Ha suscitato abbastanza stupore la vicenda del blocco della TAP (Trans Adriatic Pipeline) che dovrebbe portare in Italia il gas proveniente dall’Azerbaijan. Dopo aver percorso migliaia di chilometri, viene bloccato perché dovrebbe attraversare degli uliveti secolari. Il progetto prevede che circa 180 ulivi siano momentaneamente spostati in un’area apposita e poi, una volta installato il gasdotto ad una certa profondità, ripiantati esattamente nello stesso posto. Non si tratta di un’operazione nuova. Per la costruzione di un ramo dell’acquedotto pugliese, si è fatta la stessa operazione di spostamento di ben 2.500 ulivi, senza alcun clamore e con il consenso sia della popolazione che delle autorità regionali e locali.
Il problema non sono quindi gli ulivi e l’amore per il territorio, ma il gas naturale, il combustibile fossile più pulito che la natura ci fornisce e di cui abbiamo bisogno per disporre di energia a basso costo. Contro questo nasce l’opposizione feroce capitanata dalle autorità regionali e locali e da movimenti spesso non meglio definiti.
Eppure il paese conosce bene gli effetti della metanizzazione realizzata dal Dopoguerra ad oggi, attraverso la costruzione di una fitta rete di gasdotti che ricoprono tutto il territorio nazionale. Grazie a questa costruzione, l’Italia è passata dal Medioevo all’epoca moderna, con l’arrivo del gas e dell’acqua calda in tutte le case, anche nei più remoti paesi dell’Appennino. Oggi, tutto questo è dimenticato. Si è persa la percezione dell’universo di attività industriali che garantiscono benessere e sviluppo.
L’arrivo di questo gas in Puglia potrebbe risolvere, fra l’altro, il problema dell’impatto ambientale degli impianti manifatturieri di Taranto, ma si preferisce ignorarlo, pur di potere manifestare l’opposizione agli idrocarburi. Il tutto in piena continuità con la battaglia ideologica che si è manifestata con il referendum del 17 aprile, contro la produzione del gas naturale nell’Adriatico, proprio quel gas che è stato alla base della metanizzazione del paese e che tuttora, nonostante il drammatico calo degli investimenti, garantisce una produzione di 7 miliardi di metri cubi all’anno (mld mc/a).
La disponibilità di gas naturale che arriva o potrà arrivare in Italia dal Sud (Algeria, Libia, Azerbaijan, Egitto, Israele, Cipro, Libano) potrebbe consentire di invertire i flussi di approvvigionamento europei creando una corrente da Sud verso Nord conferendo al nostro paese il ruolo di Hub, con indubbi vantaggi economici sul prezzo dell’energia.
La discussione che si è sviluppata nei mesi passati sulla Strategia Energetica Nazionale (SEN), ha fatto emergere con una certa evidenza l’esistenza di centri di pressione che stanno operando per creare o amplificare un movimento ideologico contro l’uso degli idrocarburi.
Si cerca di far leva sugli accordi di COP21 per esasperare la necessità di abbattimento della CO2, persino al di là degli obblighi che ci derivano dall’Europa. Si vuole una SEN che pianifichi un supporto pieno ed incondizionato alle energie rinnovabili ed al “tutto elettrico”, a suon di incentivi massicci e pubblici. Ovviamente, vista la situazione del bilancio statale, questi incentivi sarebbero finanziati con l’aumento del debito pubblico, aggravato anche dalla cessazione delle entrate provenienti dalla produzione nazionale degli idrocarburi.
Ed in più si produrrebbe un ulteriore aumento del costo dell’energia per il nostro paese, di già il più caro fra i paesi industrializzati.
Fa riflettere in tal senso un altro episodio inquietante, quello del giacimento Ibleo al largo di Gela in Sicilia. Una scoperta che potrà fornire circa 10 mld mc di gas con vantaggi enormi per la Sicilia. Il suo sviluppo avverrebbe nel pieno rispetto dell’ambiente e con l’utilizzo di tecnologie di avanguardia di cui l’Italia è leader mondiale.
In qualsiasi paese del mondo, una scoperta del genere e la possibilità che il suo sviluppo venga affidato ad aziende italiane creando ricchezza e lavoro altamente qualificato sarebbe una notizia da festeggiare. Da noi no. Serve a scatenare i ben noti movimenti ambientalisti determinati a che questa opportunità venga fatta morire prima di nascere, in modo da perpetuare la dipendenza energetica dell’Italia, soprattutto da alcuni dei paesi da cui importiamo energia.
Questi movimenti parlano delle lobbies petrolifere che distruggono l’ambiente e si arricchiscono con le risorse naturali del paese. Dimenticano che lo sviluppo dell’Italia è stato garantito, in questo settore, anzitutto dall’Eni, azienda posseduta prima al 100% ed ora al 30% dallo Stato, e quindi gli eventuali utili dell’azienda si sono riversati sul paese stesso. E lo dimenticano volutamente, per creare confusione propagandistica. Infatti, i bilanci delle aziende pubbliche o private che operano in Italia sono pubblici e totalmente trasparenti.
Sarebbe bello che lo stesso livello di trasparenza fosse garantito da molti di questi movimenti, che spendono cifre impressionanti in campagne pubblicitarie televisive (che spesso costano milioni di euro) e in iniziative con mezzi ed infrastrutture navali e terrestri molto costosi. È possibile che queste risorse provengano solo dal volontariato?
Forse, dietro alcune battaglie “spontanee” contro la ragionevolezza energetica, si potrebbero scoprire interessi irragionevoli per il nostro paese.