Nel primissimo Dopoguerra l’Italia scopriva il metano. In un paese che fino ad allora si considerava povero di risorse energetiche autoctone, il gas naturale costituiva una grande speranza di rilancio per le industrie, la meccanizzazione e il progresso. Alla scoperta dei primi giacimenti su terraferma seguì il ritrovamento di numerosi giacimenti marini, in particolare al largo delle coste adriatiche. Alcune città come Ravenna seppero cogliere l’occasione dando vita ad una serie di distretti industriali specializzati destinati in futuro ad esportare il proprio know how in tutto il mondo.
A distanza di oltre mezzo secolo le cose appaiono parecchio cambiate. L’ondata di diffidenza che sta travolgendo la scienza e l’industria non ha risparmiato il settore Oil&Gas, che anzi ne ha costituito per anni il bersaglio principale. Accuse spesso infondate hanno affossato la credibilità del comparto. Tra queste l’idea che il metano dell’Adriatico verrà sostituito interamente da energia pulita. Un mito da sfatare, poiché il metano dell’Adriatico viene sostituito da metano importato, con maggiori costi e maggiore inquinamento causato dal trasporto. Infatti dal 10 al 25% del gas trasportato viene consumato per il trasporto stesso o per il pompaggio.
La veridicità di simili accuse non è mai veramente stata presa in considerazione e sembra che si sia progressivamente abbandonato un progetto di rilancio sul lungo termine con ripercussioni fortemente negative sotto il profilo economico e occupazionale.
Ma facciamo un passo indietro.
L’attività di ricerca di idrocarburi nell’offshore ravennate è iniziata a fine anni ‘50. La prima scoperta (Ravenna Mare) risale al 1960, ma è nel 1964 che entra in produzione la prima piattaforma. Da allora sono state installate centinaia di piattaforme. Nel 1994 l’offshore ravennate produceva 350 migliaia bep/g, un output che copriva quasi un terzo del consumo nazionale. Attualmente viene prodotto meno 60 migliaia bep/g.
L’ultima struttura installata è stata la monotubolare Guendalina nel 2011. Da allora fino al 2015, nell’Adriatico, solo 4 strutture vengono installate, Elettra, Bonaccia, Clara NW, Fauzia, ma molto più a sud, di fronte alle coste di Falconara Marittima, nelle Marche. Dopodichè non è stato fatto alcun investimento in Italia.
Purtroppo senza nuovi investimenti la produzione di gas domestico diminuisce e conseguentemente a risentirne negativamente è anche l’occupazione del settore. Le aziende della nostra associazione, la Ravenna Offshore Contractors Association (ROCA), occupavano nel 2014 7.400 persone, mentre nel 2016 l’occupazione è scesa del 35% fino a 4.800 unità. Questo dato acquista ancora più rilevanza se si considera che negli anni Novanta l’occupazione ha raggiunto picchi di 10.000 unità.
Il settore offshore ravennate vive una situazione di crisi causata dalla mancanza di investimenti e in assenza di essi il settore sarà destinato a chiudere. Ma l’importazione di gas che ne deriverà, come detto, non sarà la soluzione ai problemi ambientali paventati da gran parte degli oppositori. Il gas a km 0 infatti sarebbe meno costoso, meno inquinante e darebbe maggiore possibilità di occupazione alle aziende ravennati del settore
In Italia, attualmente, ci sono 136 piattaforme (di cui 13 entro le 12 miglia), tra esse 16 (di cui 10 entro le 12 miglia) sono prossime al termine del loro ciclo produttivo e quindi dovranno essere smantellate. Anche l’attività di decommissioning potrebbe portare nuove opportunità per le aziende dell’Oil&Gas. È da tempo che si parla di avviare la dismissione, ma purtroppo tutto è ancora fermo.
Come Roca abbiamo formulato alcune ipotesi per dare nuova vita alle piattaforme non più in produzione. Parliamo, ad esempio, della loro trasformazione in ‘isole d’acciaio’ con la possibilità di avere bar, sedi per le comunità scientifiche, centri meteo marini, ricavati da strutture che sarebbero dotate di imbarcadero galleggiante (da sollevare in caso di condizioni meteomarine avverse). Tutti gli altri impianti rimossi sarebbero depositati attorno a questa piattaforma per creare un reef artificiale adatto al ripopolamento marino che quindi diverrebbe motivo di attrazione per i subacquei. Davanti alle nostre coste non abbiamo isole, pertanto il reef d’acciaio diventerebbe una meta turistica di rilievo, come lo è oggi la riserva del Paguro, realizzata proprio sul relitto di una piattaforma affondata al largo di Marina di Ravenna. Un progetto di recupero in linea con quanto auspicato anche nelle sedi comunitarie che chiedono a gran voce di creare siti di interesse marino in Italia.
Tra gli altri interessanti progetti di conversione vi è: la realizzazione di un impianto di estrazione di sali o minerali dall’acqua di mare (a tale scopo è stato presentato un progetto per estrare il magnesio dall’acqua marina); la costruzione di una stazione di rigassificazione (il gas liquido arriverebbe con navi, trattato sulla piattaforma e mandato a terra con la stessa sealine che trasportava il gas estratto nella ‘precedente’ vita dell’impianto); infine si potrebbero installare pale eoliche e pannelli solari a bordo delle strutture dismesse.
Naturalmente ogni progetto deve essere valutato dalle autorità competenti, previa l’autorizzazione dell’attuale concessionario e deve essere parametrato sulle conoscenze tecniche e sul profilo finanziario del momento in cui viene redatto. Con la velocità con la quale corre oggi il mondo, il via libera a questi interventi deve arrivare in tempi assai ristretti: tra qualche anno potremmo trovarci nelle condizioni di rivedere tutti i parametri. Assomigliare ai Paesi del Nord Europa significa anche rapida capacità decisionale e di realizzazione.
L’attività offshore è sempre riuscita a convivere con il turismo, la pesca, l’agricoltura, le riserve naturali e le città d’arte che sono le altre risorse della costa ravennate e potrebbe continuare a farlo. Le imprese del settore Oil&Gas hanno l’esperienza e la tecnologia sia per attivare nuovi impianti che per dismettere, riconvertendole in nuove attività, le piattaforme non più attive. Roca auspica che possa decollare qualche nuovo investimento offshore per sbloccare l’attuale crisi. Chiediamo però decisioni rapide.