Bugey, Saint-Alban, Cruas, Tricastin, Blayais, Golfech e Chooz. La localizzazione lungo i corsi fluviali rappresenterebbe quindi un netto svantaggio. Non a caso, la nuova centrale di Flammanvile, l’EPR (European Pressurized Reactor) è localizzata in prossimità della Manica.

In conclusione, a parte le questioni tecniche di gestione del parco, l’episodio legato a temperature elevate e il blocco delle centrali è stato ancora una volta una cassa di risonanza che ha messo in evidenza le ambiguità sul futuro del nucleare francese. La diminuzione della quote di produzione elettrica proveniente dal parco nucleare al 50% resta un obiettivo fluttuante. Tale obiettivo dovrebbe essere raggiunto entro il 2025, secondo la legge sulla transizione energetica, attualmente ancora in corso di revisione, ma la scadenza potrebbe essere estesa al 2030. E questo non è l’unico slittamento. Il reattore di nuova generazione, l’EPR di Flamanville, avrebbe dovuto già essere operativo. Quando l’EPR funzionerà, la più vecchia centrale nucleare francese, Fessenheim, che ha sofferto del caldo in agosto, dovrà cessare di produrre. Si tratta di un’equazione di equilibrio, sempre secondo la Loi de Transition Energétique, ma le incognite da risolvere sono ancora numerose.