La riduzione della CO2 nei trasporti è un obiettivo ambientale legato alla lotta ai cambiamenti climatici ed è cosa ben differente da quello della qualità dell’aria, che riguarda invece particolari tipi di inquinanti dannosi per l’uomo. Il primo è un obiettivo di lungo periodo che va affrontato con azioni coordinate a livello globale, mentre per il secondo servono risposte immediate a livello locale.

Per quanto riguarda la CO2 nei trasporti, oggetto della nuova proposta della Commissione UE (cd. Mobility Package), va rilevato che a livello europeo già esistono target di emissioni di CO2 al 2030 (-30% rispetto al 2005) e al 2050. Per quest’ultima scadenza, gli obiettivi comunitari prevedono una riduzione globale compresa tra l’80 e il 95% rispetto al 1990 (con un -60% per i trasporti), anche se alcuni recenti orientamenti vorrebbero un obiettivo ancora più ambizioso: un target al 2050 di emissioni nette globali pari a zero.

Per quanto attiene allo scenario atteso al 2030, l’attuale legislazione già prevede che il limite di emissioni medie di CO2 pari 120 g/km per i veicoli immatricolati fino al 2020, debba scendere, dopo il 2020, sino a 95 g/km (-25%). Ipotizzando un andamento naturale del ricambio del parco (circa 2 milioni di vetture all’anno, cioè il tasso medio degli ultimi 10 anni), la media globale di emissioni del parco auto circolante nel 2030 sarà di 107 g/km, con una riduzione rispetto al 2005 del 37%, ampiamente al di sopra dei target del 33% (Effort sharing) previsti dagli accordi di Parigi, almeno per quanto riguarda il trasporto leggero.

Previsione riduzione emissioni CO2 parco circolante autovetture (2005-2030)

Da questo punto di vista, la nuova proposta della Commissione, con i nuovi limiti di omologazione al 2030, sembra porsi obiettivi inutilmente gravosi, perché, come visto, la normativa esistente permette già il raggiungimento degli obiettivi al 2030, potendo peraltro contare, almeno in Italia, su filiere industriali avanzate. In questo scenario, i combustibili liquidi tradizionali verranno infatti affiancati dal GPL, dal gas naturale liquido (GNL) e gassoso (metano) e dai biocarburanti avanzati (in particolare biometano) con elevati risparmi in termini di CO2. Un ruolo importante lo avranno anche i veicoli ibridi, la cui maggiore diffusione consentirà di raggiungere un ottimo punto di equilibrio tra le nuove politiche ambientali e le esigenze degli utenti. I veicoli ibridi rappresentano, infatti, una soluzione che coniuga la versatilità e l’economicità dei motori a combustione interna, con l’efficienza energetica dei motori elettrici.

La proposta disattende poi la neutralità tecnologica perché definisce “veicoli puliti” unicamente quelli che presentano una emissione di CO2 allo scarico compresa tra 0 e 50 g/km. In tal modo si privilegiano specificatamente le auto elettriche che sono ad emissioni zero, ma solo allo scarico, trascurando del tutto le emissioni prodotte nell’intero ciclo di vita, non solo del veicolo, ma anche del prodotto, inibendo inevitabilmente la ricerca di soluzioni low-carbon nella produzione/utilizzo dell’energia.

I target ambientali comunitari potrebbero essere traguardati con le tecnologie tradizionali senza eccessive drammatizzazioni e a costi decisamente più bassi rispetto ad una mobilità completamente elettrica, che può essere una valida soluzione in alcuni contesti, ma non certo per una “mobilità di massa”. Anche perché uno degli aspetti che spesso viene trascurato, è quello della sostenibilità e accettabilità sociale delle soluzioni proposte, senza la quale ogni strategia è destinata a fallire.

Negli ultimi anni l’evoluzione tecnologica dei motori e dei carburanti ha consentito significativi miglioramenti nella riduzione delle emissioni di gas serra e degli inquinanti tradizionali nel trasporto su strada. Anche nel lungo periodo, in prospettiva 2050, gli studi in via di completamento mostrano che i combustibili liquidi saranno un’alternativa molto più percorribile dell’elettrificazione per conseguire gli obiettivi di decarbonizzazione nei trasporti. Da questo punto di vista, l’azione dell’industria petrolifera sarà quella di adottare un approccio sinergico, basato su interventi in fase di produzione, nel miglioramento della qualità e nell’ampliamento della tipologia dei combustibili liquidi, nonché, con la filiera dell’automotive, per un’ulteriore ottimizzazione dell’efficienza dei motori a combustione interna e per lo sviluppo di tecniche di abbattimento della CO2 a bordo dei veicoli.

Sotto il profilo produttivo, le raffinerie del futuro, oltre a prevedere nuovi e più efficaci processi di raffinazione, massimizzeranno l’utilizzo delle energie rinnovabili sia investendo direttamente che prelevando energia elettrica da una rete sempre più decarbonizzata. Lo sviluppo e l’attuazione delle tecniche di CCS (Carbon Capture and Storage), anche a bordo dei veicoli, e di CCU (Carbon Capture and Utilization), consentiranno di ottimizzare definitivamente la produzione dei combustibili liquidi in raffineria con livelli di emissione della CO2 estremamente bassi, nonché il loro utilizzo.

Si interverrà poi sulla qualità dei fuels, orientandoli sempre più verso quelli a più basso contenuto di carbonio. Anzitutto, biocarburanti avanzati derivati da rifiuti e sottoprodotti o da materie prime non alimentari, tra cui il biometano da rifiuti agricoli che è in grado di azzerare completamente le emissioni e, in certe condizioni, anche di avere emissioni negative. Parallelamente si stanno approfondendo le possibilità offerte dai cosiddetti “e-fuels”, cioè combustibili liquidi derivanti dalla ricombinazione di idrogeno rinnovabile con la CO2 (dall’atmosfera o da fonti concentrate), ed infine dei fuels liquidi derivanti da processi power (rinnovabile)-to-liquid. In queste condizioni, l’industria della raffinazione potrà rispondere anche alle esigenze di quei settori per i quali la sostituzione dei combustibili liquidi è particolarmente problematica (veicoli pesanti, marina e aviazione).

Estremamente rilevante è il fatto che con tutti i suddetti fuels non sarà necessario alcun investimento sulle infrastrutture energetiche, essendo quelle esistenti (terminali marittimi, pipeline, depositi interni e stazioni di servizio) perfettamente idonee a gestire tutta la logistica di questi nuovi prodotti.

L’insieme di tutte queste misure, potrà assicurare, in prospettiva 2030, emissioni di CO2 dalle auto alimentate con combustibili liquidi dell’ordine dei 60–70 g/km: con la definitiva messa a punto di tutte le tecnologie a disposizione, tali valori potranno scendere nel 2050 a qualche decina di g/km, potenzialmente compensabili con assorbimenti in altri settori puntando così all’obiettivo “zero emissioni nette” a quella data.

In conclusione, il Mobility Package, basato unicamente sulle emissioni allo scarico delle auto, dovrebbe essere rivisto verso una normativa più neutrale dal punto di vista tecnologico, che tenga conto delle emissioni generate sia nelle fasi di produzione dei combustibili/energia elettrica che dei veicoli. Difficilmente si potrà conseguire questa trasformazione in tempi brevi e quindi appare più utile indirizzare gli sforzi verso quelle soluzioni che, senza modificare la proposta comunitaria, valorizzino il contributo alla de-carbonizzazione dei combustibili liquidi già oggi utilizzati.