Tutti ne parlano, tutti la vogliono, ma in pochi sanno davvero come funziona. La blockchain, il circuito elettronico che registra gli scambi delle criptovalute, bitcoin incluso, è molto di moda in questo periodo. Come se fosse la pietra filosofale, in grado di risolvere molti dei problemi generati fin dalla notte dei tempi dai mercati. Nessuna frode possibile, quindi nessuna autorità che controlla e nessuno Stato a garantire il sistema di pagamento. Insomma, una sorta di paradiso liberista, dove la libera iniziativa e il libero scambio bastano a se stessi. 

Stando così le cose, è il caso di capire un po’ meglio cos’è la blockchain, come è nata, quali sono e sue possibili applicazioni. Blockchain in italiano significa “catena a blocchi”. E’ una lista potenzialmente infinita di dati, chiamati “block”, collegati fra loro e resi sicuri tramite crittografia. Ogni “block” è attaccato all’altro da un simbolo alfanumerico ed è composto da dati temporali ed economici della transazione.

La blockchain è quindi la catena composta da tutti questi innumerevoli dati ed ha la caratteristica di essere un registro aperto: chiunque voglia può scaricarlo e aggiornarlo, purché abbia calcolatori elettronici sufficientemente potenti, in grado cioè di gestire una massa enorme di dati. 

La storia

La blockchain più famosa è quella che ha dato vita al Bitcoin, la famosa moneta virtuale che, dopo essere partita dal nulla, prima di Natale ha sfiorato il valore di 20.000 dollari e sulla quale il Cme di Chicago ha lanciato da pochi mesi un future. È stata inventata nel 2008 da Satochi Nakamoto, un personaggio che si nasconde dietro pseudonimo. La sua invenzione coincide quindi con la crisi bancaria del 2008, quella stessa che costrinse la Lehman Brothers a portare i libri in tribunale. È come se la nuova diffidenza verso le banche avesse spinto i risparmiatori a ribellarsi, investendo in bitcoin, affidandosi alla blockchain. La crittografia digitale ha praticamente preso il posto delle banche. 

Come funziona

La blockchain deve essere aggiornata da qualcuno, anzi da più di qualcuno. Più soggetti aggiornano la blockchain, meglio è in termini di sicurezza. Nel caso dei bitcoin, per invogliare gli investitori a diventare custodi del registro, è stato inventato un meccanismo premiante. In estrema sintesi, chi riesce ad individuare la chiave per raggruppare le transazioni in un unico blocco e attaccare un blocco all’altro viene premiato con dei bitcoin, naturalmente dopo che tutti gli altri custodi della blockchain hanno controllato la validità dell’operazione. Costoro vengono chiamati “minatori”. Nel caso dei bitcoin, questo meccanismo ha un limite perché è stato fissato un tetto alla possibilità di generarli: l’algoritmo non ne consentirà di generare più di 21 milioni e al momento ne sono stati generati solo 14. C’è chi sostiene che non si arriverà mai a generare tutti i milioni disponibili perché ci vuole una potenza di calcolo troppo elevata, visto che l’algoritmo stesso è stato costruito in modo da rendere sempre più problematico agganciare un blocco all’altro. Già oggi ci vogliono computer talmente potenti che c’è chi ha sollevato un problema ambientale: per tenere insieme la blockchain dei bitcoin e generarne di nuovi vengono consumati ogni giorno 100 milioni di kWh, per un consumo annuale di 36,32 TWh. Considerando che la maggior parte dei bitcoiner si trova in Cina, è verosimile che i computer vengano alimentati prevalentemente con energia elettrica prodotta da centrali a carbone. 

Possibili applicazioni

Se è vero che i bitcoin sono avversati dagli ambientalisti per l’energia che consumano, è altrettanto vero che la blockchain potrebbe essere impiegata proprio nel mercato elettrico per facilitare la gestione delle smart grid per quel che riguarda le transazioni, gli impianti rinnovabili, i sistemi di accumulo e le utenze, senza intermediari o autorità garanti. Le compagnie hanno intuito il potenziale della blockchain e si sono messe all’opera. Nel maggio 2017, ben 33 società energetiche, tra cui Enel ed Eni, hanno firmato un accordo per dare il la all’iniziativa Enerchain che punta a decentralizzare il trading di energia.  Nello specifico, Eni, BP e Wien Energy hanno lanciato la piattaforma blockchain Interbit, sviluppata dalla canadese BTL per il commercio di energia all’ingrosso. Un esperimento al quale si sono aggiunte a fine dello scorso anno Gazprom, Total, NMercuria, Vattenfal, Petroineos e Freepoint. Già entro l’anno l’applicazione “OneOffice”, nata da questo esperimento, potrebbe diventare operativa. 

Dal canto suo Eurelectric, l’associazione europea produttori di energia elettrica, ha pubblicato a fine dell’anno scorso un rapporto per valutare le possibili applicazioni della blockchain nel settore della mobilità sostenibile. 

Enel ed E.on hanno fatto di più, scambiando per la prima volta energia in ottobre scorso con una tecnologia “blockchain”. Il trading di energia all’ingrosso decentralizzato è stato testato prima nel 2016, presso l’E.On future Lab, su una rete sviluppata dalla società IT PONTON.