Stiamo assistendo all’irruzione nel settore energetico di due “disruptive technologies” - l’accumulo elettrochimico e la digitalizzazione - che modificheranno radicalmente sia le attuali modalità di gestione del mercato elettrico, sia l’assetto della mobilità.

Ad esempio, la realizzazione di una “smart home” che integri sicurezza, entertainment ed energy management, come pure l’offerta alle imprese industriali di servizi che ne migliorino sostanzialmente l’efficienza energetica - entrambi conseguibili avvalendosi delle nuove tecnologie di misura e di comunicazione - possono rappresentare un valore aggiunto, che facilita la fidelizzazione del cliente.  >

Naturalmente le nuove tecnologie e i nuovi prodotti digitali consentono anche una più efficiente gestione delle tradizionali attività produttive e dei servizi interni, a partire dall’utilizzo di Big Data per ottimizzare le decisioni strategiche e tattiche.  Altrettanto vantaggioso è il loro impiego nelle reti (senza di loro le smart grid sarebbero irrealizzabili) e nella manutenzione degli impianti.

Lo conferma un “case study” della McKinsey: l’utilizzo appropriato di queste tecnologie ha aumentato del 23,2% l’Ebit dell’azienda esaminata, e più di un terzo dell’incremento proveniva dalle innovazioni introdotte nel rapporto con i consumatori. 

Last but not least, la “smart home” consente al consumatore, meglio se aggregato con altri grazie alla crescita esponenziale delle connessioni, di essere parte attiva sul mercato elettrico, esercitando la propria demande response. In California, questo strumento - garantendo lo stesso servizio a costi minori - ha messo fuori gioco gli impianti termoelettrici che, per bilanciare domanda e offerta, rendono disponibile la loro capacità.  

I cambiamenti più rilevanti nel mercato energetico saranno però determinati dagli accumuli elettrochimici, un comparto che, verso la fine del secolo scorso, è uscito da un apparente lungo sonno su sollecitazione della domanda di prestazioni più avanzate (densità energetica, durata), proveniente prima dai PC portatili, poi dai cellulari; domanda che ha trovato risposte tecnicamente adeguate grazie alla contemporanea disponibilità di nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche.

L’applicazione delle nanotecnologie, che rendono possibile la manipolazione della materia su scala inferiore al miliardesimo di metro, cioè a livello atomico e molecolare, ha consentito un salto prestazionale in termini sia di potenze raggiungibili, sia di capacità di accumulo, trasformando in nanomateriali con prestazioni adeguate materiali considerati inutilizzabili per la loro conducibilità o capacità.

Inoltre, in termini di catena del valore, una parte rilevante del processo produttivo è effettuabile in serie su linee automatizzate: il costo è quindi destinato a diminuire sensibilmente al crescere del volume della produzione, come conferma la scelta di Tesla di costruire una Gigafactory, che produrrà ogni anno batterie per una capacità complessiva di accumulo pari a 35 GWh (in grado di far fronte alla domanda di circa un milione di veicoli elettrici). E ancora la casa automobilistica Daimler ha deciso di rispondere con una fabbrica di analoghe dimensioni in Germania, mentre la Cina, che oggi ha il 25% della produzione mondiale di batterie, punta a raggiungere il 65% entro il 2021.  

Anche se comprensibilmente il centro della scena è occupato dalle opportunità che si stanno aprendo per la mobilità elettrica, dove le nuove tecnologie di accumulo saranno particolarmente “disruptive”, già ora le loro applicazioni all’interno del sistema elettrico incominciano a produrre effetti significativi. L’utilizzo nelle reti elettriche, per gestire al meglio la generazione da fonti rinnovabili non programmabili, è ormai un fatto acquisito. Dove, come in Germania, esistono misure incentivanti, si stanno diffondendo le applicazioni degli accumuli a livello domestico, in accoppiamento con impianti fotovoltaici; si è creata così una domanda che sta facendo calare i loro prezzi.

Non meno rilevante sarà il contributo degli accumuli ai servizi ancillari di rete, a giudicare dai risultati del nuovo bando per il servizio di regolazione della frequenza, indetto nel 2016 in Gran Bretagna dal National Grid Electricity Transmission (NGET). Poiché i mutamenti nel mix produttivo, dovuti alla crescita delle rinnovabili, continuano a ridurre il contributo al mercato della generazione sincrona, diminuendo l’inerzia del sistema, che a sua volta influenza negativamente la capacità del NGET di tenere la frequenza entro i normali limiti operativi,  si è deciso di risolvere il problema con un bando che richiedesse a chi offriva il servizio una risposta alle variazioni di frequenza più rapida (un secondo o anche meno) di quelle tradizionalmente accettate.

Gli otto vincitori del bando hanno tutti offerto di effettuare il servizio con accumuli, mettendo fuori gioco le centrali elettriche, cioè le tradizionali fornitrici del servizio.

La riprova della maturità, in termini di prestazioni e di convenienza economica, già raggiunta dai sistemi di accumulo elettrochimici per alcune funzioni in situazioni specifiche, e non lontana in altri casi, viene dalla proposta di riforma del mercato elettrico, contenuta nel Clean Energy Package della Commissione europea, che a tutti gli effetti equipara i sistemi di accumulo agli impianti di produzione. Così le procedure trasparenti per la connessione non discriminatoria al sistema di trasmissione saranno le stesse per nuovi impianti di generazione e sistemi di accumulo, mentre i gestori delle reti di trasmissione dovranno “garantire la disponibilità di tutti i necessari servizi ancillari, inclusi quelli forniti dalla demand response e dall’accumulo di energia”.

Stiamo insomma vivendo l’avvio di una schumpeteriana distruzione creativa, che come protagonisti avrà accumuli e digitalizzazione.