Utilitatis ha recentemente presentato l'edizione 2017 del Blue Book, il rapporto sul servizio idrico integrato in Italia, realizzato in collaborazione con Utilitalia e con il contributo scientifico di Cassa Depositi e Prestiti. Di seguito i principali risultati a cui giunge lo studio.

La governance del Servizio Idrico Integrato ha compiuto negli ultimi anni passi importanti verso una razionalizzazione del sistema: dai 93 ATO in cui era suddiviso il territorio nazionale nel 2011, si è passati ai 64 ATO dell’assetto attuale. Il quadro della governance locale evidenzia una forte eterogeneità dimensionale, con la presenza di ATO regionali, ATO provinciali e ATO con confini amministrativi diversi da quelli delle province. La riorganizzazione degli ambiti su dimensione regionale, verso la quale sembrano convergere molte Regioni, fa perno sulla flessibilità della norma, che consente di affidare il servizio in sub-ambiti - purché di dimensione non inferiore al territorio provinciale - qualora ne emerga la necessità al fine di una maggiore efficienza gestionale e di qualità del servizio: delle 12 Regioni con ATO unico, sette hanno previsto la permanenza dei sub-ATO (provinciali) come criterio di riferimento per l’affidamento del servizio. Allo stato attuale, dunque, si registra la presenza di 92 bacini di affidamento.

Le recenti disposizioni normative (obbligo di adesione agli enti di governo di ambito - EGA) hanno contribuito ad accelerare l’attualizzazione della governance multilivello che caratterizza il settore idrico. Tuttavia, il processo risulta ancora incompleto, con EGA individuati su tutto il territorio nazionale, ma in alcuni casi non ancora operativi.

Rispetto ai 92 bacini di affidamento esaminati, 79 presentano un assetto formalmente compiuto (82% della popolazione nazionale). Di questi, 70 corrispondono ad ambiti con gestioni avviate (75% in termini di abitanti); 4 sono riferiti ad ATO in cui le gestioni sono già operative ma in via di completamento, mentre 5 coincidono con ATO dove sono presenti gestioni di nuova costituzione o di recente affidamento (4% della popolazione).

Dal punto di vista dell’assetto degli operatori industriali, il settore idrico, che nel 2015 ha fatto registrare un fatturato complessivo di 7,6 mld di euro, mostra ancora un elevato grado di frammentazione: il 48% del fatturato è generato dal 5% degli operatori, mentre il 58% delle aziende contribuisce al fatturato di settore per appena il 6%. Nel comparto prevalgono ampiamente le aziende monoutility, che rappresentano il 77% degli operatori e generano il 78% del fatturato.

Analizzando la struttura dei bilanci per classe dimensionale, emergono evidenze di migliori performance degli operatori più strutturati, che confermano la necessità di accelerare verso un consolidamento del settore: in termini di produttività, il valore aggiunto per addetto si riduce al diminuire della dimensione aziendale, passando dal valore di 190.000 euro/addetto per le aziende più grandi al valore di 93.000 euro/addetto per le aziende più piccole; in termini di investimenti, l’incidenza degli ammortamenti tende a decrescere al diminuire della dimensione aziendale, passando dal 21% delle “Top” al 12% delle “Piccole”.

Ulteriore elemento di debolezza e frammentazione del settore sono le gestioni dirette da parte dei Comuni: sul territorio nazionale operano ancora 2.098 gestioni in economia, che interessano un bacino di oltre 10,5 mil. di abitanti. Il 40% di queste svolge il servizio integrato, ossia eroga i servizi di acquedotto, fognatura e depurazione; il resto eroga solo uno o due servizi, con una prevalenza delle gestioni che operano nel ramo della fognatura.

L’analisi delle reti idriche rende evidente il gap infrastrutturale da cui è affetto il paese. Le reti di acquedotto presentano un elevato grado di vetustà, con il 60% dell’infrastruttura nazionale posato oltre 30 anni fa. L’obsolescenza delle reti è ancora più elevata nei grandi centri urbani, dove il 40% delle reti ha oltre 50 anni. A fronte di una rete così vetusta, il tasso di rinnovo attualmente sostenuto dai gestori è ben lontano dall’essere adeguato: a livello nazionale, in un anno vengono sostituiti mediamente 3,8 metri di condotte per ogni km di rete; in altre parole, all’attuale tasso di rinnovo, occorrerebbero in media oltre 250 anni per sostituire l’intera rete oggi esistente.

L’obsolescenza delle reti è uno dei fattori che influiscono sulle perdite idriche: a livello nazionale il 35% dell’acqua potabile immessa in rete viene dispersa; al Nord il valore scende al 26%, mentre Centro e Sud disperdono circa il 45%.

Anche le reti fognarie manifestano criticità: l’analisi evidenzia come le reti di tipo misto costituiscano, mediamente, il 50%, raggiungendo, nel caso di territori densamente popolati, valori prossimi al 75%. L’aumento dell’intensità degli eventi metereologici critici a cui si assiste negli ultimi anni ha ulteriormente accentuato la vulnerabilità delle reti fognarie, rendendo urgenti interventi di rinnovo.

L’ultima fase del ciclo idrico, quella dei sistemi di depurazione, vede l’80% dei reflui confluire in impianti con trattamenti almeno di tipo terziario, tra cui il 27% convogliato a impianti terziari avanzati. Tuttavia, se il carico trattato in impianti primari rappresenta una quota marginale (2%), va segnalato che circa il 20% dei reflui subisce ancora un trattamento soltanto secondario. Dal punto di vista della dimensione, emerge una parcellizzazione del sistema impiantistico: al netto dei sistemi di trattamento individuale, gli impianti di depurazione con potenzialità di trattamento autorizzata inferiori a i 2.000 abitanti equivalenti (A.E.) costituiscono la maggioranza (67%), mentre soltanto il 2% degli impianti ha potenzialità superiore ai 100.000 A.E.

La carenza delle infrastrutture idriche, che per le fasi di fognatura e depurazione ha procurato al nostro paese ben tre procedure di infrazione europea, richiederebbe livelli di investimento ben superiori a quelli fin qui sostenuti. Se da un lato l’avvento del Regolatore indipendente ha rappresentato un elemento di forte discontinuità, in grado di avviare il settore verso quella stabilità necessaria a restituire certezza ai finanziatori, dall’altro occorre ampliare il ventaglio delle opzioni di finanziamento per poter cogliere i frutti dell’attuale liquidità dei mercati finanziari.

Sul versante del debito, le caratteristiche intrinseche al comparto (lunga durata degli investimenti e scarsa patrimonializzazione di molte aziende) rendono difficile il ricorso a finanziamenti bancari di tipo tradizionale, legati tipicamente a garanzie reali, che si prestano generalmente a coprire esigenze di breve periodo e per importi limitati. In questo contesto sarebbe possibile la strutturazione di finanziamenti su base corporate e project che, tuttavia, appaiono ancora poco diffusi e su volumi contenuti. A questi due canali si deve inoltre aggiungere la possibilità di accedere al mercato dei capitali, utilizzando strumenti finanziari innovativi, che possono anche utilmente integrare tanto i finanziamenti di tipo corporate, quanto la finanza di progetto. Si tratta di un’alternativa importante per allargare il range delle opportunità di finanziamento disponibili e favorire la crescita dei mercati finanziari come forma complementare rispetto all’intermediazione bancaria. Il contesto normativo è peraltro favorevole, avendo sostenuto lo sviluppo di nuovi strumenti come i mini bond, gli hydro bond e i project bond, adatti anche a realtà imprenditoriali non necessariamente di grandi dimensioni.

Fin qui le possibilità. Affinché tuttavia queste non restino opzioni sulla carta, ma diventino strumenti funzionali al soddisfacimento del fabbisogno del settore, è necessario che si acceleri un reale processo di industrializzazione. Tale processo richiede che si continui ad agire sulle gestioni - rendendole sempre più efficienti - e sulla dimensione delle aziende.

Occorre incentivare i processi di aggregazione tra imprese - funzionali ad acquisire una maggiore solidità patrimoniale e un merito di credito superiore - e la costituzione di partnership/consorzi tra operatori, che consentano di “spuntare” un rating migliore rispetto a quello sub-investment grade generalmente assegnato alle piccole utility del settore idrico.

Infine, nell’ottica di aumentare non solo la quantità, ma la qualità e l’efficacia degli investimenti è necessario: (i) semplificare e accelerare l’iter procedurale per la realizzazione delle opere; (ii) favorire una migliore programmazione degli interventi; (iii) superare le carenze tecniche delle progettazioni, che spesso, rendono complessa la bancabilità degli interventi.

Queste appena citate sono inoltre anche le premesse per un uso più efficiente e razionale delle risorse pubbliche. In merito si osserva che, seppure in un quadro di generale contrazione e pur in presenza dei noti vincoli all’indebitamento degli Enti locali, è presumibile che il settore pubblico continuerà ad avere un ruolo chiave per il finanziamento del comparto, vista la necessità di colmare il deficit infrastrutturale. Si tratterà quindi di trovare un modo di impiegare le limitate risorse disponibili in maniera più efficiente e rapida.