Il sistema dei certificati bianchi (TEE) in Italia è oggetto di recenti ipotesi di revisione e di cambiamento. Nel corso degli anni, infatti, il costo sostenuto dal sistema è aumentato ed ha generato un aggravio del costo dell’energia pagato dagli utenti. Le criticità sono state individuate essenzialmente nella volatilità dei prezzi e nella difficoltà per la domanda di esercitare pressione sugli stessi.

Si è quindi intervenuti con diverse modifiche nel corso degli anni passati ma, a quanto è dato osservare, non sembrerebbe del tutto sbagliato affermare che le modifiche via via introdotte abbiano rischiato di danneggiare il funzionamento del mercato dei TEE anziché contribuire a migliorarlo e a efficientarlo. Le novità introdotte avevano essenzialmente l’obiettivo di attivare meccanismi di incentivazione tali da consentire alla domanda di avere una certa pressione sul prezzo con la finalità di generare una riduzione del prezzo stesso.

Sono infatti riconducibili a tali finalità alcune misure via via inserite quali: la mancanza di regole chiare sulle penalità, la riduzione della bancabilità, la mancanza di certezze sui livelli del contributo definitivo, il rischio dell’attivazione della franchigia.

Non si è però osservato, nel corso degli anni, che le misure elencate abbiano dato prova di efficacia, tanto che il prezzo dei TEE non si è ridotto perché dal lato dei distributori non si è generato alcun potere di mercato. D’altronde, in assenza della reale possibilità di oscillazione di domanda e offerta e con interventi regolatori anche distorcenti le soluzioni più efficienti, il risultato non poteva essere significativamente diverso.

L’osservazione delle oscillazioni di prezzo, infatti, dimostra come le stesse si siano determinate più in coincidenza di interventi dei soggetti preposti alla regolazione di tali mercati che per variazioni di domanda e offerta, come avverrebbe in un mercato vero e proprio. Naturalmente, come accade peraltro su molti mercati regolati, le oscillazioni di prezzo hanno una bassissima “accettabilità politica” sia perché gli aumenti (come detto) si traslano sul costo finale pagato dagli utenti sia per la bad reputation che generano verso i soggetti che regolano i medesimi mercati.

L’effetto che comunque si è osservato è stato quindi quello di un aumento del prezzo dei certificati che hanno raggiunto livelli non prevedibili. La risposta più recente, a quanto è dato comprendere, è stata quella di introdurre un cap al valore del certificato.

Qualora la funzione obiettivo che si vuole perseguire sia quella di conoscere (per meglio dire determinare) ex ante il costo totale che il sistema dovrà sostenere per i programmi di efficienza energetica, e quindi evitare l’esplosione della spesa sostenuta, si sarebbe forse potuta esplorare la possibilità di adottare, così come si fa già per i certificati verdi, un sistema ad aste che presenterebbe i vantaggi sia di meccanismi di prezzo che di quantità.

Uno dei problemi evidenziati dall’attuale meccanismo, infatti, è l’asimmetria informativa tra chi fa le regole e chi partecipa: l’adozione di un sistema di aste risolverebbe questo problema fondamentale, incentivando lo scambio di informazioni e creando un ambiente dove può svilupparsi competizione.

Ma non sarebbe l’unico vantaggio di un sistema di aste che, tra le altre cose:

  • consentirebbe di evidenziare i prezzi reali del risparmio energetico (oggi di fatto il prezzo viene determinato dalle imposizioni dei soggetti che regolano il mercato);
  • promuoverebbe la partecipazione solamente dei soggetti interessati, facendo venire meno il concetto di obbligo;
  • eliminerebbe i rischi legati alla incognita dell’incentivo (come noto i rischi si pagano);
  • consentirebbe una pianificazione più ordinata e di lungo periodo, bandendo aste molto in anticipo

D’altro canto non vanno taciuti gli svantaggi che deriverebbero da un simile sistema, quali il tema della neutralità tecnologica, la difficoltà nel determinare l’esatta quantificazione del risparmio energetico, la determinazione della soglia minima dei progetti ammissibili. Tali svantaggi potrebbero però essere agevolmente superati attraverso determinazioni dei banditori relative alla natura e alla taglia dei progetti ammissibili.

Va poi sottolineato come in un sistema di aste gli offerenti avrebbero un incentivo a non sovrastimare il costo perché in quel caso rischierebbero di venire esclusi e di perdere qualunque diritto all’incentivo.

Il ruolo del banditore potrebbe essere affidato al GSE (o alla Cassa per i servizi energetici) che acquisterebbero efficienza energetica in cambio di un incentivo. L’obiettivo che le aste possono voler raggiungere è il valore di risparmio energetico in linea con la Direttiva Efficienza e gli obiettivi del Decreto Ministeriale (la somma degli obiettivi tra distributori gas e i distributori di energia elettrica potrebbe essere una soluzione).

Tali obiettivi potrebbero essere modulati in maniera diversa anche tenendo conto del costo amministrativo legato alla gestione e al monitoraggio dei progetti stessi. Prodotti più piccoli avrebbero l’effetto positivo di incentivare progetti specifici ma sarebbe più difficile monitorare il risparmio energetico effettuato. Un unico grande progetto potrebbe essere più facile da monitorare e comporterebbe costi amministrativi minori, però non incentiverebbe la ricerca del risparmio a orientarsi su specifici settori o tecnologie. Come avviene in Germania si potrebbe lasciare un’asta “aperta” senza distinguere per tecnologia e settore e bandire un’asta “speciale” se si vuole indirizzare il risparmio verso un determinato segmento (residenziale, commerciale, trasporti ecc ecc). L’asta avrebbe poi la possibilità di essere modulata anche su base territoriale e non soltanto a livello nazionale: ciò consentirebbe, in presenza di un monitoraggio sui livelli di efficienza raggiunti a livello zonale, di disporre di una leva importante per evitare squilibri tra diverse regioni del Paese nel raggiungimento degli obiettivi di efficienza.

La provvista per finanziare il sistema delle aste sarebbe la stessa che oggi copre i costi derivanti dai TEE: le bollette pagate dagli utenti finali. Al contrario dei certificati bianchi però, nel sistema ad aste la spesa pubblica è fissa. Il rischio per i soggetti che vincono le aste di non ottenere il livello di remunerazione è sostanzialmente annullato, purché riescano a realizzare i risparmi energetici dichiarati durante l’asta, perché il livello di remunerazione sarà già stato fissato durante l’asta, senza incorrere nella variabilità di un mercato spot.

Ma il vantaggio più importante che si consegue con un sistema di aste consiste nell’avere certezza della spesa pubblica che verrà destinata ai programmi di efficienza energetica, evitando così i rischi (verificatisi poi in concreto negli ultimi anni) di aumenti considerevoli della stessa.