Il settore dell’energia è da tempo in una fase di profonda transizione. Il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ed efficienza, unito ad una forte innovazione tecnologica, sta infatti portando ad una rivoluzione della catena del valore e all’affermarsi di nuovi paradigmi di consumo e produzione, incentrati sulla generazione diffusa e su sistemi intelligenti di connessione e scambio con la rete.
Tutto questo ha impatti profondi sul sistema energetico con una conseguente (e non sempre facile) evoluzione dei business model, delle normative, delle tecnologie e, non ultimo, della relazione fornitore di servizi energetici-cliente con un ruolo più attivo di quest’ultimo nella produzione, distribuzione e consumo (“prosumer”).
In questo quadro, le energy community (o comunità energetiche) si inseriscono come un elemento di interessante evoluzione a cui possono essere associati benefici consistenti per i consumatori, così come per il sistema energetico nazionale.
Una energy community è di fatto una comunità di utenze (private, pubbliche o miste) localizzate in una determinata area in cui gli utilizzatori finali (cittadini, imprese, P.A., ecc.), attori di mercato, progettisti, addetti alla pianificazione e politici cooperano attivamente per sviluppare livelli elevati di fornitura “intelligente” di energia, favorendo l’ottimizzazione dell’utilizzo delle fonti rinnovabili e dell’innovazione tecnologica nella generazione distribuita ed abilitando l’applicazione di misure di efficienza, al fine di ottenere benefici sulla economicità, sostenibilità e sicurezza energetica.
Le energy community possono essere costituite in ambito residenziale, nel settore terziario, in quello industriale o anche con modalità miste tra questi, interessando quindi case, centri commerciali, complessi industriali, ospedali, caserme, campus universitari, enti istituzionali, sia in ambito urbano che extra-urbano.
All’estero sono da tempo un fenomeno consolidato: se ne trovano infatti molte ad esempio in Germania, Danimarca, Regno Unito e Francia. In questi paesi, il loro sviluppo è stato permesso dalla compresenza di alcuni elementi “abilitanti”: un efficace sistema di finanziamento e garanzia all’investimento, una capillare diffusione della generazione distribuita, un chiaro quadro normativo sul ruolo di utility, autorità locali e consumatori, un adeguato sistema incentivante e, non ultimo, una puntuale informazione ai cittadini atta a creare sensibilità e consapevolezza.
In Italia, le comunità energetiche sono ancora poco sviluppate, anche a causa di barriere all’ingresso di natura economica e normativa, oltre che dello scarso appeal sociale dovuto ad una loro ancora scarsa conoscenza. Per contro proprio l’Italia, per le sue caratteristiche energetiche, potrebbe trarre benefici significativi dallo sviluppo delle energy community.
Da una simulazione realizzata da The European House - Ambrosetti partendo dai dati del Politecnico di Milano che individuano un potenziale teorico di costituzione di quasi 500.000 comunità energetiche in Italia, il nostro paese potrebbe – ipotizzando scenari prudenziali di penetrazione delle energy community tra il 5% e il 15% - ridurre le emissioni di CO2 dai 3,6 fino agli 11 milioni di tonnellate all’anno, avere risparmi economici tra i 2 e i 6 miliardi di euro all’anno (1) e ottenere un contributo rilevante per il raggiungimento degli obiettivi di risparmio energetico.
Minori emissioni di CO2 per settore (milioni tonnellate/anno) in ipotesi di diffusione delle energy community
Fonte: elaborazione The European House - Ambrosetti su dati Politecnico di Milano, 2014
Dalla stessa simulazione emergono anche benefici per la sostenibilità del sistema elettrico nazionale e l’ottimizzazione del profilo di carico globale, grazie ad una migliore integrazione del contributo delle fonti rinnovabili e ad una riduzione delle perdite di rete.
Domanda elettrica giornaliera in un giorno tipo in Italia (MWh Ipotesi scenario Energy Community =5%, domanda media oraria dei primi 3 mesi del 2014)
Fonte: elaborazione The European House - Ambrosetti su dati GME e Politecnico di Milano, 2014
Occorre però tenere presente che lo sviluppo delle energy community apre alcuni temi di carattere strategico e regolatorio, come ad esempio la redistribuzione degli oneri di sistema, oltre che una riflessione puntuale sul ruolo degli operatori energetici come possibili soggetti “aggregatori” della domanda. Le energy community, infatti, difficilmente nascono secondo processi spontanei bottom-up, né sotto la guida di “oligopoli”, essendo i benefici diffusi nel sistema.
Lo sviluppo di progetti dimostrativi, come il WiseGRID finanziato nell’ambito del programma quadro della ricerca europea Horizon 2020 e di cui uno dei 4 siti pilota è in Italia (Terni), in grado di affrontare in maniera integrata i quattro elementi rilevanti per le comunità energetiche – la dimensione normativa, l’offerta di tecnologie e soluzioni, il bilanciamento dei profili di sostenibilità ed economicità tra gli stakeholder (sistema energetico, utilities e utenza finale) e la “Cittadinanza energetica” con gli aspetti di conoscenza e sensibilità ad essa associati – possono essere uno strumento utile da applicare per fare decollare anche in Italia questo nuovo paradigma.
(1) Si fa riferimento ai ricavi dall’energia immessa in rete da produzione rinnovabile, risparmio sull’acquisto di energia dalla rete, risparmio in termini di produzione di energia termica da tecnologia tradizionale, ecc., al netto degli investimenti per le tecnologie di Energy Community; non sono considerati gli effetti indiretti e indotti.
Lorenzo Tavazzi è Direttore Area Scenari e Intelligence di The European House – Ambrosetti