La sostenibilità d’impresa si basa sull’idea che le imprese debbano farsi carico degli impatti ambientali, sociali ed economici generati dalla propria attività, anche oltre le richieste dei loro stakeholder. La ragione di questo ampliamento delle responsabilità dell’impresa risiede nel riconoscimento dell’interconnessione tra la redditività di lungo periodo e il contesto socio-economico-ambientale in cui essa si colloca.

Infatti:

  • la competitività dell’impresa dipende dall'ambiente circostante e dalla comunità in cui si colloca (es. lavoratori qualificati, contesto privo di corruzione, ambiente naturale favorevole, accesso alle risorse, ecc.);
  • il benessere di una società dipende dalla possibilità di avere sul proprio territorio aziende competitive che possano creare ricchezza e occupazione di qualità;
  • vi è una sinergia di lungo periodo tra obiettivi economici e sociali;
  • per massimizzare questa sinergia, le decisioni aziendali e le politiche devono essere adottate seguendo il principio del valore condiviso, ovvero facendo in modo che sia la competitività delle imprese, sia le condizioni sociali ne beneficino contemporaneamente.

La presentazione del rapporto di sostenibilità di Hera è un’occasione per analizzare l’orientamento strategico alla sostenibilità di una multiutility, fortemente radicata nel contesto in cui opera, ma parimenti proiettata in una dimensione sempre più ampia. Nel report di Hera vi è un esplicito riferimento alla creazione di valore condiviso che prevede una “espansione” del valore economico e sociale generato a vantaggio sia dell’azienda che della società in una logica win-win. Gli investimenti che una multiutility è in grado di mettere in campo per rendere efficienti e moderne le infrastrutture di gestione dell’acqua, dei rifiuti, dell’energia costituiscono infatti un diretto contributo alla qualità della vita dei cittadini e generano, al tempo stesso, delle significative ricadute sull’indotto e sull’occupazione. Ciò però oggi non è sufficiente se questo impegno non si inserisce in un quadro coerente di principi ed obiettivi definiti a livello internazionale, quale il Global Compact e l’Agenda 2030.

Il Global Compact

La più importante iniziativa di corporate sustainability nasce nel 1999, quando l’allora segretario generale delle nazioni unite Kofi Annan rivolgendosi a Davos alla business community propose un “patto globale” per la sostenibilità, che sarebbe stato lanciato l’anno successivo a New York. Il Global Compact è per le Nazioni Unite un passo epocale, in quanto non solo riconosce il ruolo delle imprese come partner di uno sviluppo più sostenibile e inclusivo, ma perché attiva direttamente l’ONU in questo progetto di engagement del settore privato. Ciò pone però una questione chiave: in che modo si possono distinguere le scelte strategiche da quelle tattiche, ovvero come si può evitare che l’adesione al Global Compact sia frutto di una scelta opportunistica basata su esigenze esclusivamente reputazionali?

Le principali risposte a questo quesito sono due e risultano strettamente legate alla mission del Global Compact. La prima, interna, relativa al fatto che la sostenibilità sia strategicamente integrata nel core business e che veda direttamente coinvolto il vertice aziendale nel suo perseguimento. La seconda, esterna e più impegnativa, riguarda l’impegno che l’impresa mette in campo per fornire un contributo significativo ad obiettivi globali definiti a livello internazionale dalle stesse Nazioni Unite.

Questi oggi sono i Sustainable Development Goals formulati nel settembre del 2015 all’interno dell’Agenda 2030. L’Agenda è rivolta a tutti i paesi indistintamente, essendo ogni contesto considerabile in via di sviluppo quando il riferimento è volto ad una crescita equa e ambientalmente sostenibile ed è previsto un ruolo importante delle imprese nel contribuire ad un nuovo modello di sviluppo economico più inclusivo e green. Si tratta infatti di favorire l’accesso ad un’energia più pulita, ad un servizio idrico universale, costruire nuove infrastrutture e città smart e sostenibili, favorire lo sviluppo dell’economia circolare; ma anche di favorire lo sviluppo e un’occupazione più dignitosa e di ridurre le diseguaglianze. Già da qui si comprende come le imprese siano chiamate a creare valore: da un lato proponendo soluzioni per un’economia più smart, pulita, dall’altra prestando particolare attenzione alla qualità dello sviluppo.

Hera con il suo rapporto di sostenibilità mostra ai propri stakeholder di essere all’interno di questo percorso. Ed è in buona compagnia.

Uno studio di Accenture, realizzato insieme al Global Compact, intervistando oltre 1000 amministratori delegati di imprese operanti in più di 100 Paesi e in altrettanti settori, mostrava già un paio d’anni fa come l’Agenda 2030 costituisse un riferimento centrale. Il 70% degli intervistati la considera un framework chiaro per strutturare gli sforzi di sostenibilità dell’impresa, che per il 90% sono ormai una necessità. Per l’80%, infatti, la capacità di dimostrare un impegno sociale è un elemento di differenziazione nel settore in cui operano e gli SDGs sono un’importante occasione per rivedere gli approcci alla creazione di valore sostenibile (87%).

Più recentemente il 75% delle 10.000 imprese aderenti al Global Compact ha dichiarato di aver messo in campo azioni concrete nell’ambito dell’Agenda 2030.

In questa prospettiva strategica è la capacità di documentare le performance. Per il 59% degli amministratori delegati la loro impresa è in grado di riportare adeguatamente i risultati in termini di business (business value) delle loro iniziative di sostenibilità.

* Marco Frey è Professore Ordinario presso l’Istituto di Management, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Presidente della Fondazione Global Compact Network Italia