Il sistema dei Titoli di Efficienza Energetica (TEE), introdotto nel 2001 e poi effettivamente attivato nel 2005, è diventato negli anni un riferimento costante per le politiche di promozione dell’efficienza energetica sia in Italia che negli altri paesi europei. Negli ultimi mesi, tuttavia, le dinamiche di prezzo rilevate sul mercato dei certificati bianchi hanno determinato un animato dibattito sul fatto che questo meccanismo, dopo aver efficacemente funzionato per molti anni, possa essere entrato in crisi.

Si tratta certamente di una fase complessa perché determinata da numerose e diverse ragioni. Secondo alcuni è legata alla situazione contingente, ed è quindi superabile con interventi correttivi sulle debolezze che il meccanismo oggi presenta. Secondo altri, la crisi appare più profonda e tale da richiedere una riforma più radicale dello strumento.

Prima di poter prendere una posizione al riguardo, è bene ricordare quali sono le finalità che il meccanismo dei certificati bianchi deve perseguire, ossia sostenere e promuovere gli interventi di efficienza energetica nel nostro Paese al fine di poter raggiungere gli ambiziosi target europei di riduzione delle emissioni climalteranti al 2030.

È quindi bene riflettere sul “come” debba farlo.

In primo luogo, essendo un meccanismo fondato su logiche di socializzazione, appare assolutamente necessario garantire che sui clienti finali vengano trasferiti costi efficienti o meglio coerenti con gli interventi realizzati. A riguardo, i quasi 500 euro/TEE sfiorati poco tempo fa appaiono in effetti non più rappresentativi del valore reale del risparmio energetico, sebbene sia a tutti chiaro che efficientare oggi processi già abbastanza efficienti sia più costoso rispetto a quanto fatto nei primi anni di funzionamento del mercato dei TEE.

In secondo luogo, essendo il meccanismo basato su un sistema per obblighi, è anche assolutamente necessario che sia sostenibile per i soggetti obbligati che ne costituiscono la domanda.

A tal proposito è bene ricordare che questi soggetti, distributori di energia elettrica e gas con più di 50.000 utenze servite come quelli che ASSOGAS rappresenta, sono anche dei soggetti regolati, vale a dire aziende la cui remunerazione viene determinata da ARERA in funzione dei rischi riconosciuti come caratteristici dell’attività svolta. E tra questi rischi non vi è quello di operare sul mercato dei TEE.

In pratica, i distributori, nell’acquistare i TEE per raggiungere l’obbligo di servizio loro assegnato annualmente, non dovrebbero sostenere nessun onere economico.

In verità le cose stanno andando diversamente: il contributo tariffario definito da ARERA, in talune circostanze di mercato, si sta rivelando non sufficiente a coprire integralmente i costi sostenuti, con il risultato di lasciare in capo ai distributori delle perdite che possono essere anche rilevanti. Inoltre, anche ipotizzando che i distributori riescano ad attuare delle politiche di acquisto talmente efficaci da contenere le perdite rispetto ai costi sostenuti, resta sempre la criticità di dover anticipare in fase d’acquisto somme di denaro estremamente elevate, recuperabili solo dopo diversi mesi. Somme che, nei casi di picchi di prezzo recentemente registrati, sfiorano e talvolta superano i volumi di fatturato caratteristici dell’attività core business da essi svolta.

Ciò è sufficiente a mettere in discussione l’equilibrio economico-finanziario di questi soggetti, equilibrio che lo stesso Regolatore, nel verificare il rispetto degli obblighi loro assegnati, dovrebbe comunque salvaguardare.

Alla luce di queste considerazioni, appare assolutamente necessario ed urgente un intervento di revisione delle attuali logiche di funzionamento del meccanismo, per cercare di contenere i prezzi che il mercato dei TEE ha espresso nel corso di questi ultimi mesi e che hanno fatto venire meno la condizione di equilibrio efficiente tra domanda e offerta.

Certo, l’esperienza dell’ultimo periodo ha dimostrato con chiarezza che in realtà non si tratta di un vero e proprio mercato, perché la domanda è obbligata e rigida e poco riesce ad influenzare un’offerta di fatto completamente libera di seguire le dinamiche di prezzo.

Inoltre, le tempistiche con cui si generano i risparmi energetici - dipendenti oltre che dal contesto normativo anche da molte altre variabili quali i cicli economici, lo sviluppo ed il costo delle tecnologie - sono completamente fuori dal controllo dei soggetti obbligati.

Sicuramente il problema sostanziale è nella scarsa liquidità del periodo ma è anche evidente che un mercato così fortemente asimmetrico non è in grado di gestire questo tipo di criticità.

Nell’immediato serve pertanto riequilibrare domanda ed offerta. Lato domanda, è necessario reintrodurre per i soggetti obbligati una maggiore flessibilità temporale nel completamento dell’obiettivo non raggiunto al 100% entro il 31 maggio dell’anno d’obbligo, magari riducendo anche la quota minima dell’obiettivo da raggiungere direttamente nell’anno d’obbligo (fissandola al 40% o, al limite, riportandola al livello del 50% previsto nei primi due anni del quadriennio 2013-2016).

Contestualmente, occorre però ridurre la flessibilità dell’offerta, anche per evitare comportamenti speculativi, prevedendo l’introduzione di una scadenza per la messa sul mercato dei TEE, ossia un termine predeterminato anche in coerenza con le scadenze di raggiungimento degli obiettivi definite nei confronti dei soggetti obbligati. Superata tale scadenza, i TEE non offerti dovrebbero essere ritirati ad un prezzo amministrato.

Questi potrebbero essere gli interventi urgenti da adottare per tentare di superare l’attuale crisi e ricercare un nuovo efficiente equilibrio tra domanda e offerta.

Inoltre, in un’ottica meno emergenziale ma comunque di breve termine, si rileva come sia ormai assolutamente necessario integrare la vigente normativa per regolare la gestione dei certificati bianchi che saranno realizzati in occasione dell’ormai imminente svolgimento delle gare d’ATEM del servizio di distribuzione gas. Il cosiddetto "Regolamento criteri" infatti,  di cui al Decreto Ministeriale 12 novembre 2011, n. 226 (come modificato dal DM 106/15), include tra le condizioni economiche oggetto di gara, gli investimenti in efficienza energetica che la società di distribuzione si impegna ad effettuare sul territorio dell’ATEM, addizionali rispetto agli obiettivi annuali già ad essa assegnati, versando all’Ente locale concedente il valore del corrispettivo tariffario ad essi correlato. Pertanto, il distributore gas, in sede di gara, si troverà costretto ad assumere con l’Ente locale per un lungo arco temporale (12 anni) un impegno economico assolutamente non quantificabile e non prevedibile.

Inoltre, la sussistenza del “vincolo di territorialità”, secondo cui il conseguimento dei TEE deve avvenire esclusivamente nel territorio dell’ATEM oggetto di gara, rende impossibile per gli operatori l’utilizzo del mercato dei titoli del GME, obbligandoli di fatto ad acquistare progetti o a sottoscrivere contratti bilaterali sul territorio ed esponendoli così a possibili comportamenti speculativi.

Concludendo, riteniamo sia giunto il momento di capire se il meccanismo dei certificati bianchi, opportunamente rafforzato e completato, possa permettere al nostro Paese di sostenere con rinnovato slancio gli interventi di efficienza energetica necessari al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi europei al 2030 o se invece, qualora le attuali criticità non trovino nel breve termine piena soluzione, sia conveniente iniziare a ragionare sull’opportunità di una revisione più profonda del sistema a partire dal 2020.

Gli importanti risultati che il meccanismo dei TEE ha prodotto in questi anni, promuovendo investimenti sani e virtuosi ed interessando molteplici settori e tecnologie, sono fuori discussione. Tuttavia, stante le criticità del contesto, riteniamo sia auspicabile avviare una riflessione seria ed approfondita per individuare anche possibili schemi alternativi, ipotizzando eventualmente di rivedere anche i ruoli e le responsabilità dei singoli operatori.

È vero che è difficile immaginare di modificare un modello che resta un riferimento assoluto nel panorama europeo e che è stato motivo di orgoglio per il nostro Paese ma, proprio per non compromettere tutto quello che di buono è stato fatto, ora forse serve un po’ di coraggio, se non per cambiare, almeno per iniziare a pensarci.