A livello globale sta aumentando la sensibilità degli investitori istituzionali alle tematiche ambientali e al cambiamento climatico. Come si sta muovendo il settore assicurativo?

In linea generale, la consapevolezza dei grandi gruppi assicurativi riguardo alle tematiche ambientali è in crescita. Tuttavia, occorre fare una distinzione e capire che le compagnie assicurative svolgono un doppio ruolo in tema di investimenti finanziari: un ruolo attivo, dal momento che rientrano a pieno titolo tra gli stessi investitori istituzionali; un ruolo passivo, se si considera che le stesse possono essere a loro volta oggetto di investimento. Se guardiamo al ruolo attivo, e quindi di investitore, per le società di assicurazione ha un effetto positivo mantenere un portafoglio di asset diversificato e quindi caratterizzato da un mix di fonti fossili e rinnovabili. Viceversa, relativamente al ruolo passivo, nel tempo potranno diventare soggetti meno attraenti in quanto alcuni degli investitori tradizionali vedono il cambiamento climatico come un aumento del loro profilo di rischio: la conseguenza diretta è una piccola ma significativa riduzione di investimenti verso il mondo assicurativo. Questo secondo effetto è vero per le compagnie di riassicurazione che in primis coprono i rischi legati ai grossi eventi meteorologici, mentre per le compagnie assicurative tradizionali l’impatto è inferiore.

La cosiddetta “decarbonizzazione del portafoglio” finanziario si può considerare una tendenza consolidata o è ancora appannaggio di pochi investitori?

La progressiva riduzione dell’esposizione alle fonti fossili in favore di investimenti green è una tendenza consolidata tra tutti gli asset manager. Le società assicurative non fanno eccezione. Il cambio di atteggiamento è stato soprattutto frutto della pressione che è arrivata dalla parte supply, e perfino da risparmiatori sempre più attenti alle ricadute sociali ed ambientali delle loro scelte economiche e finanziarie.  In tale ambito, il mondo assicurativo si sta muovendo lungo le due “classiche” direttrici dell’asset management: da una parte, ricercando costantemente investimenti eco-friendly, dall’altra evitando gli asset legati alle fonti più inquinanti come carbone e petrolio. Con l’Accordo di Parigi, questa tendenza – prima discontinua – ha ripreso vigore. Non si può tuttavia tacere una certa incongruenza del mondo assicurativo che, pur dovendo far fronte ad un aumento dei rischi di natura ambientale, mostra ancora un atteggiamento cauto per ridurli indirettamente dal lato degli investimenti.

Riscaldamento globale o semplice social responsability: come si articolano le politiche climatiche del mondo assicurativo?

Gli investimenti delle compagnie assicurative e di tutto il mondo finanziario si sono concentrati soprattutto sul tema “ambiente”, perché di fatto è difficile individuare un investimento che protegga sistematicamente dal rischio del riscaldamento globale. Questa difficoltà è dovuta a due fattori: in primis, i rischi legati al cambiamento climatico non sono ancora del tutto compresi sia dal mondo scientifico che dal mondo commerciale; in secondo luogo, anche ammettendo un aumento graduale della temperatura terrestre, non è chiaro dove e come investire per contenerlo. A queste due ragioni si aggiunge, per ovvi motivi, il tema della reddittività degli investimenti. Non è un caso che gli analisti finanziari si affidino a modelli che, nonostante la loro complessità, sostanzialmente si basano su due principali driver: il successo e la credibilità dei trattati internazionali da un lato, il prezzo del petrolio dall’altro.

Si prevedono svolte significative in futuro?

Quando si parla di assicurazioni va sempre tenuto presente che l’atteggiamento finanziario è molto cauto, specialmente in Europa e, ancor di più, in Italia. Stiamo parlando di portafogli fortemente orientati verso investimenti obbligazionari che, in alcuni casi, ne rappresentano il 75-80%. La percentuale residua per gli investimenti di tipo equity, o per i cosiddetti asset alternativi, è quindi piuttosto ridotta. Ne consegue che la quota su cui si gioca la partita degli investimenti green sia ancora modesta. Per quanto auspicabile è quindi difficile immaginare, almeno nel breve termine, cambiamenti radicali nelle strategie di investimento del settore.

Dove vanno gli investimenti green?

Difficile dare una risposta precisa, almeno ad oggi. Se però guardiamo al comportamento del private equity – che può costituire un valido riferimento per il mondo degli investitori - notiamo che, dopo una partenza caratterizzata da investimenti molto mirati su determinate tecnologie (ad es. batterie, eolico o solare), ci si è presto resi conto che gli asset di qualità scarseggiavano rispetto al capitale disponibile. Pertanto, negli ultimi anni la tendenza è stata quella di diversificare significativamente il portafoglio green, allargando l’interesse verso settori non prettamente energetici come l’edilizia sostenibile o l’information technology. Le assicurazioni hanno inoltre la possibilita’ di investire sui “green bonds”, cosa normalmente preclusa alle societa’ di private equity.

Cambiamenti climatici ed eventi estremi: sta cambiando l’offerta di prodotti assicurativi?

Non si può negare che, sia per quanto riguarda il mondo delle riassicurazioni che relativamente alle compagnie di assicurazioni tradizionali, la tematica degli eventi meteorologici estremi stia prendendo sempre più piede. Di fronte all’aumento dei rischi, sia le prime che le seconde hanno spesso reagito riducendo di fatto l’offerta di polizze facoltative (copertura di alti rischi isolati) pur mantenendo le obbligatorie. Reazione che ha sollevato diverse critiche sulla responsabilità sociale e morale delle compagnie assicurative. In molti hanno rincarato la dose, osservando che - grazie alla rivoluzione digitale legate ai big data - la capacità delle assicurazioni di interpretare il rischio è aumentata fortemente negli ultimi anni. Viene quindi spontaneo immaginare che le assicurazioni sarebbero in grado di offrire prodotti più rischiosi e complessi, magari ricorrendo alla option theory per ottimizzare meglio i prezzi rispetto al profilo di rischio. Si tratterebbe probabilmente di prodotti più costosi ma almeno in grado di garantire a soggetti esposti a rischi maggiori e sempre più frequenti la possibilita di trasferire il rischio.